Di Igor Salomone

Rieccomi. Non so come nè per quanto, ma sono ancora qui. Con questo post, in dipendenza dalle giornate, ho deciso di riprendere in mano ciò che so fare meglio: insegnare, ragionando attorno all’educazione.

Otto ragazzini e ragazzine tra i nove e dieci anni accomodati attorno a una tavolata in pizzeria. La stessa nella quale mia moglie mia figlia e io eravamo appena entrati dopo sa dio quanto tempo, causa problemi di salute del sottoscritto.

“Questi ci tireranno scemi”, ho pensato di getto quando il cameriere ci ha fatto accomodare subito prima dei magnifici otto. Vedevo già il momento di intimità con la mia famiglia tanto agognato, messo a dura prova da urla, risate, scherzi, fughe in giro per il locale. Ho impiegato più di qualche secondo ad accorgermi che in realtà i tanto temuti casinari erano serenamente seduti a tavola in attesa della loro pizza.

Mi guardo istintivamente attorno in cerca degli adulti che li accompagnavano. Erano in una tavolata parallela al di là dello stretto corridoio, seduti anche loro chiacchierando amabilmente in una suddivisione non so quanto voluta tra uomini e donne raccolto ai due capi della tavolata.

Ho atteso composto in una postura inequivocabile che diceva “vedrai fra un po’ che succede”. Invece niente. Le pizze arrivano e ognuno consuma la sua senza alcun verso, rifiuto, lamentela o rumore di qualsivoglia genere. I ragazzini parlano tra loro tra un boccone e l’altro e gli adulti uguale. Anzi in realtà qualcuno degli adulti qua e là alzava un po’ troppo voce e tono delle risate.

Appesi al soffitto c’erano ben tre maxischermi che mandavano in onda non ho idea di che partita. I ragazzini non se li sono filati neppure di striscio tranne in un paio di occasioni che hanno distratto uno o due di loro per un tempo brevissimo dopodiché si sono voltati tornando al gruppo. Finite le pizze era evidente che stessero aspettando qualcosa d’altro, un dolce che sarebbe arrivato da lì a poco, e nel frattempo sei di loro si impegnano in un gioco con delle carte a me del tutto sconosciute, mentre gli ultimi due erano impegnati in una partita di scacchi.

Forse eravamo su scherzi a parte o intrappolati in qualche reality show con un nuovo format.

Nota rilevante, nessun ragazzino aveva in mano uno smartphone che brillavano per la loro assenza anche al tavolo degli adulti. Una tavolata più in là, al contrario, gruppo misto di ragazzi e adulti che parlano fra loro mentre i ragazzi sono incollati a un qualche schermo persi chissà dove ma certamente non presenti.

Bisognerebbe cancellare l’aggettivo “diseducativo” dai vocabolari e, sopratutto, dai dotti trattati di pedagogia. Queste due scene non sono l’una educativa e l’altra diseducativa, entrambe insegnano qualcosa, quindi si tratta di capire cosa e come. Il cosa è un lungo elenco sulla quale non mi attardo, il lettore si divertirà a individuarlo. Se non ci riesce può sempre chiedermi una consulenza. Il come invece è tanto evidente quanto solitamente dimenticato. Sono stato spettatore di due scene educative con attori differenti allestite in modo differente. Qualsiasi cosa insegni l’una o l’altra, e di sicuro entrambe insegnano qualcosa, non è fatta di parole, pipponi, spiegazioni asfissianti o minacce di punizione. Gli insegnamenti possibili erano impliciti nel modo in cui erano stati organizzati gli spazi, i corpi e i mezzi a disposizione oltreché alle regole di ingaggio reciproco. E’ del tutto chiaro che andare al ristorante adulti e bambini portando con sè dei giochi da tavolo, occupare tavoli separati in modo che i ragazzi possano parlare e interagire con i propri pari e gli adulti pure senza ingerire in ciò che accade dall’altra parte del corridoio, costruisce un’esperienza educativa differente da quella che costruirebbero altri allestimenti.

Se ad esempio i posti a tavola fossero stati assegnati secondo lo schema un adulto, un ragazzo, un adulto un ragazzo, le regole di ingaggio non possono che essere tutti parlano e ascoltano di tutto senza distinzione, oppure gli adulti interagiscono e i ragazzi devono starsene buoni, oppure ancora i ragazzi sono al centro dell’attenzione e gli adulti non riescono a scambiare nemmeno una parola. Questa è la configurazione forse più diffusa nella nostra società e dovrebbe aiutarci a capire molte cose del nostro modo di educare e dei perchè i ragazzi sviluppano comportamenti di un certo tipo, come disturbare in modo permanente oppure nascondersi dietro uno schermo. LI stiamo diseducando? No, affatto, li educhiamo esattamente così. Sarebbe solo ora di assumercene la responsabilità, che nello specifico delle cose educative non significa affatto battersi il petto, puntare il dito e finire prima o poi da uno psicologo o un avvocato divorzista. “Non ci riesco” in educazione non è una scusa accettabile, se hai la responsabilità di educare qualcuno e non lo sai fare, impari.