Auspici natalizi

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di Irene Auletta

Si, lo ammetto. 

Con le lamentele, i lamentosi e le lamentose non vado molto  d’accordo. Qualcuno ha provato anche a convincermi del potere terapeutico del lamento ma io rimango poco convinta. 

Sono stata sempre così ma forse oggi la tensione si è moltiplicata anche a causa di una modalità che, nel tempo,  mi e’ parsa allargarsi a macchia d’olio, sovente nella scarsa consapevolezza dei protagonisti di tale atteggiamento. 

Pensandoci infatti, raramente mi è capitato di trovarmi con persone consapevoli del loro comportamento e, al contrario, sovente ho ritrovato i critici più severi proprio in loro, convinti disturbati dal lamento diffuso. Anch’io del resto a volte inciampo in questa trappola, correndo il rischio di lamentarmi di chi si lamenta. Insomma, non se ne esce!

Poi, per fortuna arrivi tu che mi riposizioni nel mondo.

Stamane esci di casa in preda a quei tremori che di solito arrivano di sera e che solo un mix di farmaci e sonno riescono a calmare. Nel corso della mattinata, anche l’educatrice del Centro mi telefona per segnalarmelo e già immagino la complessità del resto del pomeriggio che ci attende, anche in vista dell’abituale appuntamento in piscina.

In realtà quando arrivo a prenderti ti trovo un po’ provata e stanca ma decisamente di ottimo umore. Ma come fai, figlia mia, a sostenere questo zaino di vita spesso così pesante, non rinunciando quasi mai al tuo bellissimo sorriso? Neppure te lo immagini che nel tuo apparire fragile riesci a darmi ogni giorno una gran bella lezione, vero?

Abbi pazienza amore ti prometto che non smetterò mai di imparare.

Proprio in questi giorni nei rituali saluti di buone feste ho dichiarato, forse anch’io un po’ lamentosa, di sperare nell’arrivo veloce del 9 gennaio. In realtà non è proprio così e nel dirlo sono stata frettolosa e superficiale.

Certo non amo troppo i minuetti delle feste ma adoro dedicare tempo alle persone per me preziose. Adoro farlo con calma e lentezza e se poi si aggiungono luci, colori e atmosfere profumate già mi pregusto attimi di intensa felicità.

E così, ancora una volta grazie alla mia più preziosa, con questo stato dell’anima, del cuore e della mente, auguro buoni giorni natalizi a tutti.

Che la magia sia con noi! 

Memoriando

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Il navigatore oggi mi ha fatto una sorpresa. Nella zona dove ancora oggi abitano i miei genitori e dove sono cresciuta, mi capita di tornarci spesso ripercorrendo quasi in automatico le stesse vie. 

Stamane una serie di lavori in corso mi ha costretto a diverse deviazioni in percorsi apparentemente estranei che pian piano sono tornati ad essere familiari.

E’ vero … qui abitavano gli zii!! … E quest’altra vita cosa mi ricorda? Oddio il mio primo tirocinio .. ma che anno era? Possibile che siano già passati quarant’anni … aiuto! E così, procedendo, i luoghi fisici accompagnano l’emersione di volti, episodi, ricordi ed emozioni.

Poco dopo mi ritrovo a raccontarlo ai miei genitori e a condividere alcuni passaggi. Mia madre ascolta con uno sguardo un po’ spento e quasi assente che ogni tanto scoppia in un sorriso bellissimo. Me lo tengo lì vicino al cuore e proseguo nella mia narrazione.

Mia figlia mi ha aiutato a costruire dialoghi lenti, semplici con pause di silenzio e questo mi fa sentire a mio agio. 

Mamma riemerge con ricordi datati e ogni volta mi dice ma tu te lo ricordi? Si mamma ricordo tutto e oggi lo faccio anche per te permettendoti di spulciare qua e là quello che è possibile.  Di fronte a domande specifiche mi muovo tra luci e tenebre e un paio di volte mia madre mi interrompe. 

E’ fortunata Luna … E’ fortunata. Anch’io lo sono mamma non dimenticarlo mai, dico evitando che la voce si rompa troppo.

E mentre mio padre insiste per accompagnarmi all’auto mi coglie alla sprovvista. Ma tu come stai?  Che strano, credevo di aver risposto anche prima … o no?

Bene papà, tutto bene. 

Si, si, tu stai sempre tutto bene ma io lo so che spesso stai sulle montagne russe. Tieniti forte, figlia mia.

E così parto. Con il cuore ricco e pesante, pieno di tanto e di una rinnovata preziosa indicazione.

Mi tengo forte.

Galleggiare il tempo

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di Igor Salomone

Mi rimbalza in testa da tutta mattina, è comparsa durante la meditazione e ora sto cercando di capire perchè è stata un’immagine così forte: galleggiare il tempo.

In questa esperienza, appena iniziata, di confino domiciliare, la vittima “0” forse è proprio il tempo. Non credo di aver mai vissuto un’esperienza del genere in tutta la mia vita. Come tutti. E non mi sento di rallegrarmi troppo per la sensazione di rinnovata vicinanza familiare dei primi giorni: il tempo in queste condizioni non passa mai e il problema principale oggi non è cosa riusciamo a fare oggi, ma come reggeremo tutto ciò per tutto il tempo che sarà necessario.

Il paragone con le vacanze non regge. A parte che molti in vacanza hanno ritmi serratissimi se la loro vacanza è un viaggio, magari di quelli organizzati, anche noi che amiamo la spola tra spiaggia e agriturismo, in vacanza viviamo un tempo completamente diverso.

Prima di tutto in vacanza non siamo segregati da nessuna parte. Semmai il problema quotidiano è: restiamo dove siamo oppure oggi per cambiare facciamo una gita? che è il problema esattamente opposto a quello odierno: cosa facciamo oggi che di qua non possiamo muoverci? Poi una vacanza ha una data di scadenza precisa, e ogni giorno in meno è un passo in più verso il ritorno. A tutt’oggi non sappiamo affatto quando il confino finirà e l’attesa non è di tornare a casa, ma di poterne finalmente uscire. Una vacanza è un tempo di sospensione del quotidiano utile a ritornarvi con rinnovato vigore. Noi qui rischiamo la nausea, il rifiuto totale del casalingo quotidiano del quale potremmo smarrire il valore, anziché ritrovarlo.

Certo, la prima esperienza è quella del vuoto, come appunto in vacanza, non sarà un caso se sto cercando di riempirmi di cose da fare. E non credo di essere l’unico. Ma quello che mi sto chiedendo questa mattina è proprio che cosa sia questo vuoto. Per esempio, oggi è domenica, qualcuno che non sia credente e praticante e non abbia deciso di seguire le funzioni in tv se ne sta rendendo conto? Io no. Ieri sera mi sono affacciato al balcone e c’era il deserto  in corso XXII marzo, un silenzio surreale. Di sabato sera. Il panorama era esattamente uguale alle sere precedenti. E alle sere che verranno. 

Il sole non siamo ancora riusciti a fermarlo, quindi per lo meno il ciclo giorno notte scandisce ancora il tempo che passa, ma è l’unico. Viviamo in una sospensione di tutto ciò che creava lo scorrere del tempo, comprese le scadenze dei pagamenti e dei compiti lavorativi. 

Faccio già fatica a dire quando è iniziato tutto ciò, mia figlia è a casa da due settimane (o sono tre…?), i decreti si sono susseguiti con ritmo serrato restringendo il nostro campo d’azione di giorno in giorno e non so già più dire quando è iniziato il confino, cioè quando ho deciso volontariamente di rispettare le regole sul confino.

Più che un tempo vuoto, percepisco un tempo di sospensione, quasi di apnea. Incrociamo amici e conoscenti rigorosamente per telefono o chat e la prima cosa che ci diciamo è: sarà ancora lunga. Ma quanto lunga? come si fa a misurare un tempo senza tempo?

Oggi Irene ha avuto un’idea, facciamo un pic nic in balcone. Tenendo conto che i nostri balconi sono lunghi sei sette metri ma larghi non più di quarantacinque centimetri sarà un’impresa. Ma non importa. Il pic nic per noi da sempre è un segno della settimana che finisce, quindi viva il pic nic!

Mi chiedo quanti trucchi tutti noi ci stiamo inventando per ritrovare il Chronos e se vanno nella direzione di restaurare il più possibile i tratti del tempo conosciuto e ora sospeso, oppure se riescono a inventarsi un tempo nuovo che ci permetterà di imparare qualcosa anche da questa assurda situazione. 

Sto galleggiando il tempo, non nel o sul tempo come vorrebbe la grammatica, sto galleggiando il tempo perchè non sono io che galleggio, ma il tempo. E lo stiamo facendo tutti. Il tempo che galleggia si muove passivo sulle onde e mi trascina con sé. Chissà cosa mi inventerò domani perchè sia domani, non un semplice oggi ripetuto infinite volte.

Vi terrò aggiornato, ma tenetemi aggiornato anche voi. Possiamo aiutarci collettivamente nella ricostruzione del tempo. Tanto, di tempo ne abbiamo.

Quale emergenza?

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di Nadia Ferrari

Sento e vedo diversi istituti scolastici ed insegnanti che si sono prodigati ed organizzati affinché anche in questa strana settimana, che con certezza lascerà segno nella nostra memoria individuale e collettiva, si possano svolgere regolarmente le lezioni e fare i compiti attraverso smartphone e tablet da casa.  

Non so se sono io come insegnante ormai fuori moda, o se è perché sono docente della scuola dell’infanzia e quindi niente compiti e lezioni che non si possano recuperare con calma al ritorno, ma queste iniziative mi fanno pensare al rapporto con il tempo che ha la nostra scuola. 

Di come nemmeno un’emergenza planetaria riesca a frenare l’idea che a scuola non c’è tempo da perdere, che bisogna correre sennò si perde chissà che cosa. E stiamo parlando di una sola settimana di chiusura in cui, mi ricordava una collega, almeno due o tre giorni erano già destinati ad essere vacanza! 

Io, sinceramente, se pensassi a cosa può servire in fretta agli allievi in questo momento, opterei per trovare tempi e modi atti ad elaborare con loro le idee (e le emozioni) di paura, di vita, di morte e di “finitudine” che questo virus irriducibilmente fa incontrare. 

In questo credo che i nostri allievi non andrebbero lasciati soli. 

In alternativa lascerei che in questa occasione non programmata come vacanza si possano godere del tempo “vuoto”. 

Cosi ha scelto di fare il preside di uno storico liceo scientifico milanese che sulla home del sito pubblica una lettera agli studenti (https://www.liceovolta.it/nuovo/).

Partendo da una citazione dei Promessi sposi, invita i suoi studenti a fare una vita normale, fatta di passeggiate, di buone letture, ponendo l’attenzione a quello che potrebbe rivelarsi la vera emergenza: l’avvelenamento della vita sociale. 

Li saluta infine con un vi aspetto presto a scuola!

 

Respiri di settembre

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di Irene Auletta

Siamo solo a metà settembre ma sempre più spesso raccolgo commenti che sottolineano riprese già in affanno, settimane molto impegnative e periodi pieni.

Mi sono imposta lentezza al rientro dalle vacanze e forse per questo mi colpiscono questi commenti tanto orientati alla rincorsa di mille cose da fare, che poi, inevitabilmente, qualcuna ne rimane sempre fuori.

Qualche giorno fa, mentre ho rischiato per l’ennesima volta di perdere la coincidenza per ritardo del Freccia Rossa, complici i tacchi, mi sono imposta il mantra della mia maestra Feldenkrais, “velocemente ma senza fretta”. Forse sto invecchiando ma tutto questo affanno da tempo  lo sopporto poco e soprattutto ho maggiore consapevolezza del fatto che mi toglie, oltre al respiro, il piacere dei piccoli particolari di quanto mi circonda. 

Prima della partenza ci siamo guardate insieme il finale del film che ti sei gustata al rientro dal Centro. Mezz’ora tutta per noi, immerse in quel nulla pieno del tanto che ho messo in valigia come compagnia fino al giorno successivo. Il silenzio del nostro amore mi ha insegnato a rallentare per ascoltare e a tacere per sentire.

Ma secondo lei mia figlia, con questa grave disabilità, quando non ci sarò più sentirà la mia mancanza? mi ha chiesto qualche tempo fa una madre che probabilmente neppure immagina quanto la sua domanda mi riguardi.

Il ricordo di questo incontro riemerge, quando meno me l’aspetto, a pizzicarmi gli occhi e, mentre ragiono sulla lentezza, penso che forse la strada è proprio quella di non perdersi occasioni preziose per donarsi quel tempo che lascia segni nella carne e nel cuore. Mi piace pensare che il ricordo rimarrà in quelle sensazioni che l’esperienza ha reso possibili e questo, nella tristezza, come un magico unguento arriva a curare le ferite.

Poco dopo, un sorriso si affaccia a salvarmi da un attacco di malinconia quando ferma al semaforo sento un ragazzo dire: signori e signore aspettate un attimo a mettervi il cappotto, siamo ancora in estate! 

Si, andiamo piano penso, che le tracce della memoria, come i semi più sensibili, hanno bisogno di cure, calore e tempo. E, solo allora mi accorgo che, lentamente, ho ripreso a respirare.

Timing

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di Igor Salomone

Due marmocchi, uno per mano, a bordo strada. Mentre procedo lungo corso XXII Marzo, superandola, la scorgo sbirciare prima a destra poi a sinistra, come mi hanno insegnato si deve fare prima di attraversare. Dall’altro lato del corso, uno dei più trafficati della città, una scuola per l’infanzia, probabilmente la meta del piccolo quadretto familiare. In mezzo nessuna striscia pedonale, nemmeno l’ombra, neppure il ricordo di strisce precedenti cancellate dal tempo o da una mano di catrame. 

Le strisce non è che non ci siano, sono cinquanta metri più in su o più in giù: cento metri di deviazione evidentemente impossibili, chissà, magari perché sono in ritardo, di fretta, la scuola chiude, la madre ha i tempi stretti per andare al lavoro. In ogni caso quel punto di corso XXII Marzo, a Milano, è particolarmente gettonato la mattina da mamme e bambini  impegnati nel raid casa-scuola-lavoro dribblando semafori, attraversamenti pedonali, auto, tram, moto e camion. 

Pericoloso? sì, un po’ ma neanche più di tanto, le signore stanno attente, il viale è lungo e con un ottima visibilità e non pullula di assassini pronti a travolgere chiunque si pari davanti a loro senza permesso. 

Mentre supero il gruppetto mi vien spontaneo chiedermi però cosa stia insegnando quella madre ai suoi due figlioletti. Perchè i rischi alla loro incolumità sono minimi, ma gli effetti sulla loro educazione molto probabili.  Penso questo e non mi piace pensarlo, odio i moralismi, eddai che vuoi che sia, non sarà certo una trasgressione lieve come quella a fare dei due ragazzini dei disadattati. 

Però la domanda torna, insistente: cosa sta insegnando quella madre ai figli aiutandoli ad attraversare la strada ma ignorando le strisce? A violare le regole? vabbè, non esageriamo, magari per il resto è rigidissima e questa mattina è un caso unico.  Che le regole si possono violare ma solo insieme alla mamma? Può darsi, come dire: aspettate di diventare adulti prima di decidere se rispettarle o meno. Potrebbe anche starci. 

Però le strisce c’erano, a soli cinquanta metri, quanto tempo avrebbe mai perso quella madre facendo il giro largo? Anche senza essere Bolton, 100 metri con al seguito due marmocchi, al massimo, si percorrono in trenta secondi. Cosa mai ci sarà stato di così urgente in ballo da non poter perdere trenta secondi? Non c’era in corso un terremoto, niente stava andando a fuoco e nessuno sembrava ferito, era probabilmente solo una corsa contro il tempo sul filo dei secondi.

Questo quindi quella madre stava insegnando a quei bambini: a correre contro il tempo. Non c’entrano le regole e il loro rispetto, o per lo meno è una questione marginale. E’ il rapporto con il tempo il cuore di quel gesto educativo, perchè una cosa è certa, quelle mani che accompagnavano nell’attraversamento era un gesto educativo, che la madre ne fosse consapevole o meno. Un rapporto segnato dalla frenesia, dall’improcrastinabilità, dall’urgenza, costruito sull’accumularsi di piccoli ritardi, in corsa da un punto all’altro con la testa già sul passaggio successivo. 

Viviamo così, si dirà, che ci si può fare? Non sarà fare il giro largo per attraversare sulle strisce a cambiare le cose. Può darsi. Però se a un certo punto non riusciamo più nemmeno a vedere i nostri figli per la velocità con la quale attraversano la vita, almeno sapremo da dove abbiamo cominciato. 

Distanze vicine

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di Irene Auletta

È sempre bello e importante prendere e andare, che sia per lavoro, studio o vacanza, è mettere distanza. Da un po’ lontano vedo la vita di ogni giorno con differenti sfumature di tanti toni. Provo a non lasciarne indietro nessuno, neppure quelli più difficili da guardare.

La mancanza può essere una possibilità per stare con emozioni intime che hanno bisogno di solitudine e poi, più invecchio e più la solitudine mi piace assai. Saranno anche queste le sfumature dei tramonti?

Intorno mi arrivano notizie di figli all’estero, che si laureano, si sposano, hanno a loro volta figli. È così, mie coetanee mi narrano di mondi per me lontanissimi e, in parte, incomprensibili. Che bello diventare nonna! E poi proprio ora che fra pochi anni sarò in pensione. Cosa? Ma scherziamo, come nonna? Come pensione? Aiuto!

Eccomi lì incatenata a un ruolo di madre che mi ha fatto perdere la trebisonda del tempo. Persa in un accudimento quotidiano con questa figlia un po’ sempre piccola che alla fine mi fa, paradossalmente, sentire una madre sempre “giovane”. Che scherzi bastardi sa fare la vita!

Prima che la malinconia e la tristezza occupino tutto lo spazio, tuo padre interrompe i miei pensieri, avvisandomi che mi state raggiungendo dove sono per farci una gita al lago e poi tornare a casa insieme.

Le distanze iniziano a sfumare e le foto, che immortalano le tue emozioni del viaggio, tra bus e treno,  mi fanno già pregustare quel nostro incontro che dopo qualche giorno di distanza mi fa sentire male in gola, tanto il desiderio di riabbracciarti.

Ed eccoci qui, mai uguali a chi ci circonda, diversamente distanti, tra poco saremo ancora lì a nutrirci occhi negli occhi, mani nelle mani, vita nella vita.

Anche per questa lezione, figlia mia, ti devo ringraziare. La vita è un bel casino, ma può scatenare sempre grandi e bellissime passioni pronte a nutrirne il senso.

Vi aspetto, miei preziosi.

Dolore e ammorbidente

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di Irene Auletta

Il tempo  ha davvero un grande potere lenitivo e curativo ma a volte i ricordi riemergono attraverso i sensi. Proprio in questi giorni, leggendo alcuni post, sono stata raggiunta da quel profumo di ammorbidente, per anni rimasto lì a riposo in un angolo della mia memoria.

Quando si pensa alla disabilità di un figlio sovente si viene toccati dall’idea di sofferenza mentre rimane decisamente sullo sfondo ciò che invece molti genitori conoscono benissimo e che risponde al nome-eco di fatica, fatica, fatica.  

Nei primi tuoi anni di vita, quando ancora non sapevamo che tutta quella varietà di sintomi fosse da attribuire non solo alla disabilità ma anche alla malattia autoimmune aggiunta al tuo corredino genetico, passavo il tempo a lavare indumenti e lenzuola. Credo di essere arrivata a fare fino a sei/sette lavatrici in una sola giornata e risparmio, per rispetto a te e a me, i particolari relativi a pavimenti, arredi e abiti della sottoscritta.

Quello che normalmente gestisce una famiglia in presenza di un neonato, solitamente ricordato come “quel periodo del rigurgito o della cacchina santa”, rischia di diventare una vicenda senza fine in cui si rimane intrappolati. In quegli anni nella nostra casa aleggiava un costante profumo di ammorbidente e neppure ricordo il numero di stendini accampati ovunque.

Lì, proprio in quel periodo della nostra vita, ho capito che si sopravvive a tutto. Al dolore, alla fatica, alle notti insonni, all’ansia che non ti lascia mai, alla sensazione di essere precipitati in un baratro di cui non si intravede il fondo. Si riesce quasi a vivere senza respirare!

Poi, per fortuna o semplicemente perchè è così la vita, accade qualcosa che interviene pietosamente in soccorso e a noi è accaduto che, crescendo, molti tuoi problemi sono rientrati ed altri, pur non scomparendo, ci hanno dato un po’ di tregua. 

Per questo oggi mi godo ogni attimo, perchè so che l’inferno potrebbe nuovamente bussare alla nostra porta e non voglio avere nessun rimpianto. Oggi per fortuna respiro e nel naso mi raggiunge solo un profumo che, a ricordarlo, mi strappa un sorriso.

Premure preziose

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Green summer meadow at sunset full of dandelions . Nature background.

di Irene Auletta

Non ti stancare! Proprio tu che non ti sei mai risparmiata nulla nella vita, in questi ultimi anni me lo ripeti in modo sempre più insistente. Chissà cosa intravedi attraverso quella figlia che ti sfreccia davanti agli occhi muovendosi qua e  là in un modo per te, oggi, troppo veloce?

Solo a guardarti mi fai girare la testa mi hai detto alcune volte mentre altre, il tuo sguardo preoccupato mi segue mentre rincorro la vita. Eppure anche tu non sei stata meno energica e di certo la tua storia non ti ha permesso grandi pause ma forse, dalla prospettiva degli anni, stai assaporando il gusto e il piacere di quella lentezza che conduce dolcemente smettendola di farti sentire spintonata verso l’impetuoso presente.

Ripenso ad una recente conversazione avvenuta in treno con una signora di sicuro più giovane di te e più anziana di me. Quel riconoscersi in una tappa della vita dove l’inevitabile  rallentare permette di gustarsi altri paesaggi. La signora in questione mi racconta dei viaggi che fa per l’Italia diretta a trascorrere qualche giorno con i suoi figli distribuiti in diverse regioni del nord.

Ora finalmente in pensione posso permettermelo e mi gusto il piacere di un riposo fatto di ciò che più mi piace. Incredibile come scambi così banali siano del tutto ignari di ciò che possono attivare nella mente di chi li raccoglie. Forse neppure ci si immagina di quanto le nostre normalità possano essere per altri orizzonti irraggiungibili e paurosi e, con il mio migliore sorriso di circostanza, cerco di cacciare il fondo alla scena tutte le ombre che improvvisamente mi affollano i pensieri.

Accompagnata da quel lento dondolio del treno, continuo a ripensare al tuo invito a proteggersi un poco, a risparmiare energie e a non esagerare sapendo che, mentre lo faccio, sto sicuramente eccedendo in qualcosa. La nostalgia è già pungente come quella malinconia che svela l’inevitabile.

Come si fa a non stancarsi quando la vita ti pone di fronte a certe avventure? Come continuare a prendersi cura di chi ogni giorno reclama bisogni precisi non smettendo di cercare, al tempo stesso, luoghi di riposo e di ricarica con altri che si prendano cura di te?

Ce lo rammentiamo spesso, noi madri impegnate in storie fatte così, il nostro bisogno di non trascurarci che è un richiamo a quella cura di cui noi stesse abbiamo necessità per continuare a stare vicine ai nostri figli.

Non ti stancare! Nessuno dopo di te mi guarderà più allo stesso modo e ancora mentre sei qui, sento già il doloroso vuoto della perdita.

Persa nei vostri sguardi

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persa nei vostri sguardi

di Irene Auletta

Quante volte mi sono ritrovata a guardarti da non molto distante mentre tuo padre prova a orientare il tuo sguardo. Guarda Luna sta arrivando mamma! L’hai vista è proprio lì davanti a te! E tu che cerchi, curiosa e al tempo stessa confusa di fronte a quello scarto tra il desiderio di incrociarmi e gli occhi che non ti permettono ancora di raggiungermi.

Esclusi i problemi di vista, negli anni abbiamo intravisto uno di quegli effetti bizzarri difficili da nominare che bussano tutti lì, alla porta di quei danni neurologici che solo linguaggi molto tecnici sono in grado di dire.

Qualche giorno fa ho proposto a mia madre di accompagnarmi a fare una piccola commissione che la riguardava e per la quale le dico che è importante la sua presenza. Negli ultimi anni appare sempre molto stanca e ciò che una volta le piaceva assai oramai pare abitare un mondo lontano. Per non farla affaticare le propongo di aspettarmi mentre vado a prendere l’auto.

Mamma, mamma, eccomi. Li all’angolo della strada vedo un’anziana signora che si guarda intorno smarrita e con lo sguardo, esattamente come accade anche a te, mi passa oltre senza vedermi. La vedo persa e mi accorgo che anch’io mi sento un po’ come lei. Le vado incontro cercando di sorridere. Mamma ti ho chiamato più volte, non mi hai sentita? Sto diventando proprio vecchia, mi risponde e tante volte mi sento proprio svanita!

Per la prima volta metto insieme le due diverse situazioni che vivo come madre e come figlia. I vostri sguardi che faticano a rintracciarmi, le vostre espressioni confuse, gli occhi che mi attraversano. Sento un pizzico al cuore e stavolta capisco perché. In quella frazione di tempo sono persa anch’io insieme a voi ma in un mondo destinato a non raggiungervi mai.

Mi sento persa nei tuoi occhi di figlia e mi vedo scomparire nei tuoi di madre. A me il compito di riportarmi con i piedi per terra.

Si mamma, forse stai davvero diventando svanita! ti dico provando a sdrammatizzare mentre insieme ridiamo della parola utilizzata che, tuo malgrado, oltre il sorriso di apparenza mi lascia tutto il sapore della tristezza per l’irraggiungibile.

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