Laboratorio di Sintesi Educativa
Leggevo l’altro giorno su Repubblica questo articolo, annunciato con un occhiello sul fondo della prima pagina. Il titolo è un programma: Studenti contro Prof. Così le nostre classi diventano un ring. Inquietante. Apre scenari destinati a mandare in soffitta tutto un genere cinematografico, da La scuola della violenza, con Sidney Poitier a Meri per sempre con Michele Placido, passando per tutti gli epigoni dell’uno e dell’altro. Almeno lì i “prof” non le prendono. L’articolo invece racconta che le prendono, eccome.
Nella maggior parte dei corsi di difesa personale, insegnano ad affrontare situazioni di pericolo con un obiettivo unico: portare a casa la pelle. Ammesso e non concesso sia possibile obbligare tutti gli insegnanti “a rischio” a un corso di quel tipo, che se ne farebbero? Nessuna delle aggressioni raccontate mette nelle condizioni di doversi salvare la pelle. Un calcio nel sedere, uno schiaffo, delle spinte, degli strattoni, delle ingiurie urlate a un dito dalla faccia, mettono a rischio la tua dignità se le prendi e la tua libertà se le dai. Dunque saper atterrare o mettere fuori combattimento un minore che ti sbeffeggia non serve a nulla, anzi potrebbe essere pericoloso. Cosa serve allora?
In secondo luogo serve chiedersi da dove viene ciò che ci sta accadendo quando l’altro ci mette le mani addosso. I problemi non cadono dal cielo, e se un ragazzo arriva a prendere a calci un professore, quell’atto va letto come l’ultimo di una catena di fatti non governati in precedenza. Esistono le violenze “da strada”, come usa dire, perpetrate da sconosciuti in luoghi sconosciuti per motivi sconosciuti. Ma sono casi estremi. Ciò che mostra l’articolo di Zunnino è quello che sappiamo tutti da tempo ma non ci decidiamo ad accettare: chi ci aggredisce nella maggior parte dei casi è una persona conosciuta, con la quale addirittura abbiamo una qualche relazione se non addirittura una reponsabilità di ruolo. Dunque qualsiasi nostra reazione avrà conseguenze su quella relazione in futuro, e non possiamo escludere che l’attacco subito oggi non sia la conseguenza di qualcosa che abbiamo fatto ieri.
In terzo luogo, ma è il fattore probabilmente più importante, la violenza non va considerata come una qualità del nostro aggressore, ma come una condizione generata dal contesto della nostra relazione. I rapporti di potere (come quello tra insegnante e studente), il sovraffollamento dei corpi, la costrizione fisica e la promiscuità prolungata, sono generatori di stress che possono sprigionare aggressività con esiti anche violenti. Occorre dunque fare un intenso lavoro di prevenzione sia lavorando sulla scena educativa per tentare di renderla meno pericolosa, perchè ogni scena educativa è pericolosa e bisogna imparare a vederlo, sia imparando ad ascoltare come il proprio corpo l’attraversa per poterlo mettere in sicurezza relativa.
Ecco, questo è “difesa relazionale”. E riguarda tutti: insegnanti, educatori, operatori sociali, genitori, donne. Non solo quindi per pochi patiti di sport da combattimento disposti a sudare tre quattro volte alla settimana in una palestra per dieci o vent’anni, ma per chiunque viva contesti relazionali intensi nei quali possa prodursi un conflitto che possa sfociare in uno scontro anche violento.
Nel Laboratorio di Sintesi Educativa, quando ci sarà e avrà avviato le sue attività, sarò felice di accogliere tutte quelle persone per cercare assieme la via di un’autodifesa etica e consapevole. Che miri a difendere la relazione con l’altro, anche quando ci aggredisce. Che abbia in conto la protezione di entrambi. Che sappia creare le condizioni per evitare l’escalation. Che metta in sicurezza i luoghi dell’incontro.