Amori delicati

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di Irene Auletta

Stamane inizia una settimana di centro estivo Tma (terapia multisistemica in acqua), ricco di proposte e di belle iniziative. 

Durante i preparativi della mattina sei attenta e curiosa ma in auto, nel tragitto verso il Centro, diventi subito seria e, giunta a destinazione esprimi, come fai sempre, la  tua ambivalenza tra andare e resistere. 

E’ facile confondere questo comportamento eguagliandolo a quello dei bambini piccoli e ci vuole ogni volta forza, costanza e competenza, per guardare altrove. 

In una vita dove e’ difficile, se non impossibile,  prefigurarsi i cambiamenti, risultano particolarmente importanti il rispetto dei tempi e i relativi necessari assestamenti. L’equilibrio tra l’attesa e la sollecitazione però, per me, non e’ affatto cosa semplice perché spesso ti vedo imprigionata nella difficoltà di andare oltre la tua stessa “presa di posizione” e allora la sensazione di forzare, a volte, sembra prendere il sopravvento sulla tua volontà. 

E così, con un po’ di disagio nello stomaco e le solite domande spalancate ti lascio al cancello mentre mi guardi serissima, ancora indecisa sul farti convincere ad entrare. Se tu sei ambivalente in queste situazioni io lo sono ancora di più, al limite del dissociata. La testa mi richiama con fermezza alla tua età, al bisogno di proteggerti meno e di forzare un po’ la mano, mentre il cuore mi trova sempre un po’ smarrita e incerta.

Tante volte, pensando ai genitori dei bambini piccoli, ho detto che vanno accolti con delicatezza e pazienza, come “genitori piccoli” che devono ancora crescere nel loro ruolo. I genitori con figli disabili adulti, pur non essendo genitori piccoli, molto spesso riflettono la fragilità dei loro figli e penso vadano trattati con cautela, riconoscendo dietro apparenti fermezze, insicurezze ed  emozioni tanto delicate.

Si, anche ora io mi vedo proprio così come un tuo riflesso, mentre guardo emozionata la foto ricevuta, che trattiene il divertimento e l’allegria.

Ombra e luce. Destino imprescindibile della relazione con te. E poi, ombra e luce non sono i volti della Luna? 

Oltre le parole

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di Irene Auletta

E poi ci sono delle volte in cui le nostre comunicazioni sono intensamente simpatiche e divertenti.

Sul pulmino che ti riporta a casa siete solo due ragazze e il posto a fianco all’autista e’ molto ambito … i ragazzi sembrano non mostrare alcun interesse. Più volte, quest’anno, ho dato voce a questo tuo desidero ma ieri l’ho fatto coinvolgendo la tua “rivale”. 

Sai che Luna non lo sa chiedere con le parole ma anche a lei ogni tanto piace stare davanti. Che ne dici di fare un giorno a testa?

Oggi arrivi seduta davanti, fiera e sorridente. Io ringrazio l’altra ragazza e tu, con tono di voce parecchio sostenuto, esprimi la tua volontà con forza, in un dialogo senza parole che non lascia alcun equivoco sui contenuti. 

Poi sembri volerlo raccontare a tutti e ridi tantissimo quando ti dico che puoi contare sempre sul mio aiuto ma anche sulle tue intenzioni che sai esprimere anche ai sordi! 

E così il tuo tono di voce sale quasi a confermare quello che stiamo condividendo. In questo momento non abbiamo bisogno di nessun traduttore. Le mie parole e i tuoi commenti danzano in perfetta armonia e io mi gusto l’attimo felice.

Devi proprio insistere quando vuoi qualcosa Luna e per tutta la sera ti alleni, mettendo alla prova i miei timpani!

Da anni mi misuro con quelle che penso essere anche le conseguenze della nostra direzione educativa e sono certa che la tua tenacia sia frutto di quel non arrendersi che ti fa persona attiva e non esecutrice delle indicazioni altrui. 

Certamente con la disabilità è facile, e decisamente più gestibile, cedere alla tentazione di orientare molto le scelte altrui, ma io non farei che aggiungere altra inutile sofferenza e quindi preferisco il duello alla resa.

Vederti cosi felice nel poter affermare la tua volontà, mi riempie il cuore di allegria e ancora una volta non ho dubbi sulla scelta. Esistere con dignità vuol dire comunicare, scegliere e … insistere.

Lezione della sera appresa.

Amori orgogliosi

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa tuo padre mi ha raccontato di un vostro recente scambio in cui ti ha parlato del suo orgoglio per te. Vi immagino vicini, intimi, profili uguali nelle vostre differenze abissali e mi arriva un’ondata di emozioni. Saremmo stati capaci di provare tanto orgoglio e di esprimertelo se tu non fossi stata tu? Domande mute con risposte impossibili.

Il racconto mi torna in mente oggi mentre io e tuo padre ti osserviamo in acqua, in un momento di valutazione del tuo percorso TMA (terapia multisistemica in acqua). Nonostante questo sia un nostro appuntamento settimanale, durante gli incontri riesco a vederti poco, sia perché spesso la mia presenza ti distrae, sia perché farti vivere momenti in assenza del mio sguardo mi sembra una gran bella libertà. 

Ma oggi è un giorno speciale e anche le tue reazioni in nostra presenza sono un oggetto di valutazione. Come sempre in acqua ti muovi con estrema disinvoltura, diventi leggera e le tue rigidità di movimento sembrano scomparire. Ridi, ti concentri, ti impegni e mostri una fiducia totale nell’istruttrice che da quasi tre anni ti sta accompagnando in questa avventura. Appena puoi ci cerchi con lo sguardo e io mi accorgo di trattenere il respiro mentre ti osservo in alcuni passaggi in cui ti ritrovo la mia figlia coraggiosa. 

Durante la restituzione la supervisora sottolinea, con positiva delicatezza, lo scarto tra le tue possibilità, gli innegabili limiti e la tua tenacia, unita alla voglia di provare e sperimentare. Ogni volta che penso a quanto la vita e’ stata con te avara e a come tu riesci a trasformare ogni occasione in possibilità, sento un pizzico forte al cuore unito a quel moto di orgoglio che non smettiamo mai di dirti e farti sentire. 

Le fatiche immense di tutti i passaggi, compresi quelle che precedono esperienze in cui poi ti butti a capofitto e che ti piacciono molto, in quell’attimo sembrano svanire e io mi riempio gli occhi di tutta la bellezza che fra poco ti sussurrerò nel nostro abbraccio d’amore orgoglioso.

Nella delicatezza

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di Irene Auletta

Non credo che questo sia un tuo atteggiamento esclusivo e il fatto che tante persone con disabilità vengano definite testarde depone a favore di questa interpretazione.

Certamente tu ci poni una bella sfida quotidiana soprattutto in quei periodi dove la tua posizione o volontà si esprime “contro a prescindere”. Il fatto poi che, per esprimerti, non possa utilizzare la parola ti ha portato negli anni ad elevare ad arte quella capacità di usare il tuo corpo per dirci che non ti va, che non ci pensi nemmeno o forse, semplicemente, che vuoi esserci senza eseguire sempre le nostre indicazioni o la nostra volontà. In particolare, tra i tuoi pezzi forte, ci sono l’inchiodarsi con i piedi al terreno con una forza sorprendente e il buttarsi a terra come must insuperabile. 

Ricettina semplice sentita troppe volte e valida per tutte le stagioni? Comportamento oppositivo! Io non lo posso più sentire.

Come ho raccontato altre volte in questi casi è facile cedere alla tentazione di spingerti, tirarti, farti da contrasto e purtroppo questo stesso comportamento l’ho osservato sovente da parte di genitori e operatori. Capisco che è una reazione spontanea, a volte esasperata da numerosi tentativi di convincimento falliti miseramente ma, ahimè, non funziona.

E così stamane siamo qui, a casa da sole e alla terza mattina di risveglio parecchio mattiniero. Reagisci ad ogni cosa con una tensione e un contrasto e sento che fra poco, se non trovo un’alternativa, mi parte il cipiglio da maresciallo.

In assoluto silenzio mi arrendo ai tentativi verbali e, nell’attesa e nel ricordo, la tua maestra Angela mi viene in aiuto, nel racconto di cosa riesci a fare con lei negli ultimi mesi di lezioni Feldenkrais.

Passano i minuti e non manca molto all’arrivo del pulmino ma provo a non pensarci.  Ci sorridiamo e con un cenno ti invito a quel passaggio fondamentale per prepararci ad uscire di casa. 

Qualche secondo ancora e poi scegli tu e con serenità procediamo nelle infinite cure quotidiane.

Allora te lo dico. Te lo ricordi cosa dice la maestra Angela? Abbiamo fatto tante cose nuove sempre lentamente e nella delicatezza. 

Già, gentilezza e delicatezza, ecco le nostre sfide. Ogni giorno 

PS. Stamane, cosa più unica che rara, il pulmino l’abbiamo aspettato noi! 

Scegliamo la volontà

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di Irene Auletta

Io e tuo padre ci ritroviamo spesso a parlare di temi inerenti la genitorialità, sia per interesse personale che professionale. Tante volte mi sono chiesta che genitore sarei stata in una situazione differente ma, negli anni, questi interrogativi hanno sempre di più assunto le vesti quasi trasparenti di ciò che non potrà mai essere.

In particolare, proprio in questi giorni, ritornano i temi della scelta e della volontà. Bambini e ragazzi che sembrano scegliere tutto, andando ben oltre la loro zona di legittimità e di buon senso educativo e, figli come te, che appaiono più che mai azzerati nella volontà. E così, di fronte ad una flebile, che diventa pian piano più forte, espressione di volontà, si passa ad etichettarli monelli (anche oltre i vent’anni!), testardi, oppositivi e chi più ne ha più ne metta. Insomma, problematici. Loro e non noi e la nostra relazione. No, loro.

Intendiamoci, ingaggiare qualche lotta accade a tutti e credo faccia anche normalmente parte del ruolo genitoriale. Ma la consapevolezza di questo nostro limite mi piacerebbe non fosse un optional e in questo madre e padre possono aiutarsi tantissimo. 

Facciamo cambio, ci diciamo spesso io e tuo padre e quasi sempre il cambio di relazione cambia il contesto anche facendoci bonariamente protestare . Possibile che questo lo fai solo con mamma o con babbo?

In questi giorni sono arrivati i nonni, sempre più anziani e fragili. Dal loro arrivo hai iniziato a scegliere più spesso manifestando chiaramente la tua volontà. Piccole scelte, quelle per te possibili, che accolte generano soddisfazione e benessere, per tutti. E inoltre, rendono decisamente meno frustranti le tante situazioni dove questo non è possibile.

Ma questo non vale per tutti i figli?

Ricordo che anni fa mi aveva molto colpito il racconto di una madre relativamente al figlio quasi trentenne irritato per dover continuare a vivere con i genitori. Irritato perchè? chiesi timidamente. Perché vorrebbe pagassimo noi genitori l’affitto! Ok mi arrendo! Scegliere ed esprimere la volontà non vuol dire protrarre a oltranza l’infantile pensiero magico e diventare sempre più tiranni nei confronti dei proprio genitori, da zero a trent’anni.

E poi, la scelta è una danza tra la tua volontà di figlio e la mia di genitore, altrimenti si chiama in un altro modo.

Non lo saprò mai che madre sarei stata se … Forse anch’io sono un po’ disabile come genitore, ma se ogni volta di fronte alla manifestazione di una volontà, con figli disabili o no, tornassimo a valutare opzioni, senso, possibilità e opportunità, credo staremmo meglio tutti.

Aiutare a scegliere e a nominare la propria volontà, offrendone le possibilità adeguate all’età e alla situazione, mi pare un compito educativo irrinunciabile. Non dimenticarlo è un bel respiro pedagogico, garantirlo (sempre!) è la tutela di un diritto.

Da imparare c’è tanto … Da insegnare ancora molto (Il castello errante di Howl)

Ali per sognare

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di Irene Auletta

La mia conoscenza di Fiorella risale a diversi anni fa e, con il tempo, si è intensificata sino a raggiungere un punto per me molto importante quando mi ha chiesto di scrivere la prefazione al suo bellissimo racconto  Figli con le ali. Detto così nulla di strano a parte il fatto di non esserci mai incontrate se non attraverso quel mondo virtuale che per fortuna crea fili invisibili e forti anche laddove le mani non sono ancora riuscite a stringersi.

La vita ci ha fatto parecchi sgambetti e ogni volta che il nostro incontro sembrava sul punto di materializzarsi ecco che compariva una nuova nube all’orizzonte che con il suo vento, più o meno forte, continuava a farci veleggiare distanti.

Nel mese di aprile scorso una proposta di mia sorella. Che ne dici, il 3 ottobre ci andiamo a Palermo? Un attimo di esitazione. Oddio cosa farò in quei giorni? Non è proprio la settimana del Convegno annuale Orsa ad Assisi? Come sarò messa con gli impegni di lavoro? E con Luna ce la farò ad organizzarmi? No cavolo, stavolta ci riprovo di nuovo!

Nuvole, pioggia o vento non ci hanno fermate e così eccomi emozionata mentre mi guardo intorno nella piazza del nostro appuntamento, nella tua città, vicino al teatro Politeama.  

La intravedo e subito la riconosco dalle immagini che il web mi ha mostrato nel tempo. Sorridente, energica, un viso gentile e tanta bellezza nello sguardo. Come se ci conoscessimo da sempre, come se ci fossimo appena lasciate ha detto lei stessa poco dopo, mentre penso che voglio bene a questa donna straordinaria che, forse senza saperlo o comunque non vantandosene, è di esempio per molte madri che, come lei e come me, ogni giorno attraversano la loro storia  a fianco di un figlio disabile.

Le foto non ti rendono giustizia, le dice mia sorella mentre io la guardo in silenzio e ho l’impressione che i nostri occhi si stiano raccontando qualcosa. Si Fiorella, la riconosco dietro a quel sorriso, a fianco di quella forza guerriera e a braccetto dell’energia rinnovata di ogni giorno. La nostra amica malinconia, negli occhi e nel cuore a tessere un filo che ci fa riconoscere e sorridere. Insieme alle nostre figlie abbiamo imparato a gustarci il tepore del silenzio e quella musica senza parole che arriva sempre a consolarci e a sostenerci.

Il resto Fiorella è nei nostri ricordi, nelle foto rubate e promesse alle nostre compagne di viaggio, nell’abbraccio con tua figlia Ambra e la sua piccola Sveva, nell’arrivo di Ester che mi tocca con immensa tenerezza quel pezzo di cuore che mi pulsa sempre in un modo tutto suo.

Essere riuscite a incontrarci ci sembra quasi un sogno e l’emozione finalmente concretizzata mi accompagna durante tutto il nostro incontro, nel  successivo giro per la città, nel viaggio di ritorno e nell’incontro con il quotidiano che si fa vita. La mia vita.

Qualcuno, tempo fa, mi chiese come avessi potuto scrivere qualcosa sul tuo libro senza neppure conoscerti. Oggi potrei rispondergli senza esitazioni. 

Riscriverei esattamente le stesse cose, amica di ali.

Bizzarre curiosità

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di Irene Auletta

L’espressione “paziente non collaborante” ha sempre destato in me una certa curiosità, forse perchè pensandomi in alcuni contesti sanitari, più che a collaborare, mi vedo intenta a sopportare o ad obbedire, spesso consapevole del fatto che questa mia arrendevolezza o consenso sono fondamentali all’esito positivo dell’intervento o della visita. In campo medico tuttavia questo significato ha un suo perchè e una logica assai condivisibile.

Quello che invece mi raggiunge stonato, è quando la stessa espressione viene trasferita, a volte con estrema facilità e superficialità, anche nei contesti educativi o riabilitativi. Proprio in quei contesti dove si corre il rischio di etichettare le persone come pigrone, testarde, furbe. Non manca quasi mai la frase “quando una cosa gli interessa vedi come si organizzano!”.

L’impressione è che dalle persone in difficoltà, disabili, anziani e a volte anche bambini piccoli, sovente ci si aspetti quasi un’adesione automatica alle richieste smarrendo il valore del rispetto della volontà, dell’importanza di una condivisa ricerca di senso, dell’accettazione o di un’affermazione di non disponibilità o rifiuto.

In tanti anni ho imparato che non è di minore importanza il rispetto dei tempi , anche per il consenso. Sovente tra la richiesta di fare e il fare reale è importante prevedere un tempo che è quello necessario per quella persona lì. In questa scena, l’assenza di parola dell’altro e l’abuso della nostra, rischiano di configurarsi solo come la classica ciliegina sulla torta.

Voglio ricordarmi, ogni giorno, che collaborare vuol dire anche dare il proprio contributo e spero di continuare a farlo cercando di aggiungere alla ricerca quel pizzico di allegria che può rendere il tentativo sempre un po’ più leggero. Forse siamo proprio noi genitori che dovremmo per primi, fare attenzione alle trappole delle facili etichette cercando, anche per questi aspetti, nuove collaborazioni con gli operatori educativi e sanitari.

Un medico molto competente che di recente è riuscito a organizzare quasi una magia facendoti una tac polmonare senza alcuna sedazione e con il tuo piccolo-grande contributo, ha concluso così una mail: salutatemi la mia amica Luna.

I linguaggi e le parole fanno sempre la differenza e io continuerò a insegnarti a non subire, cercando vie possibili per proteggere la tua tenace e non sempre facile da gestire, meravigliosa volontà.

Ragioni allo specchio

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libro-consapevoledi Irene Auletta

Nel tentativo di rispettare i tuoi tempi e di non scivolare in quello che  facilmente diventa un confronto di forza fisica o relazionale, ti seguo per casa proponendoti ogni tanto di terminare quello che abbiamo iniziato da oltre un’ora.

Io continuo nelle mie faccende e tu mi osservi ogni volta che mi allontano per occuparmi di altro. Spesso mi segui nella stessa stanza e mi accorgo che questo nostro scambio è diventato un gioco. Tu che non vuoi fare quello che ti propongo e me lo dimostri con tutto il tuo corpo e io che faccio finta di rinunciarci rivolgendo altrove il mio interesse.

Ogni tanto ti inseguo per casa ridendo e tu stessa ricambi aumentando in contemporanea quella scomposta camminata veloce che è il massimo della tua corsa possibile. Ridi perché ora è ancora più chiaro il gioco e ad ogni piccolo rumore non manca la pausa, da grande curiosa quale sei, per sbirciare dallo spioncino della porta di ingresso cosa sta accadendo fuori casa.

In questi momenti c’è profumo di serenità e i nostri scambi diventano racconto. Ti guardo sorridente e non posso fare a meno di esprimere con le parole la comprensione delle tue e delle mie ragioni.

Ti capisco figlia perché vivi in una torre isolata dove raramente riesco a raggiungerti. Ti ammiro per quella tua meravigliosa tenacia e per la voglia di non rinunciare, ancora e ancora. Ti guardo e mi guardo, ogni volta, in questa nostra danza claudicante che ad ogni incerto passaggio cerca possibilità nuove per assaporare attimi di armonia.

Guardandoti attraverso altri specchi vieni sovente definita oppositiva e fino a qualche anno fa ci soffrivo ogni volta. Oggi ne raccolgo un valore differente nella possibilità di guardarti nei tuoi variegati riflessi. Io preferisco questi di ricerca, di scoperta e di curiosità. Me lo hai insegnato anche tu e ogni giorni ci proviamo, insieme.

Nel frattempo in casa sembra scoppiata una bomba dal caos che regna sovrano, è quasi ora di pranzo e tu sei sotto la doccia perché me lo hai chiesto con una chiarezza che non ho potuto non accogliere.

Sai che faccio Luna? Ora ci scrivo un post per te, per me e per tutte quelle madri e figli che, ogni giorno, cercano passi nuovi per le loro speciali danze.

Paradisi a termine

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Di Igor Salomone

Calda, scrosciante, bollente. Casca sulla mia testa e cola lungo i capelli, il collo, le spalle, giù giù sino ai piedi. Sembra che lo scarico della vasca la chiami a raccolta per prendere la rincorsa e tornare sempre più bollente a percorrere un altro giro, e poi un altro e un altro ancora.

In realtà non è così, l’acqua che mi massaggia caldissima è sempre nuova e sempre nuovamente riscaldata dal preziosissimo amico che se ne sta in cucina dentro un armadietto, in paziente attesa, ora dopo ora, minuto dopo minuto, che un rubinetto da qualche parte lo svegli dal suo torpore. Quando ci riesce, perché talvolta lo scaldabagno non si risveglia affatto ed è in quel momento che mi accorgo del lusso incredibile al quale sono ormai abituato.

Acqua, tanta, calda quanto voglio e per quanto tempo voglio. Torno dalla corsa mattutina e non aspetto altro. Forse vado a correre proprio per la doccia che viene dopo. Inizio a temperatura media, giusto il tempo di abituare la pelle, poi gradualmente spingo il miscelatore verso il rosso, e spingo e spingo. La temperatura arriva al limite dello scorticamento e indugio. Mamma quanto indugio! Ci resterei tutta mattina lì sotto. Shampoo, insaponatura, risciacquo…indugio. Tento una prima sortita, freddo, torno indietro. E chi mi scolla di qui?

Mi vengono in mente i deserti, le popolazioni assetate, il riscaldamento globale. Dai, l’acqua è una risorsa rinnovabile, non è che proprio la sprechi. Il gas no però, ma quanto vuoi che ne stia consumando? Mi sento in colpa per una frazione di secondo. Una colpa istantanea, talmente veloce che non me ne accorgo nemmeno, lavata immediatamente via dallo scroscio magico che mi sta cullando in un tripudio di calore umido.

Va bene, adesso però mi faccio violenza ed esco. Questo penso: mi faccio violenza. In quel mentre arriva mio padre. Nella mia testa ovviamente, lui è morto ormai da un’eternità. “Violenza? in che senso? ti prendi a pugni per uscire dalla doccia?” “…no, in effetti no, è un modo di dire, sta a significare che mi devo imporre di fare qualcosa che non vorrei fare ma che devo fare” “Ah si? mi sembrava di averla sempre chiamata volontà…”.

Già, la maledetta volontà, da quando si è trasformata in “farsi violenza”? In realtà io non voglio stare indefinitamente sotto la doccia bollente, lo desidero. Voglio e desidero, desidero e voglio: fortunatamente sono due cose diverse, altrimenti non mi godrei mai una doccia bollente, oppure ci annegherei sotto.

Chiudo il flusso di magia, indosso l’accappatoio ed esco dalla vasca. Dovrò scrivere qualcosa su questa storia del “farsi violenza”, ho l’impressione nasconda la fantasia di poter eliminare il conflitto tra i propri desideri e le proprie scelte.

Ostinarsi a lasciare

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Yoda_y_Lukedi Irene Auletta

La lezione inizia ed è una di quelle, almeno parzialmente, conosciute. Poco prima con Angela, la nostra insegnante Feldenkrais, avevo anche espresso una mia preferenza proprio per questa ma, sin dalle primissime indicazioni, qualcosa non funziona. L’invito ad andare lentamente, ad essere gentili nel movimento e a cercare la morbidezza, stasera sembra produrre in me l’effetto contrario.

La mente continua ad allontanarsi da quella scena, assorbita da alcune preoccupazioni che in modo prepotente invadono quel sospirato momento solo per me. Penso a te, alle tue fatiche del presente, alle tensioni che sembrano caratterizzare tutte le tue principali relazioni. E soffro.

Fate partire il movimento dai mignoli, incrociate le mani, fatele risalire pian piano lungo il ….. Eccomi che sono già altrove. Penso a quelle frasi sovente rivolte a te ma che, in realtà, sembrano più una recita per me stessa. Ti osservo mentre non molli, ti ostini, resisti. E io a dirti che devi lasciare andare, che devi arrenderti un pochino altrimenti puoi solo continuare a stare male. Ma con chi sto parlando?

Nel fare un certo movimento avverto una lotta fortissima tra corpo e volontà. Le indicazioni di Angela sembrano scontrarsi contro un muro e anche i movimenti più semplici diventano ostacoli insormontabili. La mente si ottunde e in diverse occasione lei si avvicina facendomi notare che sto saltando qualche passaggio oppure sto facendo qualcosa di differente dalla sua indicazione. Ed è proprio questa la sensazione. Sento male da tutte le parti e qualsiasi movimento incontra tensione e resistenza.

Lascia andare questa sensazione e dormici sopra. Vedrai che stanotte andrà meglio e chissà cosa accadrà domani. Angela è straordinaria riesce sempre ad accoglierti dando valore alle tue difficoltà, infondendoti fiducia.

Sveglia, mentre gli altri ancora riposano, mi ritrovo nella mia sala ad occhi chiusi. La voce dell’insegnante riemerge puntuale nella memoria e mi guida nei movimenti e nella sequenza. Tutto mi appare facile e ogni gesto una liberazione. Il corpo cede e con esso la volontà. Lascio andare e le lacrime mi solcano le guance mentre inizio a sentirmi decisamente meglio. Oggi amore avrò qualcosa di nuovo da raccontarti a proposito delle sfide.

Lezione appresa.

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