Padri

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di Irene Auletta

Uomo difficile mio padre, figlio di quella generazione che chiedeva una durezza forse per lui neppure facile da tenere e che, come figlia, sto riscoprendo ora con tutta la sua ambivalenza.

Ora, che riesce sempre meno a definire rotte, impartire direzioni e stare al comando, sembra smarrito e senza parole. Lui che di parole ne ha spese sempre poche a dispetto del suo sguardo tanto espressivo.

Da giovane, pur amandolo, speravo di non assomigliargli in quasi nulla e con il passare degli anni mi sono dovuta misurare tante volte con quelle sue parti aspre, a tratti assai severe, che mi ha lasciato in eredità.

Ora, vicino ai novant’anni fatica a dirsi anziano anche se gli occhi e la postura sono sempre di più quelli di un gigante stanco. Così lo vedo quando riesco ad andare oltre quella corazza che, ancora oggi, non rende semplice il nostro incontro e che patisce l’assenza dello sguardo amorevole e di mediazione costante di mia madre. 

Con lei è sempre stato tutto più facile e oggi, che mi riconosco così simile, ne sento tutta la presenza e la potenza nonostante abiti sempre di più in mondi paralleli. Se tutti mi volessero bene come la mia Irene! Me lo dici ogni volta che ci vediamo, a volte con tanta distrazione nello sguardo, quasi io non fossi lì vicina. E io, non faccio altro che dirti che ci puoi contare eccome, sul mio immenso bene. Sempre.

Guarda che anche tu non sei più una ragazzina mi ha detto ieri mio padre mentre, forse per la prima volta, mi parlava della sua possibile morte. Cosa intendi papà? Alzando le spalle mi ha detto che bisogna imparare ad arrendersi e che lui non ne e’ mai stato capace. Silenzio, per il resto del viaggio mentre guido verso la nostra meta.

Arrendersi. La parola mi rimane nella mente e stamane mi risveglia con tutti gli interrogativi del caso. 

Vorrei raccontarti papà di quanto mi impegno ogni giorno in questa direzione e di come solo stare nel fluire delle cose, senza resistergli continuamente, rende possibile l’incontro con quanto la vita mi chiede di affrontare. Sicuramente c’è ancora tanto da perfezionare ma, se ti assomiglio anche nella longevità, potrei migliorare ancora parecchio. 

La prossima volta magari riesco a dirtelo. 

Magari, chissà.

Oltre la genetica

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Negli ultimi mesi, complice una legge che sta aprendo nuove possibilità di esperienze di vita autonoma,  ho incontrato diversi gruppi di genitori con figli disabili adulti sul tema del Dopodinoi. 

In uno degli ultimi di questi una madre, parlando di sé, si è definita con il nome della sindrome del figlio. Non è una cosa abituale e credo che riguardi esclusivamente il mondo delle madri. Almeno, io non ho mai sentito un padre fare lo stesso.

Ricordo ancora qualche anno fa quando una signora si rivolse a me dicendomi che non aveva capito che “anch’io ero una mamma Angelman”. Al momento la cosa mi aveva lasciata un po’ stupita e confusa e non nascondo qualche battuta ironica, rimasta imprigionata nella mia testa.

Tuttavia negli anni mi è capitato sovente di riflettere su questa definizione che, in alcune occasioni, mi è parsa assumere una vera e propria forma di identità, come a definire una categoria di appartenenza. Sicuramente anche le nuove forme di comunicazione offerte dai social media hanno aperto possibilità differenti di pensarsi gruppo e di riconoscersi in esperienze comuni. E già solo questo mi pare una buona cosa.

Incontrando questi genitori, come sovente mi accade, rifletto aiutando loro a riflettere e la veste professionale mi scalda quasi a proteggermi dalle tante emozioni che, inevitabilmente, emergono trattando tali argomenti. Persone che dopo anni hanno ancora voglia di incontrarsi e confrontarsi non possono che suscitare la mia stima e spesso mi accorgo di incrociare persone, madri e padri, davvero straordinarie. 

E così oggi tornando a casa ho ripensato proprio a quella madre citata all’inizio e alle domande che ancora mi girano in testa. Come te, ho un mondo segreto solo mio? Sono testarda, oppositiva, tenace, attaccata alla vita, solare, avvinta alla meraviglia della vita con una certa innata disponibilità al sorriso?

Si, figlia mia, mi sa che sono decisamente un po’ Angelman anch’io.

Tanti amici, tanti libri

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di Igor Salomone

Dicembre è inziato ed è iniziato il conto alla rovescia. Qualsiasi cosa significhi per ognuno il Natale, quel che è certo è che lo aspettiamo tutti. Perchè il Natale, comunque la si veda, è magico, illuminato di luci che si accendono in quantità inversamente proporzionale alla luce del sole che invece diminuisce, si smorza, si ritrae, regalandoci colori e atmosfere unici, intrisi di intimità, gioia e malinconia.

E anche un po’ di frenesia per la dimensione consumistica che tutti aborriamo e tutti, chi più chi meno, frequentiamo.

Del resto sembrerebbe che io sia qui per alimentarla, invece no. Un libro è sempre un ottimo pensiero, costa poco e dura molto e, nel caso decidiate di acquistare L’eredità spezzata direttamente da me, alleggerirebbe le code nei negozi e il traffico cittadino.

Quindi, mentre accendete le candele per scaldare l’atmosfera dei tramonti sempre più precoci, affrettatevi a scrivermi e a prenotare le vostre copie!

Per aderire all’offerta 2×1 (due copie a 15€, spedizione compresa), scrivete a:

eredita.spezzata@gmail.com

specificando la quantità. Consiglio: prenotatele in numero pari…

Buone feste, buon solstizio, buon Natale a tutte e tutti

Igor Salomone

Santi, esploratori o acrobati?

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Strategie materne e strategie paterne di sopravvivenza

Sintesi del mio intervento al Convegno ORSA 2018

 

di Irene Auletta

In platea ci sono padri e madri. In modo assolutamente personale e riservato, provate a scrivere su un bigliettino, sul vostro smartphone oppure semplicemente nella vostra memoria, alcune di quelle che riconoscete come vostre personali strategie. Non dovrete consegnarlo a nessuno ma quando vorrete potrete scambiarlo con il vostro compagno/a o con chi desiderate per raccogliere un pezzettino di storia che potrebbe anche sorprendervi!

E ora, iniziando la riflessione che avrei piacere di condividere con voi, partirei proprio dal titolo scelto per questo intervento perché il titolo rappresenta già un filtro e una selezione di quanto si vuol dire, sapendo che non si potrà mai dire “tutto” su temi così complessi e articolati. In un convegno come questo mi piace portare riflessioni che mettono al centro i genitori che, esattamente come i loro figli, hanno bisogno di cura e pensieri.

Nel titolo ho raccolto le immagini che più di frequente in tanti anni mi è parso di raccogliere sia nel mio lavoro con i genitori che nella mia stessa esperienza personale di madre di una ragazza disabile. Le immagini hanno evocato parole.

Le parole del santo (un’articolo che parlava di genitori con figli disabili, recitava che questo è un “disegno” di Dio che lo vuole per punire, lo vuole per insegnare, lo vuole per salvare). Da qui forse le parole ricorrenti:

 

  • missione
  • calvario
  • compatimento
  • colpa
  • sacrificio
  • dedizione

Può essere che sempre così sia nato anche il “mito” del DONO ripreso anche nel titolo di un libro scritto da genitori. ”Mattia non cammina e non parla ma grazie alle sedute di riabilitazione intensiva adesso il suo corpo è meno rigido, riesce a stare seduto sul passeggino e riesce ad aprire le manine. Adesso quando lo porto vicino all’interruttore riesce ad accendere e spegnere la luce! Ci segue con lo sguardo, quando diciamo il suo nome Mattia si volta a guardarci” – Il dono più grande a cura della casa editrice Perciballi.

Forse oggi è arrivato il momento di chiarire cosa si può intendere con l’idea stessa di dono perchè letture superficiali o banalizzanti tendono a interpretare come dono la disabilità o la malattia, creando non poche frizioni in chi lo vive in prima persona e che può quasi sentirsi sbeffeggiato, oltre che dalla vita, da queste possibili interpretazioni. 

lo credo che dono non sia tanto ciò che è accaduto, grave malattia o disabilità che comunque rimangono eventi traumatici e dolorosi, ma ciò che essi rendono possibile. E’ l’esperienza di questo incontro che svela misteri e sentimenti inattesi che sovente, appunto, diventano un dono.

Proseguendo …

Alcune parole dell’acrobata … altra immagine evocata dal titolo 

  • equilibrismi
  • in bilico
  • salti mortali
  • pericolo
  • contorsionismi
  • oltre le umane possibilità

In ogni caso l’acrobata sfida il limite e sembra proprio andare oltre le possibilità. In questo l’immagine ricorda tanto i genitori con figli disabili ma anche i figli stessi che nascono con “zainetti” da portare sulle spalle affatto leggeri.

E la terza immagine …

Le parole dell’esploratore

  • ricerca 
  • scoperta 
  • crescita 
  • curiosità
  • tenacia

Perchè queste tre immagini? Forse perchè già queste indicano delle vie possibili come strategie di sopravvivenza

Il problema che personalmente vedo nell’attraversamento  di queste immagini è da una parte l’inconsapevolezza e dall’altra l’idealizzazione di una sola dimensione. Penso che ognuno potrebbe divertirsi a meticciare le parti anche modellandole sulla propria persona e sulla propria storia di genitorialità, individuale e di coppia.

Forse come genitori si attraversano momenti in cui ci si sente più in un modo che nell’altro ma l’importante è variare e non rimanere intrappolati in una sola immagine. La mia esperienza mi ha insegnato che un’evoluzione e una crescita possibile segue anche la crescita del figlio e forse quando il figlio diventa un ragazzo o una ragazza e poi una giovane donna o un giovane uomo, diventa più facile sentirsi più esploratori. Sinceramente è questo l’augurio che faccio a noi tutti perchè alla fine la cosa importante è arrivare a sentirsi “semplicemente” genitori e per dirla con Gregory Bateson avendo speranza che

“Il fiume modella le sponde e le sponde guidano il fiume”

Quanto finora presentato in realtà è solo l’antipasto che introduce ad un altro aspetto a mio parere centrale. Perchè l’idea di sopravvivenza nel sottotitolo?

Sopravvivenza come “provocazione” che parte da una normale reazione iniziale ma che è importante intraprenda un percorso evolutivo che la trasformi tornando ad essere “vita possibile”.

Il sopravvivere, quindi può essere diversamente inteso come 

  • la condizione di chi sopravvive …. nonostante, oppure
  • come fenomeno o processo per raggiungere un nuovo adattamento, un nuovo modo di navigare nella vita

Come punto di partenza mi pare tuttavia molto importante non negare la forza prorompente di ciò che accade ai genitori di fronte all’incontro con la disabilità del figlio con la consapevolezza che la stessa rischia di offuscare il figlio stesso e che la genitorialità, pian piano, deve andare a riprenderselo. Come dico spesso, mia figlia Luna è ben altro la sua sindrome genetica e scoprirlo, ogni giorno, è la mia ricerca di vita.

Per farmi aiutare in questa delicata riflessione, visto che spesso faccio parlare di più le madri, stavolta darò la parola tre padri.

“Nessuno è preparato ad un figlio disabile e quando accade veniamo colpiti da sensazioni di emozioni diverse e spesso contrastanti: il dolore, la rabbia, il senso di impotenza, forse anche la difficoltà ad accettare e a considerare come nostro questo bambino che, a volte fin dal momento della nascita, a volte dopo un po’ di tempo, possiamo vedere così diverso da come potevamo averlo immaginato”. Gianluca Nicoletti

Giuseppe Pontiggia scrive: “I bambini disabili nascono due volte: la prima li vede impreparati al mondo, la seconda è una rinascita affidata all’amore e all’intelligenza degli altri. Ma questa rinascita esige anche negli altri un cambiamento integrale nei confronti dell’handicap … impone la sfida più importante che è la consapevolezza e l’accettazione del limite”

Igor Salomone – Con occhi di padre
“C’è bisogno di parlare di disabilità e genitorialità. Una necessità che sentono soprattutto i padri, perché le madri già lo fanno. Sono loro che vengono alle presentazioni del mio libro dicendomi ‘grazie’ per averle aiutate a capire i loro compagni. Ai padri, nonostante la loro dimensione più pubblica – al lavoro, al bar, allo stadio – mancano gli spazi, o l’abitudine, per confrontarsi col mondo sul loro ruolo di genitore. Una difficoltà che è tipica soprattutto dei giovani padri, quelli con bambini disabili piccoli: i papà più anziani invece, avendo già superato mille problemi, parlano molto più volentieri, creano associazioni, sono più attivi.

Parlando di genitori con figli disabili, a livello psicologico si parla spesso di “Maternità ferita” e “Paternità ferita” e in queste definizioni si riconoscono facilmente gli stereotipi che sovente emergono in proposito. Due per tutti, “madri iperprotettive” e “padri assenti”! Per non parlare poi del tema dell’accettazione che quasi come l’aceto balsamico sembra diventato l’ingrediente indispensabile per tutte le pietanze. Tante parole e definizioni che, inesplorate, rischiano di rimanere vuote. Quello che qui mi preme sottolineare è come le due forme di genitorialità già partono non vedendo “lo stesso film” ma anche reagiscono diversamente alla ferita e alla possibilità di sopravviverci… anche in questo senso è importante pensarsi esploratori curiosi di conoscere sguardi altrui e non rimanere intrappolati nel proprio. 

Un’importante strategia di vita è quella di non rinunciare all’educazione 

  • cosa vorrei insegnare a mio figlio/a
  • cosa penso sia importante nella nostra vita
  • in quali esperienze vorrei accompagnarlo e quali mi piacerebbe fargli attraversare anche con altre persone
  • che figlio è …. che è qualcosa che va oltre la disabilità
  • raccontarsi il proprio figlio e condividerle le immagini anche con altri (mia madre da questo punto di vista mi è stata maestra nella sua capacità di trovare caratteristiche di mia figlia … “Luna è fine e ha un intelligenza simpatica!!”)

Fondamentale (sempre!) lasciare aperta anche la porta dell’“educazione alla vita”

  • Ridere
  • Divertirsi 
  • Trovare scopi 
  • Non rinunciare mai alla ricerca di piccole libertà
  • Non smettere di avere piccoli sogni ed essere felici nel vederli realizzati 
  • Dedicarsi tempo e prendersi cura di sé 

Perchè la suggestione iniziale rispetto alla ricerca delle vostre strategie? Perchè una delle strategie, che può apparire banale ma credo sappiate bene che non lo è affatto è  …. PARLARSI!

Parlarsi e non fare l’elenco delle cose da fare ma fermarsi e raccontarsi cosa sta accadendo nella relazione con il figlio a partire dalle singolari prospettive, dalle gioie, dai timori, dalle fatiche, dalle possibilità, facendo intrecciare gli sguardi diversi, del padre e della madre, e creando spazi perchè possano reciprocamente raccontarsi.

Mi piace salutarvi citando due frasi di un personaggio che per intelligenza e umorismo mi piace molto che è Luciano De Crescenzo

la più celebre 

“Siamo angeli con un’ala sola, possiamo volare solo se restiamo abbracciati” … alle persone e alla vita aggiungerei io 

 

la mia preferita …

“Tutti possiamo reinventarci. Se ci accorgiamo di non esser felici, diamoci una seconda possibilità ….” anche come genitori, diamoci una seconda possibilità!

Buona ricerca a tutti e vi auguro che  ci sia ancora tanta meraviglia, da scoprire e da gustarsi!

Io sono l’eredità

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di Igor Salomone

“Nel mondo dei libri i padri decenti sono molto rari. C’è Geppetto in Pinocchio e Atticus Finch nel Buio oltre la siepe, anche se poi è venuto fuori che in realtà era un suprematista bianco. Quindi rimane solo Geppetto, che però sembrava più un nonno. C’è una lunga lista di padri buoni a metà, uomini che non sono cattivi, ma pigri, inadeguati, ininfluenti o immersi in un mondo in cui i figli non abitano più, troppo invecchiato per permettere la comunicazione.” (oggi su Il Post)

Ti riconosceresti papà? Forse un po’ sì. Forse è il destino dei padri, prima o poi nella vita, sentirsi così. Anche se la tua vita di padre e di uomo è stata molto breve. Mi sono chiesto come ti vedo io, come sei nella mia memoria di te ormai così lontana. E, mannaggia, è un ritratto perfetto. Sin troppo perfetto. Tanto calzante da risultare improbabile.

Eri pigro, inadeguato, ininfluente, immerso in un mondo nel quale io non abitavo già più? Di sicuro è l’immagine di te che ho voluto costruirmi pensando al padre che avrei voluto tu fossi.

Pigro prima di tutto. Quante cose non hai fatto con me? praticamente tutto. In ventitré anni di vita trascorsi assieme ricordo in tutto cinque occasioni nelle quali mi hai accompagnato da qualche parte. E quattro erano musei. In vacanza non ci venivi quasi mai, al cinema non ne parliamo. Neppure nei compiti di scuola tu, maestro elementare, mi hai mai seguito. Per il resto te ne sei sempre stato in casa a farti gli affari tuoi.

Erano gli anni ’70 quelli della mia adolescenza. Figuriamoci se il tuo mondo non mi appariva consunto e polveroso. Tu non capivi, non potevi capire l’enormità del nuovo che stava emergendo. Avevi nemmeno cinquant’anni e ti vedevo vecchio da sempre. Non so se ti sia sentito mai inadeguato come padre, difficile non sentirsi tale in ogni caso. Sulla tua ininfluenza ho però attivamente lavorato giorno e notte da che ho memoria del mio rapporto con te sino al giorno della tua scomparsa. Era il mio compito: cercare d’essere quello che volevo io, indipendentemente da quello che tu volevi fossi. E diventassi.

Insomma, ho dovuto liberarmi di te per diventare quello che sono. Come tutti. Probabilmente è questo che si trova in letteratura: non i padri, ma il parricidio rituale che ognuno di noi deve compiere per crescere e diventare se stesso. Scrittori compresi. I padri non sono di loro né pessimi né scarsi. Tendiamo a pensarli così, per poterci immaginare migliori.

Ma te ne sei andato presto e il parricidio l’hai iniziato tu allontanandoti da me anche prima di lasciarmi definitivamente. Ho avuto così un’infinità di anni per desiderare, cercare e poi ritrovare il tuo lascito trasformato in eredità sotto la mia pelle. Scoprendone, con emozione e stupore, l’enormità.

Ho dovuto scavare a fondo, certo. Andando oltre le somiglianze più evidenti, quelle che mi irritano perché sono sin troppo uguale a te. Ma di ciò non hai colpa: è un problema mio se in qualche cosa sono come te senza averlo trasformato, facendolo diventare me. Come ho fatto invece per tutto il resto, che ho elaborato e digerito così tanto da rendere difficilissimo coglierne le origini. Ma non impossibile.

E così col tempo ho scoperto che mi hai insegnato tanto. Poco di quello che avresti voluto insegnarmi, moltissimo di ciò che eri. E l’hai fatto un po’ con le parole, il più delle volte con il tuo modo di stare al modo, qualcosa evitando proprio di insegnarmela e lasciandomi libero di impararla per conto mio.

Non so papà se ti rispecchieresti in me oggi. Dovresti compiere un’operazione filologica complessa anche tu per riuscirci. Ma ti assicuro che ci sei. Non come avresti voluto esserci, probabilmente, ma questo è un problema tuo. Per conto mio non mi importa un fico, non più per lo meno, che tu sia stato pigro o immerso in un mondo che già allora non riconoscevo più. Per certo mi hai lasciato moltissimo, che tu abbia voluto o meno, e io, oggi, sono l’eredità che ho saputo raccogliere di ciò che tu mi hai lasciato.

Quindi al diavolo tutta la letteratura che non sa vedere oltre il bisogno di ognuno di liberarsi delle proprie origini, diseredandosi al contrario. I padri sono ben altro, bisogna solo sapere dove guardare, ovvero noi stessi e come siamo diventati. Mi sembrava un buon modo per farti quegli auguri che tu non hai mai voluto perché, dicevi, Giuseppe era un padre adottivo. Ma un padre, in qualche modo, è sempre adottivo. Sia nel senso che sceglie di essere padre di un figlio quando lo riconosce, sia nel senso che il figlio, prima o poi, deve decidersi ad adottare il proprio padre per capire di chi è stato figlio.

Auguri papà e, attraverso te, a tutti i padri del mondo.

Ci sono padri

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ci sono padridi Igor Salomone

Ci sono padri che scrutano nei figli ciò che i figli non hanno e non riescono a riconoscerli

Ci sono padri che si riconoscono in ciò che i figli non hanno e per questo li riconoscono come figli

 

Ci sono padri che dedicano la vita ai figli chiedendogli in cambio la vita

Ci sono padri che danno la vita per lasciare ai figli una vita da vivere

 

Ci sono padri che mandano i figli incontro alla morte e poi chiedono vendetta per la morte che li ha portati via

Ci sono padri che non sottraggono i figli alla morte quando la morte viene loro incontro e chiedono silenzio per il proprio dolore

 

Ci sono padri che uccidono le figlie perché hanno osato esprimere la loro volontà

Ci sono padri che lasciano morire le figlie, per rispettare le loro volontà

 

Ci sono padri che sottraggono alla morte i propri figli decidendo della vita

Ci sono padri che insegnano ai figli l’amore per la vita anche accettando la morte

 

Ci sono padri che fanno figli per una felicità fugace

Ci sono padri che nei figli trovano una “perdurante” felicità

 

“Nella vita di un uomo le condanne più dure sono due: dover dar voce a chi non ne ha e decidere per chi non è in grado” (Beppino Englaro)

Sfumature della cura

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le sfumature della curadi Irene Auletta

Mi è sempre parsa un po’ riduttiva l’idea della cura maschile associata ai nuovi papà alle prese con pappe e pannolini, tante volte raccolta dalle voci femminili. Mio marito mi aiuta tantissimo ed è proprio un papà moderno, non ha nessun problema ad occuparsi del bambino e anche lui si sveglia di notte! 

Evviva. Detto questo però mi pare importante provare ad andare oltre i primi due o tre anni di vita per esplorare quelle possibilità di cura che, accompagnando i figli nella crescita, sappiano fare un saltino dopo le cure primarie solitamente rivolte ai piccoli. Mi piacerebbe anche allargare il pensiero pensando ai tanti padri separati che si ritrovano da soli ad occuparsi di qualcosa che conoscono poco, ai padri che incontrano figli che richiedono cure primarie anche dopo i primi anni di vita e a tutti quegli uomini che, come figli, si trovano ad occuparsi di genitori anziani, bisognosi di cure non come bambini, ma come persone adulte invecchiate.

Non so bene come organizzarmi perchè finora certe cose le ha sempre fatte la mia ex moglie e ora mi ritrovo a dover imparare tanto di nuovo…

Sono tornato a vivere con mia madre che è rimasta sola e ha bisogno di essere aiutata in tante piccole faccende …. per fortuna al momento è ancora abbastanza autonoma.

Prendersi cura dell’altro tocca corde delicate e intime per tutti, uomini e donne. Forse in questo momento gli uomini coinvolti nella cura possono orientare anche le donne a dire delle loro fatiche, aiutandole a non assumere sempre e a tutti i costi quell’atteggiamento di chi ha nel dna indicazioni infallibili.

Una collega mi racconta di come si è ritrovata a fare il bagno a suo padre anziano e poco presente e, sicuramente per sdrammatizzare un momento difficile mi dice,  pensa che stranezza vederlo nudo … non ho potuto fare a meno di pensare che io sono venuta proprio da lì.

Se gli uomini devono imparare a prendersi cura, le donne possono cogliere l’occasione per provare a ridare voce e senso a gesti smarriti nella memoria collettiva e nascosti come poco nobili tra tante mura domestiche.

Più di una madre mi ha raccontato il giorno in cui la figlia disabile ha avuto il ciclo mestruale, come “il più brutto della mia vita” e tante donne condividono il bisogno di trovare significati nella cura di genitori anziani malati e persi in mondi di tramonto senile. Magari gli uomini raccontano meno ma li immagino alle prese con questioni assai simili.

Curare è difficile per tutti, uomini e donne. Riuscire ad andare oltre le prime pappe mi pare proprio una bella conquista, sia per esplorare la molteplicità dei significati legati alla cura che per permettere l’intreccio di nuovi racconti, al maschile e al femminile.

Madri di notte

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madri di nottedi Irene Auletta

“Buongiorno, si ricorda di me? Ci siamo incontrate diversi anni fa e facevo parte di quel gruppo di madri che avevano problemi con il sonno, che lei ha condotto per oltre un anno”

Mentre le confermo che mi ricordo bene di lei e dell’intensa esperienza attraversata insieme, dentro di me sorrido per il modo in cui la signora ha ricordato e nominato l’esperienza. In effetti i problemi di sonno li avevano i loro figli ma evidentemente nella sintesi della frase alla signora è sfuggita anche un’altra verità.

Al termine di un ciclo di conferenze tematiche rivolte ai genitori dei servizi per l’infanzia, un gruppo di mamme si era avvicinata per i rituali saluti finali e qualcuno aveva rilanciato l’idea di un gruppo che continuasse a incontrarsi per trattare le difficoltà legate alla gestione dei problemi di sonno dei loro figli.

“Non ha detto lei stessa che di notte si possono immaginare madri e padri che, in giro per la città sono uniti, in modo invisibile, dagli stessi rituali notturni spesso legati alla presenza di bambini piccoli? Se le madri potessero parlarsi di ciò che accade, di cosa provano e delle loro difficltà, forse potremmo rendere reale quel filo che le unisce”.

E’ così che abbiamo iniziato a raccogliere storie individuali per tesserne una collettiva, fatta dell’esperienza di ciascuno. Durante gli incontri abbiamo anche nominato una varietà di strategie sperimentate nelle diverse situazioni dando però più valore ai processi attivati e alle emozioni emergenti che ai risultati ottenuti. La creatività emersa, come sovente accade in questi casi, ha superando di gran lunga le attese e ognuna delle partecipanti ha trovato nuovi o originali modi per trattare la difficoltà, scoprendone inattese possibilità.

Da anni mi accompagna l’idea che, così come non si scelgono i figli, non sempre si possono scegliere neppure i momenti di incontro che nascono con loro e, ciò che trattengo di questa esperienza, è l’immagine di come ogni relazione madre e figlio sia cresciuta anche attraverso un momento non facile da affrontare.

Per le madri coinvolte in quel gruppo si è trattato solo di una fase momentanea mentre per molte altre, e altrettanti padri, la storia continua anche oltre la prima infanzia perchè è così la storia di alcuni figli che si incontrano. In questi casi la creatività è chiamata ad esibire doti acrobatiche.

Per noi, farne tesoro ed esperienza è divenuto un modo per affrontare quegli appuntamenti notturni che di certo non si ripetono più tutte le notti ma che sono rimasti un nostro momento speciale che periodicamente non manca di interrompere il nostro riposo.

Ti ricordi quando eri piccola la filastrocca della Luna? Ora sei una ragazzina e quella non vale più però, mentre rimango qui vicino a te e aspettiamo che torni il sonno, ti posso raccontare di quando babbo e mamma ti hanno incontrata e ….

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