Donne, madri e figlie

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di Irene Auletta

“Sono madre, nonna e ancora figlia. Equilibri complessi soprattutto quello che mi vede come figlia nella relazione con mia madre”. Così si presenta una signora in occasione delle mie ultime serate rivolte ai genitori. 

Ripenso alle sue parole in un giorno dove, nella ricorrenza della festa della mamma, e’ facile incrociare immagini, frasi e commenti intorno a questo tema.

Penso alla mia di madre e penso a me figlia. Io adulta e lei anziana, ancora impegnate, per quanto possibile, a stare in questa importante e profonda relazione. In queste ultime settimane, con mia sorella e mio padre, abbiamo affrontato momenti molto dolorosi condividendo la decisione di non coinvolgerla. Avremo fatto bene? Avremo fatto male?

Chissà, i dilemmi etici forse devono rimanere così, sempre un po’ in bilico sul filo del dubbio e ancora oggi mi dico che, proprio nel suo ruolo di madre, abbiamo scelto di proteggerla. E va bene così.

La madre che sono è fortunata perché porta con sé un bagaglio bello ricco di figlia al quale attingo ogni volta che parlo in dialetto con mia figlia, nel nostro linguaggio d’amore, ogni volta che lo scherzo e l’allegria mi aiuta a tenere il dolore un po’ a distanza, ogni volta che devo aiutarla ad affrontare il mondo.

Sono fortunata rispetto a quella signora di cui ricordavo perchè mia madre, che pian piano svanisce nella sua memoria, è sempre più presente nel mio sguardo, nelle mie espressioni, nelle mie parole, oltre che nel mio cuore e questo mi sostiene nell’affrontare anche questa nostra ultima tappa.

La nostra storia ridefinisce ogni giorno la madre e la persona che sono e quindi oggi, guardandola negli occhi, ci farò gli auguri perchè insieme, ancora e ancora, siamo il frutto della nostra bella storia e del nostro unico e straordinario incontro.

Dialoghi e battiti

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di Irene Auletta

Tutti gli organi hanno bisogno di cura e il corpo trae indubbiamente beneficio da un virtuoso dialogo con loro. Ehi polmone stai meglio dopo le nostre camminate? E poi ormai sono parecchi anni che ho smesso di fumare, lo senti? E voi amici reni, intestino e dintorni, vi accorgete della cura a voi destinata? 

Che dire di tutti gli altri in fila in attesa di battute e commenti? Il dialogo prosegue seguendo dettagli, in tante forme, alcune anche assai spiritose finché non si arriva al cuore. Organo delicato, protagonista di poesie e metafore, vicino ai nostri pensieri forse più di tutti gli altri organi. 

Può essere che tutti noi ci rivolgiamo direttamente a quelli che sentiamo più fragili o a quelli malati ma, il cuore, mi pare essere il protagonista assoluto sulla scena.

Forte, spezzato, da leone, debole, frizzante, pesante. Il cuore del mal d’amore, del battito per gli amori fragili, delle battaglie per la vita e delle emozioni gentili.  

Eccolo lì, come mi ritrovo a pensarlo affettuosamente da qualche tempo, il mio cuoricino, di cui prendersi cura e che ogni tanto mi rimprovera di sentirsi troppo bistrattato. Ci sono periodi così nella vita, gli racconto paziente, e forse il passare degli anni inevitabilmente aumenta la conta delle persone care che si ammalano, invecchiano, muoiono. 

E il cuore patisce, si stringe, ti pizzica forte fino agli occhi. 

Allora, appena possibile, non resta che scappare di fronte ad un orizzonte aperto e fare un gran respiro. Ma di quelli lunghi lunghi. 

Resisti cuore, nutriti di questo bello pieno di speranza e di vita e tieniti forte più che puoi. Da te dipende parecchio per sostenere quegli occhi anziani, quel sorriso più caldo e antico della memoria, quell’incontro che profuma amorevolmente di casa e quell’abbraccio che ogni giorno mi orienta verso l’essenza.

La vita è un tuono

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di Irene Auletta

Il monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh ha scritto “Ho attraversato molte tempeste. Ogni tempesta è destinata a passare, non esiste tempesta che duri per sempre. Anche questa condizione della mente passerà. La tempesta è soltanto una tempesta. Noi non siamo soltanto una tempesta; possiamo trovarci al sicuro proprio nel mezzo della tempesta. Non permetteremo alla tempesta di fare danni dentro di noi”.

Ogni tanto vado a rileggermi alcune tracce lasciate da quest’autore e, come accade spesso, scopro il potere curativo delle parole. Così mi ritrovo a pensare ad alcuni momenti che in effetti non ricordo come fulmini e saette ma come tuoni, prima lontani e appena udibili e poi sempre più vicini, ad anticipare l’arrivo di qualche tempesta.

I tuoni hanno per me una loro speciale bellezza, forse perchè ogni tanto riescono a stupire per il loro gran trambusto che alla fine si traduce in un nulla di fatto, fino a lasciarci sorpresi e meravigliati di fronte a nuovi squarci di cielo che fanno ricomparire la luce del sereno.

Si, per me la vita è proprio così. La vita è un tuono e, prenderne confidenza, vuol dire non spaventarsi di fronte al primo boato lontano ma farsi incuriosire dalle possibilità differenti che possono verificarsi preparandosi a rimanere radicati, ognuno per come riesce. 

In questi giorni ti vedo di nuovo sorridente e serena e mi sembra che, anche per stavolta, siamo scampate ad una tempesta. Molti problemi correlati alla tua disabilità sono come tuoni potenti che mi rimbombano nella pancia, su fino al cuore. Rimango molto tiepida di fronte ai tentativi di spiegazioni razionali perchè io capisco quando non stai bene non nella testa, ma nella pancia, nello stomaco, nel cuore.

Così i miei organi interni sembrano bloccarsi in attesa del cambiamento desiderato e quando accade mi capita di dirlo proprio così, con estrema leggerezza. Oggi sono davvero felice e per me vederti sorridere, cantare e ballare, non ha confronto con nessun cielo illuminato. In questo c’è tutta la bellezza e tutta l’ombra del nostro legame e per tale motivo negli anni, ho imparato a voler bene ai tuoni.

Mi avvisano, mi preparano e per fortuna, tante volte mi sorprendono con esiti positivi. Quando accade il contrario, aspetto e trovo rifugio nelle parole e in quel silenzio che, con incredibile forza e tenacia, mi hai insegnato ad amare.

Per oggi è passata senza fare troppi danni e magari domani andrà meglio. Chissà.

Insieme ai tuoni arrivano nuove domande. Ma quando passa? Fino a quando?

Insieme ai tuoni arrivano anche nuove risposte.

Passerà anche stavolta e continuerà a passare finché lì, al centro di questa storia fatta di dolore e fiducia, di fragilità e forza, di gioia e malinconia ci saremo noi che, non mollando mai la presa, continueremo a tenerci strette per ricordarci che noi non siamo soltanto una tempesta!

Al calore delle nuvole

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di Irene Auletta

Giorni fa, parlando con una mia cara amica che mi fa memoria di tante onde di questi ultimi venticinque anni, ho realizzato di quanto io mi sia preoccupata tardi della disabilità di mia figlia. 

In realtà l’impatto più tragico, almeno nei primi dieci anni di Luna, e’ stata la malattia. Si, perché è vero che spesso esistono correlazioni tra disabilità e malattie ma rimangono due storie differenti. Molti bambini con disabilità nascono sani, considerando la disabilità una condizione e non, appunto, una malattia. Ma tanti, come la mia signorina, arrivano al mondo con un bis non troppo piacevole nel loro zainetto di vita e la malattia e’ arrivata prepotente a distogliere l’attenzione da qualsiasi altra cosa. 

Ricordo le paure tremende di quegli anni, i lunghi e ripetuti periodi di ospedalizzazione, l’angoscia della morte, il tempo sospeso che, oltre le apparenze di normalità, mi hanno fatto vivere tanti anni in apnea. Cavoli, dico ripercorrendo pezzi di storia, ti ricordi come ero angosciata? Uhhh e chi se lo dimentica mi risponde Patty, con quel sorriso condiviso che ci ha fatto attraversare insieme tante burrasche, mie e sue. 

Però ancora oggi ridiamo tantissimo quando ci vediamo, di quella risata che libera il cuore e mi lascia più leggera dopo ogni incontro. E così ci salutiamo con alcune battute, tra il serio e l’ironico, che mi accompagnano nel corso della serata … bastarda la vita eh?! E poi non c’è nulla da fare, i sessant’anni segnano una svolta! Vabbè, ci stiamo facendo vecchie, direbbe mia madre.

In compenso oggi, per diversi aspetti, non sono più quella stessa persona. La vita ci ha provato diverse volte a farmi sgambetti e ancora sembra non essersi stancata di fare tentativi, ma gli anni mi hanno insegnato passi inediti, danze possibili, battiti di riserva. Insomma tra la depressione e la speranza, scelgo ogni giorno la seconda.

Perché ne scrivo ancora? Perché se anche solo una persona, come tante volte mi è stato restituito, leggendo ciò che provo a raccontare farà un respiro lungo portatore di un filo di leggerezza, ne sarà valsa la gioia di continuare a provarci. 

Ancora e ancora.

Temporali del cuore

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di Irene Auletta

Quando la  disabilità, con le varie stereotipie, prendono il sopravvento mi ritrovo in balia dei venti, confusa, triste e disorientata. Ridatemi mia figlia vorrei urlare ma già mentre lo penso so bene che tutte queste sfumature sei tu

E io soffro e mi danno fino a quando non inizia il gioco dello sdoppiamento e riesco pian piano a guardarmi con lo sguardo amorevole che cerco di dedicare ai genitori che incontro per lavoro. Ok proviamo a ricostruire la scena. 

Da quando sono venuta a prenderti al Centro per andare in piscina ogni singolo passaggio e’ stata una lotta e una ricerca di strategie spesso fallimentari. Non vuoi scendere le scale, non vuoi salire in auto, non vuoi scendere dall’auto, non vuoi entrare in piscina, non vuoi cambiarti. Non, non, non 

Il tempo non è dalla nostra parte (o forse si?) e alla fine, esausta e sconfortata, ti saluto mentre ti fai letteralmente trascinare dalla tua operatrice TMA (terapia multisistemica in acqua) con lei che cerca di convincerti ad iniziare e tu che minacci con tutto il corpo di buttarti a terra. 

Aiuto, vorrei buttarmi io in piscina così vestita come sono e nascondermi sott’acqua! 

Dopo pochissimi minuti ti osservo a distanza e tutto sembra passato. Ti guardo in acqua, felice, disponibile, di ottimo umore. L’esperienza ti piace moltissimo ma, in alcuni periodi, complici una moltitudine di fattori sparsi, qualsiasi cambiamento, anche il più piccolo, diventa fonte di tensione, rifiuto, ostacolo, disagio.

Esco dalla piscina e mi pare di avere sulle spalle uno zaino di un quintale. Cammino, respiro, faccio una pausa caffè e mi preparo a ritrovarti dopo poco fiduciosa in un nuovo e diverso incontro. 

Arrivi e sei di nuovo quella tu che mi fa prendere tregua dai momenti più difficili e io ora mi sento pronta. Così, mentre seguiamo tranquille il nostro rituale ormai consueto, cerco di guardarti provando a voler bene a tutte le tue sfumature fino a quando te lo dico. 

E’ stato parecchio difficile prima, vero amore? Capita a volte di non farcela e ogni tanto ci sentiamo entrambe in trappola. Però insieme ce la facciamo anche stavolta, anche a volerci bene quando proprio non troviamo la via per incontrarci.

In realtà queste parole, come sempre, rimangono quasi tutte nella mia testa e si trasformano nei gesti lenti di cura, negli scherzi, negli abbracci forti e nei tuoi sguardi pieni che mi ancorano a noi.

In auto ridi sentendomi cantare e, per mia fortuna, le tue risate si rivelano ancora  una volta una magica cura per le mie ferite.

Tutto il resto, rimane lì, ben custodito insieme al mio battito.

Eredità che cura

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Ragazza seduta (con la mano sul cuore), 1938 Casorati Felice

di Irene Auletta

Era da parecchio tempo che non vedevi in nonni e, vista la particolarità dell’incontro, interpreto le tue reazioni un po’ sopra le righe come una comunicazione di emozioni arcobaleno. 

Vuoi stare e vuoi andare, mi tiri e mi spingi, ridi e ti innervosisci. Dopo poco mi fermo un attimo. Va bene Luna ho capito che qualcosa ti sta creando qualche difficoltà, ma cosa?

E allora iniziano i miei primi timidi tentativi di capire fino a quando, spostandoci dal gruppo degli altri presenti, ci riprovo guardandoti forte negli occhi. Ma senti amore, sei agitata perchè vedi la nonna così? Rimani ancorata alla domanda e con lo sguardo serio, dopo qualche secondo, rispondi con il tuo cenno di assenso. E io, finalmente capisco.

Quasi come per magia, dopo questo scambio, pian piano ritrovi quiete e serenità e mi accorgo, ancora una volta, della difficoltà a riconoscere la forza di quello che ti raggiunge e attraversa, insieme al tentativo di condividerlo spesso frustrato.

Hai ragione tesoro, penso prendendo anch’io contatto con il cuore pesante che ha accompagnato anche me durante l’incontro, tra le mille cose che ti rendono così unica, per te è proprio impossibile mentire o celare con un comportamento di circostanza quello che ci addolora o disorienta.

Ancora una volta, provando a capirti e a consolarti, mi hai aiutato a gettare luce su qualcosa che a volte, per non soffrire, viviamo frettolosamente. Rimaniamo un attimo vicine, con le mani sul cuore dell’altra, provando a raccontarci in silenzio di quelle onde che le parole non posso spiegare.

Per te, che vivi radicata nel presente, il ricordo sembra svanire facilmente, o almeno, solo questo ci è dato capire degli insondabili processi della tua mente.  Così ti godi felice il resto della giornata all’aperto, facendo quello che più ti piace, tra sole, vicinanze del cuore e leggerezza.

Solo a fine giornata, quando tutto tace e la notte ha coperto gli ultimi spiragli di luce, ripenso a quello starti accanto che spesso mi fa sentire tutta l’ambivalenza dell’esperienza in un labirinto. Lo smarrimento dei falsi riflessi e le delusioni delle vie impossibili unite alla sorpresa per le scoperte inattese e la bellezza della luce che indica chiara la via d’uscita.

Oggi e sempre mi rimane in bocca un gusto dolceamaro e scivolo nel sonno con le parole che mia madre, prima di perdersi nel tempo, mi ha lasciato come preziosa eredità.

La cura è difficile e faticosa, fatti aiutare dall’amore.

Eredità luccicose

3 commenti

di Irene Auletta

Entro in ascensore e riflessa nello specchio incrocio una signora bionda con gli occhi di mia madre. Anche mamma ha avuto i capelli biondi per molti anni, sino a quando una grave malattia l’ha costretta ad arrendersi al bianco.

Ed eccomi li, colta in quel particolare che ho fuggito per anni. Non avrei mai voluto avere quegli occhi che, lontani da sguardi indiscreti, mostravano sempre un filo di malinconia e sovente apparivano persi in chissà quale pensiero o preoccupazione del momento. Quegli stessi occhi però, brillavano quando scoppiavi in una delle tue risate che ai miei occhi ti rendevano bellissima. Ogni tanto, tra le tante ombre della tua vita al tramonto, mi sembra di scorgerne ancora piccole ma tenaci tracce. 

Le nostre due vite e storie di madri si sono intrecciate su tante esperienze comuni e allora, guardandomi allo specchio, quasi te lo vorrei dire ad alta voce. Eccoci qua mamma, ci ritroviamo anche in questo scambio di sguardi e, per mia fortuna, hai saputo insegnarmi tanta bellezza e il frizzante gusto per l’allegria.

Chissà tu, figlia mia, cosa vedi quando mi guardi e quanto riesco a far prevalere le luci che brillano tenendomi tutto il resto nel mio giardino?

Domande mute le mie, come le tue risposte impossibili. Però, mentre ti guardo, il bello che spero di regalarti ogni giorno lo vedo proprio lì, riflesso nei tuoi occhi puri, incapaci di fingere o di mentire. 

E’ in quel momento che lo penso. Ce l’abbiamo fatta mamma. La vita ci ha fatto e continua a farci parecchi sgambetti ma noi, forse proprio per questo, abbiamo scoperto che il bello di imparare a brillare è condividere quella luce con chi più amiamo.

Il resto, per dirla con Ebenezer Scrooge*, tutte fandonie!

*personaggio principale del racconto Canto di Natale, scritto da Charles Dickens nel 1843.

Medicamenti al profumo di un sorriso

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Al Museo delle Illusioni

di Irene Auletta

Ieri sera, richiamata dal pianto di un neonato, mi sono persa ad osservare una scena che si svolgeva sul terrazzino di fronte alla mia finestra.

La mamma sta cercando di allattare un bambino che mi pare avere pochi giorni di vita e mentre lui si stacca e piange forte, come solo i neonati riescono a fare,  intorno a lei si muove una piccola di circa due anni intenta a giocare con un carrellino e con le sue bambole.

Quel pianto mi ricorda un altro pianto, il tuo, che da subito mi è parso strano, inconsolabile, difficile da contenere e accogliere. Poi all’età di tre mesi è improvvisamente scomparso e da lì, è proseguita la nostra avventura. Ogni volta che provavo a raccontarlo ai diversi specialisti mi sentivo addosso uno sguardo scettico che pian piano mi ha fatto smettere di dirlo. Ma non di sentirlo e pensarlo.

Quel pianto mi è rimasto nella carne e stasera mi permetto di accoglierlo e cullarlo come ho fatto con te per tanti, tanti anni e come, ancora oggi, soprattutto quando non stai bene, sembri chiedermi con quel tuo modo di rifugiarti tra le mie braccia.

Di strada ne abbiamo fatta parecchia e ad ogni passo, con le tante sbucciature, ho provato a trattenere quello che stava accadendo per provare a imparare qualcosa per il passo successivo. Condividerlo con altri genitori e operatori, seppur quasi sempre non in modo esplicito, ha reso possibile una tessitura preziosa che tra poco si avvicinerà ai venticinque anni.

Ma tu guarda cosa può scatenare un pianto!

Te lo racconto stamane mentre ci stiamo preparando per il consueto appuntamento con il pulmino, ma te lo racconto nel nostro modo. Poche parole e la fiducia nella forza di quel filo che ci lega, quasi a creare piccoli ponti tra le nostri menti e, soprattutto, tra i nostri cuori.

Buona giornata figlia. Oggi mi rimane impresso quel sorriso che mi dedichi  sempre e che negli anni, sempre di più, si è trasformato in un medicamento al profumo di Luna.

Quanto di più simile a un bacio

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di Irene Auletta

Non mi piace parlare di fortune o sfortune perché sono categorie a me distanti, ma di certo la vita a fianco di una persona con una disabilità come la tua, definita gravissima (anche questa categoria poi mi lascia abbastanza tiepida!), attiva i sensi e permette di guardare la vita da particolari prospettive.

Stamane mi ha profondamente toccato il post dell’amica Fiorella che si rivolge ad un’ipotetica coetanea in condizioni di vita evidentemente differenti dalla sua e cioè lontana da quelle pressioni di cura che fanno parte in modo imprescindibile della nostra vita.

Chi di noi, non più giovanissima (ma non solo!), non si misura in modo forte con i timori e i tremori rivolti al futuro? Cosa farcene di tante preoccupazioni che a volte stringono il cuore fino a togliergli il respiro?

Ognuno di noi, madre o padre, ricorre alle sue strategie, come il sorriso malinconico di cui parla Fiorella e che mi pare di riconoscere anche per affinità e vicinanze che ci legano.

A me piace costruirmi possibilità e cercarne piccoli bagliori di luce in ogni pertugio. Di fronte al tuo silenzio cerco la musica dei suoni assenti oppure di quelli che gioco a riprendere nella nostra intima melodia e, di fronte ai tuoi gesti, invento nuovi vocabolari di senso che tante volte forse servono più a me che a te. Di certo nutrono la nostra relazione d’amore.

E così in questi giorni torna, ma in modo più delicato e gentile, quello schioccare di labbra che ripeti in alcune particolari occasioni. A volte ti ritrovi vicino alla mia guancia e mi arriva con una bella intensità proprio quello. Quanto di più vicino a un bacio.

Le genitorialità come la mia, senza volerne negare la complessità, possono avere una marcia in più perché, potendo dare pochissimo “per scontato” e raccogliendo piccoli semi di quanto in condizioni differenti forse neppure si percepisce, affinano i sensi e il gusto di ciò che accade.

E allora, proprio quel bacio che sa di ricerca, di scoperta, di gioco e di sorpresa, e’ quello che ogni giorno mi spinge a cercare conforto nelle nostre speciali meraviglie.

Oggi questo bacio, Fiorella, lo dedico a te e a quel noi vicino al mio cuore, che sa di essere proprio .

Ciò che brilla

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di Irene Auletta

Ci sono giorni in cui la cura si presenta con una veste leggera, come un velo trasparente mosso da un vento quieto. Altri in cui è semplicemente un macigno.

Parlo spesso dell’ambivalenza della cura ma credo che alcune mie riflessioni possano raggiungere con maggiore forza proprio chi, come me, da anni vive in compagnia di quelle cure ricorsive che, destinate a un nostro caro, non ci lasciano mai. 

Per questo motivo ho sempre rifiutato con decisione quell’aggettivo “speciale” che, nei giorni più bui, mi restituisce una sottile presa per i fondelli che trovo insopportabile. Avete presente cosa intendo giusto? Le madri speciali, i figli speciali … Insomma, quelle cose lì!  Io passo, grazie per il pensiero.

Eppure, proprio questa responsabilità che non mi lascia mai, mi spinge a interrogare le fragilità e fatiche dominanti che ormai sembrano circondarci, ovunque volgiamo lo sguardo. Ma cosa sta succedendo? Tutti sempre più affaticati, di corsa, senza energie, quasi schiacciati dalla vita anche quando immagino scenari che potrebbero aprire le porte a ciò che ogni giorno è possibile gustarsi.

In questi giorni, riflettendo sulle mie stesse domande e leggendo le parole di Simone Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese, rimango colpita ancora una volta dalle sue riflessioni intorno al tema della sventura individuale e collettiva. Secondo alcuni autori la traduzione italiana di sventura non rende a pieno il denso significato della parola malheur che trattiene a fianco della disgrazia e del guaio anche uno spazio per la scoperta di uno stato d’animo (quasi) romantico.

Non so se questa sorta di retrogusto romantico è quello che ho imparato e continuo a imparare da anni al fianco di mia figlia, ma provo un profondo dispiacere nel vedere tante occasioni non viste o sprecate e penso che ancora una volta la fortuna forse splende proprio laddove un attimo prima brillavano lacrime.

Giorni a casa, dove il Covid ha fermato anche noi, finora scampati al contagio. E’ una gara a chi cura chi e a volte lo sconforto delle forze deboli rischia di farmi perdere il sorriso e quell’energia che non smetti mai di infondermi. Dover curare quando si avrebbe bisogno di essere curati è una dura prova che inevitabilmente fa profilare all’orizzonte scenari di paura.

E così stanotte, (già … perchè in tutto questo il peggioramento del disturbo del sonno e delle crisi non potevano mancare!), ci ritroviamo in quel nostro stare insieme che riempie il silenzio delle nostre narrazioni mute. Mi abbracci più volte e  quel comportamento mi arriva quasi come una sorta di rassicurazione. Con le parole e con la mente ti dico di questi giorni un po’ difficili che ora forse stanno già passando.

Con quello sguardo intenso, maturo e profondo che ti fa Luna, allunghi una mano e posi sulla mia guancia un gesto assai simile ad una carezza gentile e delicatissima.

Questo mi insegnai ogni giorno. Che la fortuna, la bellezza, la speranza, non sono quasi mai dove andiamo cercandole ma , al nostro fianco.

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