Memoriando

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Il navigatore oggi mi ha fatto una sorpresa. Nella zona dove ancora oggi abitano i miei genitori e dove sono cresciuta, mi capita di tornarci spesso ripercorrendo quasi in automatico le stesse vie. 

Stamane una serie di lavori in corso mi ha costretto a diverse deviazioni in percorsi apparentemente estranei che pian piano sono tornati ad essere familiari.

E’ vero … qui abitavano gli zii!! … E quest’altra vita cosa mi ricorda? Oddio il mio primo tirocinio .. ma che anno era? Possibile che siano già passati quarant’anni … aiuto! E così, procedendo, i luoghi fisici accompagnano l’emersione di volti, episodi, ricordi ed emozioni.

Poco dopo mi ritrovo a raccontarlo ai miei genitori e a condividere alcuni passaggi. Mia madre ascolta con uno sguardo un po’ spento e quasi assente che ogni tanto scoppia in un sorriso bellissimo. Me lo tengo lì vicino al cuore e proseguo nella mia narrazione.

Mia figlia mi ha aiutato a costruire dialoghi lenti, semplici con pause di silenzio e questo mi fa sentire a mio agio. 

Mamma riemerge con ricordi datati e ogni volta mi dice ma tu te lo ricordi? Si mamma ricordo tutto e oggi lo faccio anche per te permettendoti di spulciare qua e là quello che è possibile.  Di fronte a domande specifiche mi muovo tra luci e tenebre e un paio di volte mia madre mi interrompe. 

E’ fortunata Luna … E’ fortunata. Anch’io lo sono mamma non dimenticarlo mai, dico evitando che la voce si rompa troppo.

E mentre mio padre insiste per accompagnarmi all’auto mi coglie alla sprovvista. Ma tu come stai?  Che strano, credevo di aver risposto anche prima … o no?

Bene papà, tutto bene. 

Si, si, tu stai sempre tutto bene ma io lo so che spesso stai sulle montagne russe. Tieniti forte, figlia mia.

E così parto. Con il cuore ricco e pesante, pieno di tanto e di una rinnovata preziosa indicazione.

Mi tengo forte.

Ci vuole un fisico bestiale

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di Irene Auletta

Tra gli aspetti ricorrenti di una grave disabilità c’è sovente quell’aspetto fisico che tradisce l’età. Si, perché il ritardo si dipinge frequentemente sul volto e nel corpo, mantenendo a lungo tratti assai infantili per poi cedere di colpo, per quanti vanno avanti negli anni, in una sorta di vecchiaia precoce, dando spesso l’impressione di trovarsi di fronte a bambini vecchi.

E così, mentre faccio questi pensieri affatto lieti, incrocio il tuo sguardo dolcissimo e proprio lì ritrovo la causa. Difficile trattarti da adulta quale sei, mantenere sempre la lucidità necessaria per non cedere a facili infantilismi, essere semplice, rispettando le tue reali possibilità, ma senza banalizzarti.

La cosa che mi colpisce, e dispiace, e’ quando anche insegnanti e operatori scivolano nelle stesse trappole dei genitori, perdendo così l’occasione di aiutare le famiglie, esibendo altre possibilità. Dobbiamo fare ancora tanta, tanta strada in questa direzione.

Mentre mi ascolti seria, facciamo uno dei nostri patti segreti. Ci proverò sempre, ogni giorno, a rispettare i tuoi anni, le tue esperienze e la tua storia. Continuerò sempre a chiederti un po’ di più di quello che puoi fare facilmente e cercherò di sorridere anche di fronte a quelle “bocche storte” che mi considerano troppo severa, in altalena al loro “ma poverina!”. 

I nostri linguaggi d’amore non mancheranno mai ma, allo stesso modo, non dobbiamo smettere di sperimentare dialoghi e modi di stare che sappiano aprire anche altre possibilità. Ce lo dobbiamo reciprocamente e, sicuramente, la continua ricerca non ci farà mai stancare del nostro incontro.

Eh già, perchè anche questo è un bello sgambetto della vita. Io e tuo padre che siamo sempre alla ricerca di novità, che non ci fermiamo mai di fronte a ciò che abbiamo raggiunto, che siamo affascinanti, seppur in modi differenti, dalle possibili trasformazioni, da ormai quasi ventitré anni ci troviamo a ripetere gli stessi gesti e comportamenti. Continuare a cercare, provando a non farsi sopraffare da quel gusto amaro che non mi lascia mai, è una gran bella scommessa. 

Quando si ama un figlio, non lo si ama perché è venuto come ci aspettavamo. Il vero amore per i figli è l’amore per la difformità del figlio, dice lo psicoterapeuta Massimo Recalcati. Forse, in questa nostra avventura, vuoi vedere che partiamo pure in vantaggio?

Ci vuole un fisico bestiale, diceva una simpatica canzone di parecchi anni fa, e così, mentre te la canticchio, incrocio le dita. Siamo forti, ti dico sorridendo, dici che ce la facciamo? 

Madri in viaggio

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di Irene Auletta

I post relativi alla giornata della festa della mamma scorrono veloci sulla mia Home di Facebook e sto quasi pensando di rilanciarne uno dei miei già pubblicati per la stessa ricorrenza. Rileggendone alcuni però mi accorgo che ognuno, degli anni passati, trattiene un pezzo peculiare di storia e sentimenti legati a quel particolare momento. Tante emozioni e molti pensieri sono naturalmente ancora oggi validi ma forse, nel tempo, sono un pochino maturati.

Sono fortunata perchè mia madre è viva e perchè ancora oggi ci sono momenti di un’intensità unica che nutrono una storia madre e figlia, arricchita di moltissime sfumature, tra gioie brillanti e dolori immensi. L’ho detto tante volte e ogni anno che passa ne ho solo la conferma. Quel posto non potrà essere occupato più da nessun altro e di quel vuoto me ne sto già iniziando a prendere cura quando guardo quegli occhi anziani, pieni di tanta vita.

Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei ridotta così? L’hai detto proprio ieri, dopo una bella giornata trascorsa insieme, mentre stai facendo una fatica immensa per fare gli ultimi passi di un breve tragitto. Ma appena ti dico che sei ancora qui, vicino a me e a Luna, tu sorridi leggera e quell’attimo rimane immortalato.

Siamo solo noi quattro, io con mia figlia e i miei genitori. Un gruppo che a vedersi credo appaia parecchio folcloristico nel suo genere. Mi ritrovo in diverse occasioni ad avere entrambe le braccia occupate. Mia madre a braccetto e mia figlia per mano. Ieri e oggi, con tanta vita in mezzo.

Chi l’avrebbe mai detto che sarei stata una madre così? Mi sento universo tra universi e ho accettato da anni molti vuoti che mi separano dalle altre esperienze. Anche le persone a me più vicine credo che sovente neppure immaginino quanto alcune espressioni o commenti sui loro figli possano darmi piccoli pizzichi e quanto segnino la nostra distanza siderale.

Però mi sento anche assai vicina a tante altre esperienze che provo a coltivare come un giardino segreto e prezioso, di quelli dove ci si tiene per mano nella stessa avventura e dove le parole, pian piano, non hanno più bisogno di dire. , si sente.

Siamo in viaggio e ognuna deve prendersi cura del suo, come può.

Auguro a noi tutte la possibilità di apprezzarne ogni singola tappa dandosi il tempo di fermarsi e di dedicarsi un fiore. Ogni tanto.

Essere tua madre

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di Irene Auletta

Quindi anche sua figlia quest’anno sta facendo gli esami di maturità? Domande buttate lì, tra quasi estranei, che ogni volta mi pongono di fronte ad un bivio. Faccio finta di nulla e rispondo in modo evasivo, oppure? Oppure.

Reduci da una piccola ennesima prova che hai dovuto affrontare, e noi con te, ogni volta mi accorgo ti quanto sei cresciuta, del tuo coraggio e della forza che metti tenacemente nel modo di incontrare la vita. Tu che continui a insegnarmi a vedere il bello tra le ombre, a non perdere occasioni per sorriderci e dare valore a ciò che non può mai e poi mai essere dato per scontato.

Così, come è quasi impossibile aiutarti a prefigurare quanto ti sta per accadere, allo stesso modo il tuo vivere nel presente diventa una possibilità per lasciarsi alle spalle, forse più velocemente, fatiche e momenti difficili. Quante tracce rimangono dentro di te di quello che attraversi? Non lo saprò mai, ma oggi riesco anche a dirmi che non importa, perché questa è la tua storia.

In questi giorni raccolgo commenti su una nostra foto. O meglio, su un’immagine di un tuo profilo vicino alle nostre mani intrecciate. Parlano di madri e figli, del legame forte e di quel patire tutto femminile di fronte alla fragilità di un figlio. Ed è proprio questa la storia delle madri e ognuna, nella sua cornice di vita, lì impegnata a dipingere il suo quadro, ai suoi occhi unico e speciale.

Per me, essere tua madre vuol dire ogni giorno sentirsi un po’ meno originale e cogliere un battito all’unisono che posso condividere con molte altre donne. Madri o non madri, con figli grandi o piccoli, con figli disabili o senza alcuna difficoltà. Proprio questo ho sentito forte nei messaggi ricevuti in questi giorni e nei pensieri di vicinanza che ci hanno fatto compagnia.

Volersi sentire a tutti costi speciali o pensarti così, fa parte di quella storia passata che mi vedeva a cercare nella matassa dolorante di ciò che non sarebbe mai stato, qualche filo risplendente di luce che in realtà rischiava di allontanarmi da ciò che sei. Oggi, essere tua madre vuol dire costruire ogni giorno una nuova possibilità , andare alla ricerca di fonti di forza per potertene fare dono, non perdere occasione per gustarsi la bellezza, vivere l’allegria per continuare a insegnartela.

Ma più di ogni cosa e sopra qualsiasi altra, esserlo vuol dire che tu, e solo tu, sei mia figlia. Tra orgoglio, amore e dolore. Sempre.

Genitori e pizzichi

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genitorialità 1

di Irene Auletta

Mi è sempre piaciuto lavorare con i genitori e, posso dirlo con assoluta certezza, ho iniziato a farlo quando ancora non era di moda. Dedicando molto tempo ai servizi per la prima infanzia ho avuto modo di incontrare soprattutto madri che, negli anni, ho imparato a guardare e ascoltare, cogliendo quelle tante sfumature che sovente si perdono in passaggi frettolosi.

Ho visto che ha imparato a fare … Adesso è capace di … Ma è normale se fa questo? Ieri ha detto per la prima volta ‘mamma’ …. Cammina da una settimana. Sono le primissime battute di quell’incontro genitore e figlio che segneranno una storia intensa destinata a crescere, insieme ai suoi protagonisti principali.

Proprio ora, che il dolore si è fatto meno acuto mi accorgo che, anche grazie a questi incontri, negli anni ho raccolto e nutrito comprensione per me e per le madri e i padri che, sin dall’avvio della loro storia iniziano invece a fare i conti con ciò che manca, che è lento, in ritardo e che forse, non accadrà mai.

Ho sempre sostenuto a gran voce che i bambini e i ragazzi disabili sono molto altro di ciò che sanno fare e devo riconoscere che forse mi ha dato forza proprio l’impossibilità di accettare che la meraviglia del nostro incontro e tutta la sua complessità, potesse risolversi in quelle categorie di apprendimento che, appunto, riguardano chi incontra la vita non portandosi nel suo speciale zainetto una qualche disabilità.

La mia esperienza di genitore mi ha chiesto, necessariamente, di interrogare il ruolo e di prendere contatto con qualcosa che conoscono bene le persone che attraversano esperienze analoghe. Nel farlo, e nel confronto quotidiano con la mia ricerca professionale, ho ritrovato quei fili comuni che uniscono, quei toni caldi che accompagnano, quegli sguardi che raccontano incontri. Ho trovato storie di genitori.

Grazie per questo confronto, mi ha detto di recente una madre impegnata in un difficile momento con la figlia diciassettenne. Mi sono sentita davvero molto accolta e compresa. Posso farle una domanda personale … anche sua figlia frequenta il liceo?

A volte alcune domande aprono mondi, altre producono solo un piccolo pizzico al cuore. No, ho risposto, però è una bella maestra di opposizione e ogni giorno mi costringe a imparare qualcosa di nuovo!

Educazione al muro

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images.jpg mondo azzinanodi Irene Auletta

Passeggiamo incantati tra le vie di questo piccolo paese sorpresi del saluto puntuale delle poche persone che incrociamo. Passando vicino ad un’abitazione decidiamo di chiedere informazioni ad un signore che, in tuta da lavoro, è impegnato ad innaffiare il suo giardino.

Il nostro è un piccolo paese di centoventi abitanti che si animava solo in occasione della festa annuale. Faccio parte della proloco e con un piccolo gruppo di cinque, sei persone abbiamo iniziato a riflettere sulla possibilità di rendere più visibile il nostro paese e aprirlo al turismo e alle visite di più persone…. come voi ora! Ci piace incontrare tante persone e condividere con loro le nostre idee e le nostre bellezze.

E cosa viene in mente di fare a questi signori come attrattiva? Di far comparire sui muri delle abitazioni dei disegni a tema che ritraggono i giochi di una volta intrecciando colori e ricordi, fantasia e creatività, storie e cultura. Il paese di cui parlo si chiama Azzinano di Tossicia in provincia di Teramo e di certo gli interessati potranno trovare in rete tutte le informazioni relative, le immagini e le curiosità.

A me piace solo raccontare la piccola storia di questo incontro e l’aria fresca che mi ha permesso di respirare. Erano giorni in cui sentivo un certo disagio che non riuscivo a nominare e che puntualmente si ripresentava di fronte ad un ricorrente atteggiamento collettivo sfiduciato, polemico, rivendicativo e assai poco incline a intravedere possibilità future.

Fatico sempre a dare un senso al lamento continuo ma questa sensazione era qualcosa di più e di diverso che mi faceva sentire quasi un po’ stupida nel mio bisogno di recuperare significati legati a fiducia e speranza.

Mi occupo di educazione accidenti come faccio a continuare se non intravedo possibilità nel futuro?, pensavo. I bambini e i giovani non possono continuare a nutrirsi dello sconforto degli adulti e del loro pessimismo che sembra presentargli un mondo finito o, peggio ancora, irrecuperabilmente marcio. Non possiamo più, come adulti, non assumerci la responsabilità di quello che stiamo insegnando con i nostri commenti sempre distruttivi su quello che ci circonda.

E con tale stato d’animo, mi ritrovo a passeggiare per queste vie e proprio nella piazza centrale mi sorprende il dipinto più recente, in memoria di Mario Lodi, pedagogista e scrittore di cui percepisco quasi la voce autorevole, fantasticando un messaggio.

Cari signori stiamo parlando di bambini … Avete presente chi sono? Ricordate ancora la meraviglia della scoperta, del gioco, della vita?  Riuscite ad assaporare il loro bisogno di imparare e sperimentare? Smettetela di polemizzare e occupatevi seriamente del loro futuro!

Ecco cosa mi ci voleva. Mi sono ritrovata, per mano a te, in un momento rubato di impagabile libertà, vedo chiaramente la mia via.

Amori di alta moda

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Luchino Dal Vermedi Irene Auletta

Siamo stati a far visita ad un grande vecchio. Un signore, un nobile, un uomo centenario che ha attraversato la storia del nostro paese da protagonista e che, alle soglie del suo tramonto, trasmette ancora il fuoco della passione, attraverso i sensi assopiti dall’età.

Mi aspetto di incrociare molti visi familiari di persone che so per certo lo hanno conosciuto narrandone il valore e l’onore dell’incontro. Abbiamo la fortuna di arrivare in un momento buono e di avere il lasciapassare di anni di conoscenza e di stima. Trascorriamo un’ora in compagnia del festeggiato e ci immergiamo in un mondo di storie, ricordi, vite vissute che traspirano da ogni oggetto e da ogni angolo presente nella casa.

Deve tornare per conoscere mia moglie, mi dice, lei è speciale, lei è tutto.

La signora purtroppo è influenzata e non abbiamo modo di incontrarla e salutarla ma lui non perde occasione per nominarla con una leggerezza e amore che trasmettono un’intensità potente.

Mi accoglie e saluta con un baciamano, gesto d’altri tempi fatto con un’eleganza inattesa da parte di un corpo anziano. Qui resistono le storie, gli amori, le passione, il valore dei gesti insieme ai loro inconfondibili significati.

Incrocio un solo viso familiare, di una persona troppo speciale per non essere presente, ma degli altri neppure una traccia lontana.

Contagiati dall’epoca del nulla, del passeggero, del dimenticato in un attimo, del senza radici, forse noi tutti rischiamo di essere trapassati dagli eventi, senza assaporarli fino in fondo e smarrendoli nell’oblio della memoria.

Gli incontri e gli amori speciali hanno un carattere unico e oggi mi hanno fatto sentire una persona molto privilegiata. Per questi, non ho alcun dubbio. Anche a costo di essere fuori moda, non mi piacciono prèt-a-porter.

In punta di piedi

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In punta di piedidi Irene Auletta

Mi piace immaginarmi così, quando entro nelle storie altrui e mi ritrovo ad ascoltare frammenti di vita, di amori, di fatiche e di dolori. L’ho scelto anche per professione e condivido questa passione con importanti e preziosi compagni di viaggio.

Nel mio incontro con educatori e insegnanti mi imbatto sovente in affermazioni che immagino familiari a molti, perchè assumono le vesti dei luoghi comuni. Tra le più gettonate ne ricorre una. I genitori non capiscono che facciamo o diciamo alcune cose per il bene dei loro figli!  

Appunto. Il bene dei figli non dovrebbe riguardare proprio i genitori?

Durante un recente colloquio con nonni che hanno perso la loro figlia e si occupano del nipote, il dolore è straripato dalle trame della comunicazione. Voi siete tecnici, non potete capire l’amore … di quello ci occupiamo noi! 

Qualche anno fa forse avrei fatto fatica a capire e ad accogliere reazioni di questo genere, presa anch’io da quel senso di onnipotenza che spinge molti operatori a sentirti portatori della verità. Oggi no.

L’amore e gli affetti cari sono faccende assai delicate. Me lo ha insegnato la vita più che i miei studi ed è un apprendimento che custodisco gelosamente come un oggetto prezioso, ogni volta che incontro storie. Alcune sono più fragili di altre e richiedono una cura ancora maggiore e un grande rispetto.

Qualche anno fa, mentre mia figlia stava attraversando un momento molto delicato della sua vita, un medico mi tempestò di domande e cogliendo il mio disappunto per la sua intrusione sbottò dicendomi che non capivo. Quello che stava facendo era per il bene di mia figlia e non per divertirsi. Chissà se in quel momento, o in altri della sua carriera, quel medico si è mai fermato a pensare che così dicendo stava insinuando che lo stava facendo al mio posto oppure che io non lo facevo abbastanza? Brutta bestia l’arroganza sorella della presunzione.

Però, negli anni, l’ho ringraziato tante volte a distanza insieme ad una cerchia di altri personaggi che mi è capitato di incrociare, come esempio da non dimenticare solo per poterne sempre prendere distanza.

Forse noi tutti, nei nostri incontri, siamo come ballerini della vita. Abbiamo bisogno di passare per la goffaggine, i piedi pestati, gli spintoni per arrivare a gustare l’armonia di un passo in punta di piedi. I più fortunati di noi, riescono anche a volteggiare, ma per questo ci vuole tanta pazienza e un pizzico di magia.

Anime in pena

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anime in penadi Irene Auletta

Nel mio lavoro raccolgo storie.

Storie di amori, di passioni, di dolori, di gioie e di tradimenti.

Le vicende di tradimento sono tra le più delicate da trattare e a volte, nell’ascoltarle, si crea uno spazio empatico così potente che mi pare di essere lì, tra le pieghe di quelle emozioni e di quel senso di smarrimento.

Certo che spesso sono coinvolti gli uomini o le donne, compagni di vita, ma altrettanto di frequente il senso di tradimento si estende ai propri genitori, ai figli, alla vita stessa.

Qualche tempo fa un padre, guardando negli occhi sua figlia sedicenne, gli ha detto con rabbia e amarezza: tu, sei la mia più grande delusione. Non è anche questo una sorta di tradimento?

Nei dibattiti al femminile, e forse anche in quelli al maschile, trovo che su questo tema ci sia ancora molta strada da fare, perchè le questioni dell’amore e della passione sono ancora molto spesso legate a quelle del possesso dell’altro e della radicata idea di proprietà. Ogni tanto mi sembra di essere ancora immersa nel clima di alcune commedie italiane, dove Monica Vitti e Alberto Sordi ci hanno fatto ridere, piangere e sognare.

Forse oggi, dopo aver incontrato i miei personali tradimenti, mi piace spostare il piano dalle persone ai sentimenti, perchè sono proprio loro quelli che vengono traditi.

Per andare oltre credo sia importante imparare andare a fondo di quel dolore per scoprire cosa ci racconta di noi, delle nostre storie e del nostro modo di stare nelle relazioni. Solo così possiamo andare oltre l’idea che il tradimento sia associato solo alle mitiche corna del compagno o della compagna, volgendo lo sguardo a quella, ben più complessa, che molte volte ognuno di noi agisce verso se stesso. Si, il tradimento peggiore, credo sia proprio questo, ma è anche il più difficile da riconoscere, da trattare, da scaldare tra le mani.

Sarebbe bello insegnarlo ai nostri figli o ai ragazzi che incontriamo nel nostro lavoro. Magari lo stesso si può fare anche con alcuni adulti, senza negarne le fatiche e le sofferenze ma rilanciando la possibilità di imparare qualcosa su di sè e sulla propria visione del mondo.

Penso a quel padre e a quando l’ho incontrato da solo, invitandolo a parlarmi della delusione che aveva quasi urlato in faccia alla figlia. Incontro caldo, quasi sospeso nel mondo. Uscendo dalla porta ho visto le sue spalle curve, schiacciate dalla delusione verso se stesso. La prossima volta che lo incontro spero di riuscire a fargli intravedere ciò che da questa esperienza può imparare sul suo essere padre e sulle nuove possibilità per incontrare la figlia.

A volte, imparare, costa caro.

Storie impegnative

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equilibristidi Irene Auletta

E’ qualche giorno che l’argomento mi frulla in testa e, pian piano, si sono uniti i tasselli che mi hanno portato davanti alla tastiera del mio MacBook. Monica, lei sa chi, mi ha dato un’ulteriore spintarella offrendomi uno spunto che mi ha subito suggerito il titolo.

Si, perchè credo che ci siano vite più impegnative di altre o, per meglio dire, momenti della vita più complicati da vivere e da gestire. Non mi è mai piaciuto fare la classifica dei dolori e delle fatiche e, al contrario, rifuggo abbastanza l’idea che qualcuno, rivolgendosi magari a me, possa anche lontanamente pensare: è lo dico proprio a te? 

Però non mi piace neppure quando tutte le differenze si azzerano, quando ogni dolore diventa una cosa buona e quasi una fortuna, quando tutto finisce nello stesso calderone, fino a mettere insieme e sullo stesso piano, la preoccupazione per un figlio gravemente malato e quella per gli insuccessi scolastici della prole.

Ogni riferimento a persone e fatti non è assolutamente puramente casuale.

Poi c’è un’altra cosa che proprio non mi va giù ed il fatto che nel linguaggio dominante la parola preoccupazione sembra essere stata sostituita totalmente dalla parola ansia e dalla sua banalizzazione che, in un’accezione ignorante, tende a ridurre una grande complessità ad una leggerezza emotiva e/o caratteriale. Quante volte sentiamo definire un genitore ansioso o noi stessi ci presentiamo così?

Io, che sono un po’ fissata con le definizioni e trovo sempre affascinanti i significati, vorrei rivendicare la possibilità di poter dire e sentir dire, che alcune situazioni preoccupano e che, in alcune storie particolari, l’unica cosa da fare per sopravvivere è trovare un modo per stringere amicizia con la preoccupazione fino a farla diventare una compagna di viaggio più che una nemica da combattere ogni giorno.

Rivendico il diritto di essere una madre preoccupata sempre, a volte un po’ meno e a volte tanto da trattenere il fiato. Mi piace pensare di far parte di un gruppo di madri, padri, fratelli e sorelle che non si possono liquidare e rinchiudere nella scatola delle persone ansiose.

Le storie impegnative sono così e a volte si abituano a convivere con l’ansia ma, con la preoccupazione, mai. Sicuramente la cosa mi riguarda tanto come madre perchè il mio compito è occuparmi di mia figlia e, per la sua particolare storia, io sono chiamata ad occuparmi prima di tante cose, a pre-occuparmi e, inevitabilmente, come suggerisce l’etimo della parola, ad essere spesso in pena per lei.

Non escludo, naturalmente, l’idea che si possa anche parlare di ansia ma, per quello che mi riguarda, ad eccezione che si recuperi il suo significato originario e ci si riferisca ad un “eccesso di agitazione dell’anima motivata da incertezza”.

A ognuno di noi, il compito di stare in equilibrio tra le parole, i loro significati e le emozioni delle nostre storie.

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