Cercatrici di luce

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di Irene Auletta

Da anni ormai sono convinta che il nostro rapporto con la tua maestra Feldenkrais continua sicuramente perché ti fa un gran bene, ma anche perché fa un gran bene pure a me.

L’altro giorno, dopo la vostra seduta che mi concede un’ora di libertà a zonzo per il corso della città, Angela mi  accoglie dicendomi che l’incontro è stato tra i più belli, ricchi e intensi dei vostri. Di solito mi racconta della tua incredibile attenzione e di come nel vostro incontro di occhi e mani, tu le indichi, limiti o permetti nuove scoperte e passaggi che ti aiutano a stare meglio con quel corpo che di sicuro non è facile portarsi in giro. In effetti, mentre tu ci guardi, colgo una postura molto equilibrata che sembra riflettersi nella soddisfazione dei tuoi occhi attenti ai nostri scambi pieni di fierezza.

Angela riesce sempre a restituirmi bellezza e mi rendo conto che questa, per un genitore come me, non e’ un’esperienza molto frequente. L’elenco delle mancanze, delle criticità e delle complessità sono tra quelli con cui da subito si prende un’indesiderata confidenza e molto spesso si finisce con chiudersi in una bolla di pochi e selezionati incontri capaci di riflettere anche altro.

Nella nostra storia di incontri belli ne abbiamo fatti parecchi e, per fortuna, ci hanno finora sostenuto nel navigare tra le onde dominanti che vanno in tutt’altra direzione. Le persone con disabilità, al di là del giochetto dei cambi di nome da handicappati in poi, devono, insieme alle loro famiglie, conquistarsi ogni angolo di quella normalità che definisce le esperienze della vita.

Anche noi abbiamo bisogno di sguardi e parole che ci riconoscano leggerezza e nuove possibilità. In questo purtroppo la cultura della disabilità mi sembra poco lontana dai blocchi di partenza, ma noi, e non siamo in pochi, ci proviamo ad organizzarci. Nonostante.

Uscite dall’incontro riusciamo a mantenere lo stesso passo, con morbidezza ed equilibrio. Magari non durerà per molto ma per ora guardandoci i nostri sorrisi possono nutrirsi di complice meraviglia.

Rimani per un momento incantata di fronte alle vetrine di un bellissimo negozio di lampade e lampadari che si riflettono nel buio della sera.

A noi, basta davvero poco per una passeggiata tra le stelle.

TeneraMente

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di Luigina Marone

Qualche giorno fa, avevo a disposizione un’ora per l’ultima lezione Feldenkrais ma ho deciso di andarci comunque, pur sapendo che avrei partecipato solo ad una parte dell’intera lezione. 

La proposta dell’insegnante mi arriva “nuova” ed è più facile per me concentrarmi, incuriosita a cogliere cosa sta accadendo al mio corpo, mentre sperimento le proposte e le evoluzioni corporee della lezione. È capitato altre volte che mentre si prova il movimento qualcuno/ qualcuna del gruppo esprima la sua difficoltà, i suoi dolori e i blocchi sentiti nel corpo. In quel momento nascono le domande all’insegnante:  è normale? cosa posso fare per andare incontro a questa difficoltà? questa parte del corpo non si muove? ho un dolore e quindi non riesco a farlo … e via di seguito. Un po’ sorpresi che il corpo non sia in perfetta forma e un po’ delegando all’altro la conoscenza del proprio corpo, forse solo alla ricerca di rassicurazioni per il fatto che non si sta eseguendo “esattamente” l’esercizio proposto.

Mentre sento questi commenti sono intenta a curare alcuni passaggi, dei micro movimenti del piede che mi procurano un po’ di dolore all’anca e allora, mentre lo muovo, provo ad alleggerire per permettere al piede e alla gamba di incontrarsi con più delicatezza, senza forzare. Dopo qualche anno di pratica ti lasci guidare dal corpo dimenticando, per fortuna, “la prestazione”; solo così si acquisiscono ascolto, conoscenze e fiducia, che permettono di sentire il piacere di fronte ad una nuova connessione tra le parti del corpo.

Ad un certo punto, forse registrando una serie di rimandi di difficoltà da parte dei partecipanti, l’insegnante riporta al gruppo una riflessione: “fare Feldenkrais vuol dire anche misurarsi con i propri limiti e permettersi di conoscerli come parti di se’  e questo vuol dire anche dar più spazio all’essere vulnerabili anziché chiedersi sempre di essere solo forti e assolutamente capaci” e aggiunge: ” E permettersi di porsi nei confronti di sé e del mondo con questa modalità e’ proprio un altra cosa”…

Mentre lo ascolto penso tra me e me a quanto tutto ciò sia vero. E, ancora distesa a terra, immaginando questo senso del limite e la possibilità di accettare la realtà del momento, così come ti si propone, ho sentito un senso di vicinanza con le mie difficoltà di quel momento, come una forma di cura tenera: piede e anca che stavano trovando un modo di incontrarsi nel movimento, teneramente. Se si accettano le proprie difficoltà come parte del percorso, forse si sgretola a poco a poco la concezione dominante dell’efficenza e del farcela a tutti i costi, dando vita così ad un nuovo movimento corporeo e culturale, più tranquillo e vitale. 

Proseguo la lezione mantenendo questo contatto tranquillo con ciò che è possibile e ad un certo punto sento che devo andare perché la mia ora di disponibilità e’ già passata. Mi alzo con diversi piccoli passaggi, mi trovo piano piano in piedi e mentre muovo i primi passi, sento di essere radicata alla terra. 

Saluto l’insegnante Cecilia e le mie colleghe di corso. Buona estate … Ci rivediamo a settembre! dico, contenta di essermi presa questo tempo durante la mattinata. E, mentre cammino per la strada,  penso che è proprio bello sentirsi in cammino nel corpo!

Strade possibili

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di Luigina Marone

L’incontro con gli altri può metterti a disposizione la loro storia e, se l’altro lo desidera e tu sei disposto, anche ciò che è importante imparare nella vita.

Ricordo da sempre che il maestro Daniele a lezione di Feldenkrais restituisce con forza: ma eri pronta per alzarti? Fai con calma. Cercate di stare nel comodo e di non strafare. Il suo dire mi arriva quasi come una stonatura per noi che siamo abituati ad essere subito pronti ed efficienti per svolgere “il compito assegnato”, che siamo lontani dall’ascoltarci e dal rispettare i nostri tempi, se non quando il corpo è ko, stanco e stremato, o si ammala. Questo atteggiamento influenza anche il modo di scegliere come muoversi e in che modo.

L’ultima lezione di Feldenkrais di qualche giorno fa si presenta da subito “tosta”, la fatica sta nella concentrazione richiesta ad ascoltare piccoli movimenti del corpo e nel dover fare il meno possibile per lasciare fare al corpo il movimento, secondo il suo funzionamento. A dirlo così è da non crederci, sembra facile, dai cosa ci vuole? Ma provando, ci si può rendere conto che non è sufficiente dirsi di non fare di propria volontà e di lasciar fare a lui, al nostro corpo, perché ci sono sovrastrutture culturali che ci inducono ad altro. Immaginate che per arrivare a sperimentare solo cosa vuol dire e avvicinarsi a quell’idea, noi partecipanti a quella lezione ci abbiamo messo un ora. 

Poi un brivido! Quello che vivo nel corpo e nella mente quando arriva una nuova scoperta sul mio funzionamento. Eccolo, funziona! Allungo il braccio e attendo che tutta la muscolatura sia pronta per sorreggerlo nell’alzata, senza fare fatica e assicurando di seguirlo con il respiro. Si il respiro, l’anima del movimento naturale e comodo. L’anima del vivere in armonia con sé  e gli altri.

Sarà che mi emoziona imparare cose nuove su di me, fare e rifare quando sento che è proprio quella la strada da intraprendere, quando arrivo a cogliere e percepire la natura dell’essere armonioso,  e vorrei proseguire all’infinito. Ed è proprio questa sensazione che mi aiuta nella costanza della pratica percepita come ricerca continua. Come dice Daniele, la meraviglia e’ sentire questo legame e questa intima conoscenza del proprio corpo, davvero a noi sconosciuto.

Mi sono chiesta: “sono queste le strade possibili anche nella vita?”. Forse. Se si impara a rispettarsi e a concedersi ciò che è possibile, non di più, dove la fatica deve essere equilibrata a ciò che si sta facendo, non di più, dove il limite può dialogare con ciò che è reale e non di più. Allora forse si può lasciar andare e far sì che le cose accadano, senza per forza dover mettere mano tutte le volte a ciò che si presenta, dando direzioni che esaudiscono a tutti i costi i propri desideri, le aspettative proprie e altrui.

Si, forse. Strade possibili che chiedono di destrutturare un pensiero culturale forte, sull’efficienza e l’efficacia, sul risultato da raggiungere a qualsiasi costo. E una sensazione mi accompagna, mi sembra strano, eppur può succedere, che siano nuove consapevolezze sul corpo, ad aiutarmi a sostenere e intravedere nel profondo il cambiamento di stile di vita.  Un sapere dal sapore antico, quello che alcuni popoli praticano per una vita sulla via della conoscenza. 

E dentro di me sento aprirsi un sorriso di piacevolezza!

Forze pazienti

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di Irene Auletta

Lo capisco appena ti vedo scendere dal pulmino che sarà un pomeriggio difficile. La sveglia super anticipata del mattino e il festeggiamento del carnevale al Centro,  sono stati probabilmente un mix esplosivo per i tuoi tremori. Ti osservo mentre stiamo andando da Angela con la speranza che la seduta Feldenkrais ti possa aiutare.

Hai notato se anche a casa Luna prende questa posizione inginocchiata a terra con l’estremità della testa appoggiata sul pavimento? Avete presente quella della preghiera musulmana? Ecco, quella. Angela mi spiega che questa posizione è la stessa assunta frequentemente dai bambini molto piccoli per ritrovare un equilibrio in un corpo che sta sperimentando il movimento. Lo stesso accade a te ragazza mia e in effetti mi ritrovo a pensare, e a confermare, che questa postura sovente corrisponde o a momenti di malessere fisico oppure, come oggi, a queste crisi neurologiche di forti tremori che non lasciano in pace neppure un piccolo muscolo del tuo corpo. Accidenti a loro.

Non riesco neppure a immaginare come puoi sentirti in queste situazioni e i miei interrogativi si uniscono di sicuro a quelli di tanti altri genitori che si ritrovano ad assistere figli con epilessie o disturbi neurologici importanti. So per certo però, che mi raggiunge il classico dolore fisico di quando ti vedo star male e forse anche questa è un’esperienza che posso condividere con la categoria più allargata delle madri. Sarà perchè li abbiamo ospitati nel nostro grembo che il loro malessere risuona forte anche nel nostro corpo con punte di dolore fisico razionalmente inspiegabili?

La seduta odierna porta solo un parziale beneficio e arrivare a casa si rivela comunque complesso, con il mio timore continuo di vederti cadere a terra mentre ti guardo procedere con quel tuo incedere reso ancora più instabile dallo stato del momento. Ma, anche stavolta, ce la facciamo.

Ti osservo nel silenzio della nostra cena a due, provando a non interferire in quella tua piccola ma importante autonomia e ignorando il cibo che finisce ovunque prima di raggiungere la tua bocca. Angela mi viene ancora in aiuto nel pensiero, ricordandomi quel leggero contenimento che posso fare in situazioni analoghe sostenendo appena il tuo gomito e così faccio, senza commentare, mentre mi pare di accogliere il consenso nel tuo sguardo.

Ma quanta pazienza ci vuole per stare con un corpo che si comporta in questo modo? Mi riempie di orgoglio la tenacia che osservo mentre insisti, non molli e ancora una volta mi spiazzi con quel sorriso che mi arriva quasi a conforto. Al tuo posto avrei scaraventato ovunque piatto e posate e tu invece mi sorridi proseguendo in questa cena che sembra più una prova ad ostacoli.

Non vado molto d’accordo con quelle diagnosi funzionali che trasformano i bambini e i ragazzi disabili in un elenco di ciò che non sanno fare. Pensate solo al brutto modo di definirli “alti” o “bassi” non in base all’altezza naturalmente ma in riferimento al livello di prestazioni e competenze.

Se proprio così deve essere però, stasera vorrei che Luna e tantissimi altri bambini e ragazzi come lei, venissero definiti altissimi e grandiosi per la tenacia che esibiscono nell’affrontare la vita e superdotati di pazienza.

Se di prestazioni e competenze dobbiamo parlare, perdio facciamolo almeno su tutto!

Segni sognati

2 commenti

di Irene Auletta

“Oggi abbiamo lavorato su alcuni movimenti e Luna ha assaporato la dolcezza dell’alzarsi da terra e del riabbassarsi per sedersi nuovamente”.

Come potrei non apprezzare questo metodo che restituisce alla riabilitazione un carattere che sovente sa di poesia? Ogni volta, osservarti insieme ad Angela, la tua storica insegnante Feldenkrais, mi conferma l’unica direzione per me possibile.

In realtà, da sempre, tu non sei subito molto disponibile a mostrarmi quello che hai sperimentato nel corso della tua lezione e al contrario, appena arrivo a prenderti, sembra divenire urgente il tuo bisogno di andare via da quella situazione.

Poi però, oltre ad avere una fiducia cieca in Angela che da qualche anno e’ diventata anche mia insegnante, mi stupisco sempre di come gli effetti della lezione si mostrino già al rientro a casa e nei giorni successivi. Per un corpo con “goffaggine motoria” gustarsi la dolcezza del movimento e’ un dono assai speciale.

E così, mentre ti racconto che in questi giorni per me un po’ difficili sei proprio riuscita ad aiutarmi e che ce la siamo cavata anche in assenza di babbo, mi guardi negli occhi e con una mano mi sfiori la guancia. Un attimo veloce e delicatissimo che lascia il calore di una carezza appena accennata e attesa da sempre.

La dolcezza assume le forme possibili per ciascuno di noi e oggi questo segno ha reso possibile un sogno. Mi basterà per la vita.

 

Orizzonti gentili

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di Irene Auletta

Arrivo in stazione e ormai per abitudine prendo l’ascensore per evitare inutili fatiche. Un anziano signore che attende insieme a me, mi cede il passo all’entrata e all’uscita.

Gesti cordiali ai quali siamo sempre meno abituati e che fanno riemergere una recente riflessione condivisa con una collega sul bisogno di educare alla gentilezza, proprio partendo dai servizi per l’infanzia e dalle varie agenzie educative.

La mia maestra Feldenkrais lo ripete spesso ma oggi più che mai sento che la sua indicazione sta diventando sempre più anche una mia urgenza. Ho l’impressione che con la scusa di essere spontanei e disinibiti, finiamo con lo smarrire quelle buone regole di educazione a cui mi accorgo di essere profondamente legata.

Senza alcun moralismo mi stufano i linguaggi e i toni sguaiati e mi accorgo che posso tollerarli solo a piccole cose. Essere gentili per me vuol dire anche fare i conti con i propri toni assertivi, frutto di antiche radici educative difficili da eliminare. Per fortuna ho due maestri eccellenti e pazienti che negli anni mi stanno aiutando nella mia personale ricerca. Il mio lavoro aggiunge il suo tocco, sostenendo con riflessioni teoriche quel percorso di ricerca intrapreso.

Ci sorridiamo, con l’anziano signore incontrato in ascensore, di un sorriso che sa di bello. Non importa se la serata e’ piovosa e umida perché io sto guardando altrove, verso orizzonti che permettono di allargare il respiro, quasi a confermare che la via desiderata, e’ proprio in quella direzione.

Geometrie variabili

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di Irene Auletta

Chi mi conosce personalmente o attraverso i miei scritti di sicuro si è imbattuto in diverse occasioni nei racconti relativi alla mia esperienza con il metodo Feldenkrais e nella figura di Angela, l’insegnante nei cui confronti provo una grande stima e un’infinita gratitudine. Mi piace sempre precisare che Angela è stata, prima e per diversi anni, l’insegnante di mia figlia e io, seppur già fidelizzata al metodo, sono arrivata da lei parecchi anni dopo, proprio su indicazione della mia terapista di allora.

E così qualche sera fa, mentre ceniamo insieme in una di quelle rare occasioni in cui l’intero gruppo delle partecipanti si riunisce dopo la lezione, ancora una volta Angela è riuscita a stupirmi per quella sua leggera profondità che raggiunge in modo preciso cuori e anime di chi è pronto ad ascoltarla.

Sto commentando il mio dormire poco, abitudine maturata in tanti anni di rapporto con una figlia affetta da un grave disturbo del sonno e come sovente accade, qualcuno esprime stupore insieme a quel quesito che vede protagoniste persone assai lontane da esperienze analoghe.

Ma come si fa e come si riesce a farlo per tanti anni? Mentre con un po’ di quell’imbarazzo che mi coglie sempre quando mi sento troppo esposta in dimensioni assai personali e preziose sto pensando a cosa rispondere evitando banalità, la sua voce mi giunge in aiuto.

Amore, le sento dire e quando mi volto a guardarla lo ripete, è per amore che ci si riesce.  Mentre scrivo penso a quante volte, per professione, ho trattato il tema della fatica in educazione e quanto mi sento lontana da quelle lamentele genitoriali che ascolto ormai estranea da anni, sempre più comoda nella mia storia di madre.

Non credo che quella di Angela sia la risposta “giusta” o l’unica possibile ma è quella che ha visto riflesso, in modo per me molto riconoscibile, quanto ho imparato finora nella mia vita di genitore. Anche la fatica, non desiderata, innegabile e affatto sottovalutata, può attraversare negli anni tante sfumature di toni ed emozioni e, sono proprio queste, che la rendono possibile e sostenibile fino a farne scoprire aspetti di una bellezza assai peculiare e insospettabile.

Ricordarsi dell’amore, figlia mia, per me vuol dire non smarrire il senso del nostro incontro e delle nostre possibilità, per ciò che realmente siamo nella nostra carnalità sempre più lontane da qualsiasi faticosa fantasia. E’ così che ci siamo salutate al termine di questa giornata insieme al momento della buona notte.

A proposito, te l’ho già detto quanto ti voglio bene?

Incontri gentili

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di Irene Auletta

Scendiamo a prendere il pulmino che ogni mattina passa a prenderti per accompagnarti al centro diurno che frequenti e stamane riusciamo a farlo con netto anticipo proprio per evitare attese anche a chi aspetta, dopo di noi, lo stesso passaggio. Di solito siamo gli ultimi e quindi anche un piccolo ritardo lo viviamo con più serenità ma in questi giorni è cambiato il giro.

Forza Luna non possiamo arrivare tardi e secondo me già ci aspettano giù!  Rituali del mattino che conoscono bene i genitori dei bambini piccoli e che per noi rimangono un costante appuntamento con il nuovo giorno che inizia.

Grazie signora per essere così in anticipo purtroppo in questi giorni che la collega è in ferie abbiamo dovuto anticipare di cinque minuti. Spero proprio che non vi abbiamo creato problemi. La gentilezza dell’autista che continua a scusarsi mi colpisce così come quella della sua collega incontrata per tutto l’anno. Persone attente, cordiali e sempre disponibili ad un sorriso.

Lo racconto sovente degli incontri belli e delle tante persone positive che abbiamo incontrato in questi anni insieme a te. Forse abbiamo imparato, e lo facciamo ogni giorno, a non farci troppo toccare da quella facile critica, accompagnata da un costante malcontento, ormai male incurabile dei nostri giorni.

Penso alla lezione Feldenkrais di qualche giorno fa e a quel lavoro che ha coinvolto bocca e mascella, spesso tirati o serrati nell’incontro con il mondo. In quel percorso di ricerca di morbidezza del corpo trovo ogni giorno vie possibili per relazioni gentili.

Può essere, figlia mia, che quella bocca morbida a volte non perfettamente chiusa evochi tanto facilmente il tuo ritardo. Ma quando è pronta a schiudersi in un sorriso è contagiosa e, per chi lo sa cogliere, diventa un buongiorno che profuma di primavera.

Il risveglio della morbidezza

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di Irene Auletta

Iniziate ad ascoltarvi, provate a fare questo movimento, fate molto lentamente. Inizio della lezione Feldenkrais di qualche giorno fa, uguale a tante altre nel suo incipit e che, ogni volta, pare suggerire il recupero di quell’attenzione sovente smarrita verso l’ascolto del proprio corpo.

Pausa dalle frenesie quotidiane, diventata per me indispensabile anche come interessante crocevia di emozioni ed esperienze, tra fuori e dentro quell’incontro. Arrivo alla lezione carica di diverse tensioni e di quella durezza nascosta dalle parole ma rintracciabile perfettamente negli occhi. Quella durezza peculiare che nasce dalle preoccupazioni e da quel senso di impotenza che ogni tanto viene a salutarmi quando penso a te.

E così, dopo pochi ma intensi passaggi Angela, la nostra insegnante Feldenkrais, nomina parole perfette che diventano unguento magico per il cuore che pizzica. Stasera con queste sequenze andremo a recuperare quella morbidezza che, proprio partendo dal corpo, può rivolgersi al resto di noi e a quanto ci circonda.

Forse l’insegnante non ha utilizzato esattamente queste parole ma io le ho intese così e in un attimo ho sentito il bisogno di indebolire un pochino quella corazza che, strato su strato, ogni tanto più che proteggermi rischia di asfissiarmi.

E mentre l’insegnante guida nella ricerca dei movimenti e dei nuovi apprendimenti, penso al mio stomaco contratto di questi giorni, ai pensieri che ogni tanto si fermano in gola, a quel ripetere tante volte tutto bene grazie mentre vorrei ruggire. Accade sempre meno, ma accade ancora.

Il corpo cede e permette all’anima di accomodarsi in uno spazio senza troppi spigoli. I motivi delle tensioni recenti perdono un po’ dei loro contorni bui e inizio a percepire nuove sfumature possibili.

Ci salverà la morbidezza amore. Te lo sussurro in quel nostro abbraccio che mi fa passare tutto.

Morbididentro

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269583di Irene Auletta

Bellissima lezione Feldenkrais quella dell’altra sera. Angela, la nostra insegnante, ci anticipa che faremo un lavoro con piccoli rulli, da lei appositamente confezionati, da utilizzare stando sdraiati sulla schiena, prima a sostegno del collo e poi tra le scapole. Prima di iniziare la lezione Angela ci invita come sempre all’ascolto del corpo e di alcuni particolari. Come sentite la testa e la distanza tra il collo le spalle? E le scapole riuscite a sentirle? Domande che possono sembrare banali solo a chi non ha idea di quanto sia importante e potente un lavoro che coinvolge il corpo e la ricchezza che ogni volta può emergere, unitamente ad un grande benessere condito di piccole scoperte.

Nella prima fase della lezione,  l’esperienza del rullo sotto il collo sembra far sperimentare a gran parte dei presenti sensazioni piacevoli, di riposo e di “star bene”. Poco dopo Angela ci chiede di posizionare il rullo tra le scapole e, accogliendo i primi commenti, anticipa che la posizione può risultare come una provocazione che invita, a volte con un po’ di fatica o disagio, alla ricerca di un nuovo adattamento.

Pensate a come questa provocazione per il corpo può ricordare anche quelle che tante volte ci troviamo ad affrontare nelle nostre vite! La mente mi parte a fare connessioni e in effetti penso che così come ora il corpo prova a trovare modi differenti per adattarsi a quanto “impone” una nuova postura, così tante volte abbiamo bisogno di darci tempo per adattarci alle provocazioni della vita e dovremmo imparare sempre di più a concederci tempo per farlo.

Angela invita a cercare nel corpo, e in particolare nel torace e nelle spalle, zone di morbidezza orientandoci verso quella inconfondibile sensazione che fa sentire morbidi dentro. Esattamente il contrario di quanto accade di fronte alle tensioni, alle difficoltà, alle paure e alle preoccupazioni. Il corpo si irrigidisce e sovente lo stesso accade anche alle azioni e reazioni, alle risposte e al modo di affrontare quella situazione.

E non dimenticatevi di respirare! Quel respiro che subito tratteniamo di fronte alla difficoltà e che spinge esattamente dalla parte opposta della ricercata morbidezza.  Mi capita sovente di confrontarmi con madri provate, anche fisicamente, dal rapporto con figli disabili che ripropone ogni giorno quell’impegno fisico che nella maggior parte dei casi evolve dopo i primi anni di vita. Altro che provocazione!

E allora la strada può essere quella di prendersi cura di se’ per accogliere morbidamente anche l’altro. Lo sperimento quasi tutti i giorni perchè ogni volta che non ci urtiamo con le nostre reciproche rigidità, il nostro incontro sa di bellezza.

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