Geni riflessi

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di Irene Auletta

Chi alla mia età ha ancora i genitori, gode della grande fortuna di continuare a nutrire quel rapporto unico che, a volte, necessita di piccoli ritocchi, di perdoni, di nuovi incontri, di pace.

In questi giorni ho rivisto mio padre in una breve pausa, tra la sua vita a Milano e quella nel paese lucano e, ogni volta, il passare del tempo mi fa ritrovare qualche nuova traccia. Poi il momento non è certo dei migliori, tra il funerale di un cognato e la preoccupazione per una grave malattia del fratello minore. Lo vedo così: il mio gigante d’argilla con tante crepe.

Ci ritroviamo solo noi due perchè non voglio che nessuno della mia famiglia, soprattutto la signorina più ingombrante, occupi tutta la scena e chiacchieriamo come non accadeva da parecchio tempo. Ogni volta che ci avviciniamo al dolore mi vedo riflessa in quell’insegnamento che chiede di stringere i denti e mostrare imperturbabilità o in quelle reazioni di rabbia, a protezione della fragilità.

Però, sono passati tanti anni e ora da anziano ti stai finalmente permettendo di mollare un po’ quelle severe redini dei sentimenti mentre io, beh, ci ho lavorato parecchio. 

Cosi l’emozione pian piano può permettersi di stare nei nostri racconti che, naturalmente, non possono lasciare fuori mia figlia, quell’unica nipote che, solo a nominarla, ti rende subito gli occhi tristi. L’incontro mi nutre e sono felice di questo regalo che mi sono fatta sospendendo tutto il testo.

Sai Papà, penso spesso alla fotuna che, alla mia età, tu e mamma ci siate ancora.

Sembri un attimo assente ma subito replichi: Se proprio di fortuna dobbiamo parlare, quella davvero fortunata è tua figlia ad averti come madre. Detto da te, severo babbo, questa affermazione mi raggiunge pizzicandomi dappertutto. 

Il silenzio riempie il nostro saluto come le lacrime dolciamare nei nostri occhi. I tuoi, verdi, malinconici e velati dal passare degli anni. Nessuno di noi figli ne ha ereditato il colore ma, sulle sfumature della malinconia, mi sa che ti sto raggiungendo. 

Protesi emozionali

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di Igor Salomone

“A Luna non frega niente di chi io sia. Eppure Luna mi ama. Non ho alcun dubbio. Mi ama di un amore […] al netto di tutte le inutili qualità di Igor Salomone”

Ero a Edolo per un incontro pubblico sui temi della cura e della genitorialità. La mia ospite, operatrice del Cardo, la cooperativa che aveva organizzato la serata, mi dice che non ci crede. Non crede a quelle parole appena lette al pubblico, tratte dalle ultime pagine di Con occhi di padre. Il tema era l’orgoglio, quell’orgoglio che, sostenevo, non avrei mai potuto avere da mia figlia, perchè lei, semplicemente, non ha la più pallida idea di che cosa faccia da quando varco la soglia di casa sino a quando ritorno.

“Sono sicura a Luna qualcosa piaccia di te e ne è orgogliosa” mi dice, dicendolo anche a tutti gli astanti. Era la prima volta che qualcuno citava direttamente quel capitolo e, come sempre mi succede, chi fa da specchio alle mie parole mi permette di capirle meglio.

Certo, ho risposto, sono convinto anch’io di piacere a mia figlia per quello che sono, ma l’orgoglio è un’altra faccenda. L’orgoglio è un sentimento che occorre imparare, come quasi tutti i sentimenti. L’orgoglio non è un’emozione come la paura, per esempio. Non sorge spontaneo di fronte a uno stimolo capace di suscitarlo. L’orgoglio, come la vergogna che dell’orgoglio è la sorella opposta e complementare, chiede di immaginare un mondo che possa vedere ciò di cui siamo orgogliosi. Occorre insomma saper guardare le cose con gli occhi degli altri, e Luna non ne è capace. Questo ho risposto quella sera.

Stavo tornando da Edolo, su quel regionale nuovo e panoramico che ti accompagna silenzioso lungo tutta la val Camonica regalandoti splendidi scorci di cime, boschi, pareti rocciose, prati e paesi rivieraschi riflessi sul lago. Stavo tornando e ripensavo a quello che avevo detto di me e mia figlia. Dell’orgoglio che lei non può provare per suo padre o per sua madre. E mi sono accorto di non aver detto la sera prima che orgoglio è ciò che provo io per lei. Sono convinto che Luna respiri questo mio sentimento, anche se non può dargli un nome, anche se non è in grado di capirlo. E se lo respira, in qualche modo, lo vive.

Quindi, forse e in parte, ciò che la mia ospite aveva detto la sera precedente corrisponde al vero. In fondo, se mia figlia non è in grado di fare qualcosa, io posso aiutarla o farla al posto suo. Se Luna non è in grado di vivere un sentimento, posso viverlo io per lei e donarle gli effetti che su di me quel sentimento produce. Anche le emozioni possono avere le loro protesi.

Vacare. Essere vuoto, libero

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di Nadia Ferrari

Siamo di nuovo al mare un altro anno é passato. Diversamente dai precedenti questo mi trova meno motivata ad inaugurare l’inizio delle vacanze direi scomparse se s’intende con il termine l’assenza di fatiche e, peggio ancora, non riesco a non preoccuparmi per quelle che verranno, perché verranno con certezza. Altre fatiche intendo.

Che brutta cosa la preoccupazione. Tutto ciò che inizia col prefisso pre ha l’odore dell’annuncio. In effetti non sai se poi si avvererà ma intanto aspetti ed io, aspetto preoccupata. Quest’anno però davvero non ci sarebbero ragioni sappiamo come andrà. E mi sto già assaporando i ritagli di libertà e leggerezza che l’anno scorso sono riuscita a scovare.

Che pasticcio! Le cose della vita non smettono di regalare stupore costringendo a mettere in discussione la visione che mi ero appena concessa di accettare. Quest’anno non ce la fai più a stare in spiaggia per quelle due orette che mi regalerebbero qualche raggio di sole. Fa troppo caldo. Al bar fa troppo freddo. Del resto non è più nemmeno così sicuro lasciarti in casa sola … sulla spiaggia non riesci a muovere nemmeno quei pochi passi dell’anno scorso e gli equilibri di nuovo instabili frantumano la fantasia del miserrimo relax immaginato. Nella nuova dimora per le vacanze, affittata apposta per rispondere meglio alle esigenze di sopravvivenza di tutti noi, ti aggiri spaesata chiedendomi ogni volta conferma sulle azioni anche quelle più banali e mettendo a dura prova la mia pazienza.

Sorprendentemente le tue titubanze mi colpiscono il cuore ed invece di arrabbiarmi ti guardo: i tuoi occhi spalancati ti regalano uno sguardo troppo attento a non sbagliare tradiscono in modo indiscutibile la tua difficoltà ad adattarti al nuovo o forse sarebbe meglio dire ad affrontare dimensioni di vita che appartengono ad altre fasi … ed ogni azione diviene un’impresa.

Che tenerezza. Mamma puoi appoggiarlo li il bicchiere, non ti preoccupare metto via io i tuoi vestiti. Hai fatto così? Hai fatto bene. Che tenerezza vederti indecisa in ogni azione e movimento. Smarrire in ogni dove l’orientamento. Il cuore si strizza ogni qualvolta ti guardo impegnata lenta portare a termine una qualsivoglia attività con la paura di dimenticare, di non fare giusto, di fare una brutta figura, di essere ripresa, di dare fastidio.

Si, ora forse sono in vacanza! In vacanza dalla rabbia che ho sempre sentito. Al posto suo arriva la tristezza, meglio, molto meglio mamma.

Compare la voglia di aiutarti al solo scopo di non aggiungere fatica a quella che già fai, disgiunta dal dovere di farlo. Sento crescere dentro un autentico sentimento di cura in cui la mia preoccupazione è per come vivi tu queste dipendenze al posto di quali problemi creano a me. Un sentimento normale forse per altri estraneo al nostro universo: vuoi dire mamma che finalmente quella bambina tradita se n’è andata?

Ti guardo mentre di profilo ricurva su te stessa disegni col corpo una gobba per ore stai seduta con lo sguardo dritto davanti a te, pensi. A cosa stai pensando? Io so mamma io e te custodiamo un segreto origine e causa di molto male, è stato dura. Starai pensando a questo? Anch’io mamma ci penso sempre perché proprio quello ci ha costretto ad un amore molesto. Ora, al di là di ciò che è stato non so cosa darei per darti qualche pensiero buono. O forse non ce n’è bisogno tu dimentichi in fretta basta smetterla di punirti. La leggerezza che tanto cerco eccola qua.

Mentre le lacrime sciolgono in acqua panni sporchi e bambini mi siedo accanto a te accarezzandoti una coscia e mi sussurro ora ci sono io mamma, tua figlia.

Madri

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madri

di Irene Auletta

Guarda mamma che bella questa foto, ti dico porgendoti il mio Ipad. La guardi con attenzione ma capisco che ancora non ti sei riconosciuta. Ti ricordi? Avevi in braccio Luna piccola piccola.

Quando metti a fuoco l’immagine mi accorgo che nei tuoi occhi e nel tuo sguardo passa un lampo di commozione e subito, come tua abitudine, volti pagina. Ma che strana gonna mi ero messa?

Non è necessario fare troppo interpretazioni selvagge su alcuni nostri atteggiamenti e modi di incontrare la vita quando i nostri genitori ci mostrano con grande chiarezza quello che sono riusciti a insegnarci e quello che proprio non apparteneva alle loro possibilità.

Per te mamma è sempre stato così. Mi hai insegnato a tenere a distanza le emozioni e a mostrare al mondo solo la superficie, per evitare di essere feriti. Hai fatto un gran bel lavoro e io sono ancora qui a cercare di districare alcuni fili ben ingarbugliati. Di sicuro però non me la prendo più con te da molti anni perché, dopo aver attraversato forti sentimenti di rabbia, ho capito che non potevi fare altro, perché quello che hai fatto era al massimo delle tue possibilità.

Lo stesso è successo anche qualche giorno fa mentre mostrandoti nuovi reggiseni colorati ti ho detto che non mi sono sentita una madre molto normale, andando a comprare intimo per una figlia quasi diciottenne. Hai fatto finta di non sentire e siamo andate avanti a commentare i miei altri acquisti, con leggerezza.

Io e te abbiamo attraversato molte esperienze simili e non importa se non riusciamo a parlarne in modo esplicito perché in ogni fibra del mio corpo sento che nessuno, ma proprio nessuno, mi comprende come te e già mi manca quel tuo sguardo che il passare del tempo sta rendendo sempre più opaco.

Il nostro negli ultimi anni è un amore così, che condivide solo ciò che è possibile. Tu mi proteggi e io ti proteggo e mi fai ridere ogni ogni volta quando mi dici che la cosa peggiore per te sarebbe essere trattata da rimbambita. E tu ridi quando ti dico che protesto sempre quando sento dire che i genitori anziani sono come bambini e, soprattutto, quando sono trattati come tali. Se ti tratto da bambina mamma mi raccomando, se riesci, fammi capire che ti sto mancando di rispetto, penso guardandoti mentre puliamo insieme i fagiolini.

Sono presa a sistemare quando mi accorgo che mi stai osservando. Hai una di quelle tue recenti espressioni che ti fanno apparire a scavalco fra due mondi. I nostri occhi si incrociano per un istante mentre dici hai proprio ragione Irene, non è normale che una madre faccia alcune cose.

E’ un attimo e sei già altrove e io mi volto verso il lavello per fare quello che ho imparato bene, in tanti anni di pratica.

La luce delle perle

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la luce delle perledi Irene Auletta

Non possiamo andare fino alla cascina perché lei è una pigrotta! Provo a dare un altro senso aggiungendo che in effetti camminare per te è proprio una grande fatica. Niente da fare. Si, si lei si impunta e si rifiuta di andare oltre … è proprio una pigrona.

Arrivo a prenderti e ti trovo in uno di quei momenti in cui le emozioni forti trovano spazio in quei tuoi movimenti delle braccia poco controllabili e in quella risata che suona subito stonata. Era lì tranquilla e poi ad un tratto le è scoppiata la ridarola.

Di esempi di questo genere ce sono tantissimi e sono certa che ogni genitore ne avrebbe da raccontarne parecchi. Negli anni, le frasi o le battute non sono cambiate, ma sta mutando, molto lentamente, il mio modo di ascoltarle e di interpretarle. Per molto tempo, e purtroppo mi accade ancora, di fronte ad alcune affermazioni ho sentito un pizzico nello stomaco e credo che molto spesso al mio interlocutore non sia sfuggita la severità del mio sguardo di disapprovazione.

Ma perché raccontare il quel modo qualcosa che riguarda mia figlia? E, pensandoci bene e un po’ a distanza, quello che di alcune comunicazioni mi ha sempre raggiunto stonato è il tuo ritratto, infantile o stupido. In realtà, anche il fatto di aver intravisto dietro ad alcune espressioni una sincera attenzione e un atteggiamento di autentico interesse, mi ha spinto a cercare oltre, provando ad interrogare diversamente quelle zone d’ombra alla ricerca di un po’ di luce. L’ho fatto, e provo a farlo ogni giorno, prima di tutto per te e per me.

Passeggiando per la città, in un momento di tempo vuoto che mi gusto come un dono inatteso, mi raggiunge una differente interpretazione forse stimolata da recenti letture che, senza paura o false mistificazioni, mostrano un intreccio doloroso fra handicap e male. Dietro alcune superficialità comunicative vedo ancora forte la paura di guardare e riconoscere la differenza, la fatica e l’incomprensibile. Di recente ho avuto anche l’impressione che, per alcuni operatori, questa modalità sia quasi pensata come protettiva per i ragazzi disabili e per le loro famiglie.

Ma cosa c’è di protettivo nel restituire sempre un’immagine di figlio adulto infantile o stupido? E, come è possibile, senza diventare giudicanti o insopportabili, creare insieme nuovi dialoghi?

In questo clima culturale di polemica a oltranza e di negatività dominante, mi accorgo che può davvero fare la differenza il “solo” provare a dire altro. Così aggiungo colori, nuovi racconti, differenti emozioni. Forse continuando a condividere le mie sfumature, e quelle che colgono anche altre persone che ti conoscono, potremo far avvicinare le diverse fotografie, sia le nostre che quelle di tante altre storie simili. Almeno, ci provo.

“Ogni volta che ammiriamo una perla dimentichiamo che è la cicatrice della malattia della conchiglia”. (Karl Jaspers)

Battiti all’unisono

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arcobaleno

(15 Febbraio – Giornata internazionale Sindrome di Angelman).

Per Matteo e Angela. In memoria del loro piccolo Davide

 

 

 

 

di Irene Auletta

A volte le emozioni occupano tutto lo spazio e le parole sembrano non riuscire a trovare uno pertugio per potersi intrufolare e dire. E’ stato un po’ così quando Paola mi ha chiesto di scrivere qualcosa per oggi, giornata di incontri e di ricordi. Difficile perché le parole possono essere mattoni o piume e oggi ne vorrei scegliere qualcuna leggera leggera, bianca e soffice come neve, tiepida come una carezza discreta.

Mi piacerebbe trovare parole per salutare e per dedicare pensieri a chi è vicino e a chi la vita l’ha portato altrove. Guardo mia figlia Luna nella speranza che lei possa ispirarmi grazie a quel silenzio fatto di mondi e di un mondo fatto dal nostro incontro. Saremo capaci noi parlanti a dire in silenzio dei nostri pensieri del cuore?

Mi viene in aiuto un racconto.

Qualche giorno fa una madre conosciuta tramite Facebook mi ha invitata a scrivere una prefazione a un suo scritto. Non ci siamo mai incontrate, abitiamo in città e regioni diverse, ma le nostre storie hanno qualcosa in comune che ci fa sentire intime estranee. Ci siamo scambiate mail ricche di un calore che non è facile trovare altrove, condividendo gioie e lacrime.

Accade così in queste storie a distanza che riescono a farci sentire la mano dell’altro nella nostra, i suoi timori, le sue gioie e quel respiro sospeso dagli eventi della vita. Sono incontri che posso riempirsi di un significato denso e leggero al tempo stesso come quel cielo carico di nubi che dopo un temporale sa donare agli spettatori i magici colori di un arcobaleno.

Luci e colori in cielo e in terra. Negli occhi di chi guarda e nel cuore di chi ascolta.

Nei pensieri che si fanno realtà nel ricordo e in quell’amore che ogni giorno ci rammenta il senso importante della vita e di ciò che è stato.

Che ci porti Babbo?

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Luna Finestrinodi Irene Auletta

Cosa le posso regalare per Natale? Dimmi tu quali sono i suoi gusti e cosa le può piacere di più.

Da anni mi ritrovo di fronte a domande analoghe e ogni volta provo a percorrere strade creative. Mezzi sorrisi, spiegazioni più o meno sofisticate e suggerimenti possibili attraversati sempre da un velato imbarazzo. Cosa posso dire figlia dei tuoi gusti, delle tue preferenze o delle tue passioni?

Qualche giorno fa, grazie ad una di quelle coincidenze che bisogna prendere al volo, abbiamo fatto un piccolo viaggio scegliendo di andarci in aereo. lo scorso anno sarebbe stato impossibile anche solo pensarlo perchè la tua salute era in uno di quei suoi momenti no che trasformano ogni scelta in un possibile problema da affrontare.

Levataccia al mattino, volo, ospitalità a casa di amici e nuovo volo, concentrati in un fine settimana lungo. Il pensiero mi attraversa di corsa e mascherato di leggerezza. Oddio, ce la farai? Non ti staremo chiedendo troppo? E se ti senti male oppure fai una di quelle tue piazzate in un momento poco opportuno?

Dopo un’ora di viaggio in auto arriviamo in aeroporto alle sei di mattina accolti, poco dopo, da una cornice di montagne illuminate di rosa dai primi raggi di un bellissimo sole invernale. Tu sei particolarmente frizzate, come l’aria. Hai capito che sta accadendo qualcosa di speciale e, al di là delle nostre parole e dei nostri racconti, sembri guidata da un’irrefrenabile curiosità.

Cammini per un lungo tratto di strada senza alcuna protesta, studiando tutto ciò che ci circonda. Alla fine, oltre lo vetrate lo vedi e allora non hai più alcun dubbio. Ridi e salti con gli occhi che brillano. Si amore, saliamo proprio lì e ci facciamo un giro in cielo per andare a trovare Alessia, Anna Maria e Mario. Ti ricordi quest’estate che bei bagni abbiamo fatto insieme nella loro piscina e quanto ci siamo divertiti?

Il viaggio lo passi attaccata al finestrino, distraendoti solo per guardarci emozionata con quei tuoi sorrisi che raccontano mondi di emozioni. Noi ci guardiamo pensando la stessa cosa. Anche solo questo momento ci dice che abbiamo fatto la scelta giusta. La tua reazione è uno speciale regalo di Natale per noi che cerchiamo di raggiungerti nei tuoi luoghi, sovente misteriosi.

Dei regali materiali non ti importa nulla e ora lo posso ammettere con il cuore leggero. Ti piacciono le emozioni e le esperienze e questo è il nostro vero dono per te, figlia meraviglia.

Ci hai insegnato, e ogni giorno ce lo rammenti, che l’oggi è prezioso e irripetibile. Questo Natale tu stai bene e questo è il mio regalo più grande.

Per te, un volo.

Ma quanto pesano?

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ma quanto pesano?di Irene Auletta

Ci sono tante espressioni e modi di dire carichi di significato che finiscono con il creare magici legami tra emozioni, sentimenti e il peso degli organi o di alcune parti del corpo.

Dopo tanto tempo sento di nuovo il cuore leggero come se mi ci avessero tolto un peso pazzesco da sopra. Così esordisce una conoscente che incontro dopo parecchio tempo, mentre mi racconta degli ultimi mesi vissuti con il fiato sospeso in attesa dell’esito di alcuni esami clinici. Chi di noi non ha vissuto sensazioni simili insieme alla conseguente impressione che il respiro sia aumentato di volume andandosene ora a spasso per il corpo a correre e a saltellare gioioso?

Allo stesso modo la sensazione contraria di cuore pesante sembra far arrancare tutto il resto del corpo schiacciato da un fardello posizionato all’altezza dello stomaco o sulle spalle. Allargate il respiro e provate ad aprire le spalle, ce lo ricorda spesso Angela, la nostra insegnante Feldenkrais. Ognuno ha i suoi pesi esistenziali da portarsi appresso ma forse possiamo imparare a farlo senza accasciarci ai piedi della vita.

Quest’estate ho incrociato due anziane signore evidentemente entrambe compromesse nella loro colonna vertebrale. Della prima mi ha colpito l’incedere che la mostrava camminare quasi piegata in due, in apparenza sempre triste, appoggiata al braccio di qualche accompagnatore. Ogni tanto ci si sente proprio così, piegati e incassati dal peso del dolore.

L’altra signora invece, seppur segnata da un problema fisico serio, ha attirato la mia attenzione per la luminosità e i colori vivaci dei suoi prendisole, oltre che per la disinvolta esibizione della sua sigaretta mattutina.

Modi e modi di affrontare gli eventi imprevedibili della vita. E’ così che mi sento ora mentre sorrido di fronte a queste tue fotografie estive, che ti ritraggono nuotare allegra e felice, circondata dai riflessi dorati delle onde.

Ambivalente, sempre. A tratti leggera e al tempo stesso con il cuore pesante del giorno dopo accompagnato dalla febbre puntuale che ha bussato alla nostra porta quasi a ricordarci che ogni allegria, per qualcuno, ha sempre un costo.

Ah ….. Bilancia pazzerella!

Figlie in scena

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figlie in secandi Irene Auletta

Domenica cinema. Finalmente riusciamo a vedere un film che settimana scorsa ti avevamo promesso ma rimandato a causa del tutto esaurito.

Al mio fianco una ragazza probabilmente tua coetanea.

Sedicenne con l’aria tra l’annoiato e l’attesa mastica rumorosamente un chewing-gum controllando di continuo il suo smartphone. All’inizio del film mi ritrovo a fare un paio di respiri profondi per non farmi troppo disturbare dal comportamento della mia vicina e mi aiuta pensare che avresti potuto essere così anche tu, proprio così.

Mi concentro sul film o meglio, su te che guardi il film, rimanendo sempre il mio spettacolo preferito. All’inizio l’atmosfera nuova, i fantastici scenari, la luce dei prati ti emoziona tanto, facendoti scappare quelle tue risate che sembrano stonare in luoghi di silenzio che non decodificano i tuoi commenti. Poi la trama si infittisce, le tinte diventano intense, a tratti drammatiche. Completamente rapita sei incollata allo schermo con lo sguardo serio e attento. Emozionata e completamente in silenzio.

Verso le ultime battute mi accorgo che anche la ragazza al mio fianco si è fatta silenziosa. Ha smesso di masticare, di controllare il telefono e, con sorpresa ed emozione, mi accorgo che si asciuga lacrime di commozione. Cosa non nascondono alcuni comportamenti di forma!

Si riaccendono le luci, movimento in sala e noi al solito aspettiamo che il gruppo numeroso esca anche per evitare di essere travolti, noi che ci muoviamo ad un ritmo tutto nostro.

Mi trattengo ad ascoltare i commenti dei miei vicini. La ragazza davvero commossa, continua ad asciugarsi qualche lacrima mentre la madre la prende in giro, insieme ad un bambino piccolo che passando accanto le fa il verso canticchiando la canzone del film. La madre mi pare diventata l’adolescente, con i suoi commenti fuori luogo.

Vorrei dirle di smetterla di ridere in quel modo e di prendere in giro la figlia. Vorrei dirle che quella commozione e’ una cosa bella, da non perdere e magari, da trattenere in un abbraccio che a quell’eta può essere solo rubato al termine di un film così. Vorrei dirle che sua figlia avrebbe potuto essere la mia. Ma lei non può capire.

Incrocio lo sguardo della ragazza e le faccio un sorriso che spero le parli. Poi, tu occupi di nuovo la mia scena con tutta tua la presenza e il mondo intorno si dissolve lasciandomi un fondo di dispiacere.

Ci sono occasioni perse che neppure si intravedono e io che viaggio ogni giorno con la mia lente di ingrandimento, lo so.

Splendide emozioni

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emozioni-bolleIrene Auletta

Scena familiare. Un ragazzo scappa fuori dall’aula e due educatrici lo seguono per convincerlo a rientrare. Lui si oppone con il  corpo e forse temendo di non farcela, si contrappone inginocchiandosi e poi sdraiandosi per terra. Quante volte ho visto questa scena e infatti quel ragazzo potresti essere tu, con la differenza che, al confronto, tu sembri molto più piccola sia per altezza che per stazza. Le educatrici cercano di convincerlo a parole, poi con i gesti e dopo poco il ragazzo cede, si alza e rientra in classe.

Accidenti all’assenza di parole che chiede al corpo di sostituirle con un codice ignoto ai più.

Nel frattempo ti vedo arrivare con l’educatrice al tuo fianco e appena mi vedi acceleri con quel tuo incedere tutto particolare che ti fa apparire sempre molto instabile e al tempo stesso quasi saltellante. E’ l’ultimo giorno di centro estivo e per te sembra essere stata una buona esperienza. Nel frattempo arriva anche tuo padre e a quel punto la tua felicita’ e’ a mille.

L’educatrice ci saluta e nel congedarsi ci tiene a dirci anche a nome delle sue colleghe, che stare con te e’ stato un piacere perché sei una “ragazza splendida”. Io, che quando si parla di te mi commuovo per ogni virgola, abbozzo un sorriso con gli occhi lucidi.

So bene che i ragazzi come te chiedono anche tante fatiche e forse proprio per questo apprezzo molto l’accento posto sul piacere di un incontro che ti vede protagonista, senza di noi, con persone conosciute da poche settimane.  Quando mancano le parole non e’ facile incontrarsi in una storia nuova e anche stavolta hai affrontato una prova da aggiungere nel tuo bagaglio di vita e io me sono felice.

Ti guardo mentre usciamo e salutiamo per sempre quel luogo che per tanti anni ti ha accolto e che da oggi farà parte del tuo passato. Tu ridi ma appena saliamo in macchina accenni quel tuo modo di lamentarti che sembra un pianto. Chissà cosa pensi e come potrai rappresentarti e vivere questo nuovo passaggio.

Fa troppo caldo per queste domande. Sai che ti dico amore, andiamo a farci un bagno in piscina! Ridi felice perché la proposta ti piace un sacco. I momenti belli vanno gustati fino in fondo e, in questo, noi siamo diventati grandi esperti.

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