di Nadia Ferrari
Sento e vedo diversi istituti scolastici ed insegnanti che si sono prodigati ed organizzati affinché anche in questa strana settimana, che con certezza lascerà segno nella nostra memoria individuale e collettiva, si possano svolgere regolarmente le lezioni e fare i compiti attraverso smartphone e tablet da casa.
Non so se sono io come insegnante ormai fuori moda, o se è perché sono docente della scuola dell’infanzia e quindi niente compiti e lezioni che non si possano recuperare con calma al ritorno, ma queste iniziative mi fanno pensare al rapporto con il tempo che ha la nostra scuola.
Di come nemmeno un’emergenza planetaria riesca a frenare l’idea che a scuola non c’è tempo da perdere, che bisogna correre sennò si perde chissà che cosa. E stiamo parlando di una sola settimana di chiusura in cui, mi ricordava una collega, almeno due o tre giorni erano già destinati ad essere vacanza!
Io, sinceramente, se pensassi a cosa può servire in fretta agli allievi in questo momento, opterei per trovare tempi e modi atti ad elaborare con loro le idee (e le emozioni) di paura, di vita, di morte e di “finitudine” che questo virus irriducibilmente fa incontrare.
In questo credo che i nostri allievi non andrebbero lasciati soli.
In alternativa lascerei che in questa occasione non programmata come vacanza si possano godere del tempo “vuoto”.
Cosi ha scelto di fare il preside di uno storico liceo scientifico milanese che sulla home del sito pubblica una lettera agli studenti (https://www.liceovolta.it/nuovo/).
Partendo da una citazione dei Promessi sposi, invita i suoi studenti a fare una vita normale, fatta di passeggiate, di buone letture, ponendo l’attenzione a quello che potrebbe rivelarsi la vera emergenza: l’avvelenamento della vita sociale.
Li saluta infine con un vi aspetto presto a scuola!