Giornate mute

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di Irene Auletta

Ieri giornata difficile, di quelle di cui non amo parlare perchè in questo sono molto in sintonia con mia figlia. Per me il dolore è una storia muta e forse, proprio per questo motivo, tante volte la lettura e la scrittura, come accadeva al Barone di Münchhausen, mi hanno salvata portandomi altrove, di fronte a inediti orizzonti.

Mentre ci prepariamo per andare dai nonni la vocina interiore mi suggerisce che forse non è il momento giusto per farlo, ma io insisto, sperando di sbagliarmi, perchè spesso uscire cambia la dinamica e un po’ di ombre si dissolvono. Ma ieri, non è stato così.

A casa dei nonni non volevi neppure entrarci e tutto il tempo che siamo rimaste è stato una continua richiesta di andare, con la tenacia e l’insistenza che solo chi non ha parole a volte sa esibire in modo così sorprendente ed estenuante.

Mio padre voleva parlarmi di qualcosa in merito a cui aveva bisogno di aiuto e di un consiglio, mia madre, persa nella confusione che abbiamo portato con la nostra visita, tu che non demordevi un attimo e io con quello stato d’animo che tanti genitori come me conoscono bene, tra smarrimento e senso di non farcela.

Alla fine decido di lasciare tutto e portarti via. Andiamo Luna, vado solo un attimo a salutare la nonna. Vicina a mia madre provo a raccontarle perchè oggi è una giornata No. Le dico quanto mi dispiace per il caos e per il fatto di non poter restare ancora un po’ a farle compagnia.

Mia madre ormai parla pochissimo ed è sempre più stanca nei suoi passaggi tra diversi mondi. Mentre le sto accarezzando le mani i nostri occhi si incontrano in silenzio e poco dopo arriva, proprio lei e sempre lei, appena riesce.

Vai tranquilla, ora Luna ha bisogno di te e non dimenticarlo mai, Luna è importante.

Il tono della parola importante mi arriva forte e delicato, come richiamo a quella cura che mia madre, e insieme a lei mia nonna, sua madre, hanno saputo trasmettermi in tanti anni, con grande leggerezza e amore.

Vado mamma, anche se non riesco a dirti che mi sento spezzata, tra figlia e madre, che il cuore mi fa male e che vorrei rimanere qui a farmi consolare dal tuo silenzio.

Poco dopo, in auto, mi aspetta un altro silenzio e pian piano ti racconto cosa è successo, che ora passa e che insieme possiamo superare anche questa brutta giornata. Ora arriviamo a casa e forse troviamo già babbo che dici? Ci facciamo aiutare anche da lui?

Ti lascio nelle braccia di tuo padre ed esco a camminare un po’. L’aria frizzante della sera mi calma e guardando le prime luci della città ho una piccola ma radicata certezza.

Anche per oggi ce l’abbiamo fatta.

Di madre in figlia

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di Irene Auletta

In questi ultimi anni stare insieme a mia madre mi ricorda quel lento oscillare dell’altalena che ti avvicina e allontana da ciò che provi a mettere a fuoco insieme alla consapevolezza che solo lasciandoti andare puoi apprezzarne la vista circostante, l’aria sulla pelle e il piacere di quel momento. Quando ci sei, e sei proprio tu, quel gusto familiare riemerge intenso dal passato e sa di forza e nostalgia. Le pause differenti, che si alternano a tali momenti, hanno sovente il colore della malinconia.

Anche mia figlia ti cerca disorientata e proprio ieri, ritrovandoti, ti ha accolto con un forte abbraccio di quelli impossibili da prevedere o anticipare anche di questi tempi. Il tuo stupore mamma mi ha inondato di dolcezza in quel ripetere che abbraccio, che abbraccio, questo si che è un bel regalo di Natale!

E così entrambe vi siete riprese lo spazio del vostro incontro mentre guardo mia madre che, “nel rispetto delle regole”, ti bacia sulle mani per mantenere la distanza.

Voi due insieme mi emozionate sempre tantissimo a memoria di quella figlia matura che ancora tiene in mano un filo d’unione antica e quella madre che, invadendomi la vita, cerca ogni giorno nuovi respiri.

In queste feste natalizie, che non amo più da molti anni, mi sembra che l’aria si sia fatta più pesante, mettendo insieme alle ansie collettive quelle più private che la vita non smette mai di riservarci. Per questo fatico a scrivere, le dita sui tasti dipingono ombre e le luci in lontananza non sempre riescono a brillare.

Poi, ripenso ad uno dei nostri recenti viaggi in auto da sole. Seduta al mio fianco, appoggi la testa sulla mia spalla facendo fermare il tempo e, in quello spazio tiepido, lascio le nuvole lontane e mi godo quegli attimi di bellezza pura. Tra le tante cose che mi hai insegnato c’è anche questa, quel fidarsi e affidarsi che mi auguro lasci tracce profonde nella tua memoria.

La danza tra tenere e lasciar andare può essere dolcemente struggente ma proprio mentre il dolore sembra prendere il sopravvento tu mi tiri per mano verso l’allegria, restituendomi con forza quello che provo a insegnarti ogni giorno.

E così mi ritrovo a cantare e insieme balliamo, balliamo, balliamo. Anche per oggi la luce è nostra amica. Mio padre guardandoci non perderebbe l’occasione per definirmi pazzerella. D’altronde, direbbe, sei nata proprio mentre c’era l’eclissi!

Grazie Luna … del cielo e della terra.

Mondoluna

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di Irene Auletta

Con il babbo e’ bravissima, dice l’autista del pulmino con il suo dolce accento toscano. Sarà che è una persona che mi piace molto per la sua gentilezza che osservo da qualche anno, ma quel suo “bravissima” stamane scivola via leggero.

In effetti oggi è la prima volta che ti accompagno e, ancora una volta, queste tue differenze nel saluto trattengono memorie antiche da cui a volte è forse difficile prendere distanza. Invece di salire ti riavvicini a me e quando ti invito a farlo mi indichi che vuoi andare altrove. Poi, facilmente cedi ma mi saluti con il viso serissimo.

Commentiamo la decisione che mostri sempre nelle tue scelte e scopriamo che il ragazzo che svolge il ruolo di accompagnatore ha la tua stessa età. Strana la vita dice quasi sottovoce e così comincia la giornata.

Il pensiero mi porta in un attimo altrove, ai tanti sentimenti che hanno affollato la mia mente in questi mesi, anche di fronte a qualche inciampo della tua salute. Ogni volta un respiro profondo per respingere le tracce timorose di quello che abbiamo attraversato in passato e la preoccupazione che di nuovo l’odioso visitatore della malattia autoimmune bussi alla nostra porta. Altro che pizzichi al cuore!

Tuo padre mi prende sempre in giro imitando le mie possibili frasi, con le quali ogni volta vorrei assumere su di me e nella mia carne quello che purtroppo non posso evitarti e oggi, fortunatamente, riusciamo a riderne insieme. 

Eccomi che ritorno al presente. Solo poche ore di distanza in queste prime sperimentazioni che dopo mesi ti tengono lontana da casa e da noi. Abbiamo tutti bisogno che circoli aria nuova nelle nostre relazioni che si sono saturate di tanta presenza.

Eppure come te, mentre ti allontani, mi osservo seria riflessa in una vetrina.

Quell’equilibrio complesso tra mente e cuore che affianca da sempre la nostra storia ricordandoci chi siamo, oggi mi rammenta che ho una figlia adulta.

Touche’

Racconti fiorati

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di Irene Auletta

Ci sono momenti in cui accadono cose tutte da gustare perchè chissà quando accadranno di nuovo. 

Quando arriva qualcuno a trovarci a casa, e a volte questo accade anche al rientro mio o a quello di tuo padre, la tua reazione può variare sensibilmente tra un’accoglienza gioiosa e affettuosa e una totale distanza, con un comportamento di apparente disinteresse. La spiegazione più ricorrente che negli anni abbiamo confezionato è la tua difficoltà a stare in quel cambiamento di situazione ma forse, a volte, semplicemente sei un po’ di più nel tuo mondo e non vuoi, o non riesci, uscirne facilmente.

Aspettiamo i nonni a pranzo e poi non li vedremo per parecchio tempo. Ti anticipo che la nonna è davvero molto stanca e forse avrà bisogno del nostro aiuto per stare un po’ meglio. Sai cosa sarebbe davvero bello? ti dico mentre mi ritrovo a ripercorrere tentativi comunicativi molto familiari ma sovente senza effetti entusiasmanti, sarebbe bello se accompagnassi nonna a vedere i bellissimi fiori che ci sono sul tuo balcone.

E così poco dopo ci provo, proprio mentre mia madre sta apprezzando i fiori sul davanzale della cucina, chiedendomi come si chiamano. Le sto raccontando che il balcone più bello è il tuo e in quel momento, vedendoti arrivare, ci provo e mi gioco il jolly.

Ti faccio una domanda semplice e diretta e, qualche istante dopo, osservo le tue mani prendere quelle della nonna e accompagnarla fino alla tua camera. Quando lei si ferma al centro della stanza le fai strada sorridendo ed esci sul balcone, osservando lei e poi i fiori. Io rimango commossa ad osservarvi ma cerco di rimanere in silenzio e mi gusto quel momento magico che voglio tenere impresso negli occhi e nel cuore.

La nonna ti segue e dopo qualche tempo, riemersa dal suo torpore al colore del tramonto, commenta il tuo cambiamento, la tua chiarezza nel farti capire e la tua serenità. Chi l’avrebbe mai detto, dice quasi sottovoce, e so che si riferisce ai tuoi anni più difficili, quelli a cui oggi non voglio pensare.

E di nuovo ascolto le stesse frasi del nostro ultimo incontro. Che è stanca, tanto, e che forse presto chiuderà gli occhi per sempre. E tu e Luna ce la farete vero? Io ormai quasi non respiro e prendo fiato per rassicurarla.

Ci mancherai sempre mamma e già ci manchi in quella parte di te che non sei più, ma oggi è successo qualcosa di magico e spero che ti rimanga nel cuore anche se già smarrito nella memoria.

Quando restiamo sole ti dico che hai fatto un regalo bellissimo alla nonna e anche a me. Ti racconto dei fiori. Ma sai che anche mia nonna amava tanto i fiori?

Una volta è successo  che …..

Quella forza lì

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di Irene Auletta

Mia madre e’ così. Dieci giorni fa ho temuto che fosse arrivata al suo capolinea e ieri sera faceva battute al telefono. Al suo invito a pranzo per domenica, conoscendola, cerco di rifiutare con delicatezza dicendole che mi sembra ancora troppo debole e che eviterei di arrecarle impiccio.

Ma che ci vuole per fare un po’ di spaghetti con le cime di rape? Che poi lo so che come li faccio io vi piacciono assai!

Eccola, riemersa ancora una volta, come tante volte l’ho vista nella mia storia di figlia e nella sua di donna molto malata.

Si… si… va bene, mi risponde mentre le faccio promettere che stavolta però accetterà il mio aiuto in cucina e già mi vedo a contrattare con lei ogni gesto.

Scola ora, aggiungi il peperoncino, girala bene eh?

Pensare che domenica dovrò anche provare a convincerla ad accettare un possibile ricovero e mi dovrò ingegnare perché le sue motivazioni ad una forte resistenza sono tutte stravalide. Dopo anni di esami e di ricoveri ora sei davvero stanca e io ti rispetto profondamente mamma, lottando con il mio egoismo che vorrebbe rimandare il più possibile il saluto.

Vabbè allora domenica vi aspetto, come sono contenta! Diglielo alla mia nipotina che nonna la pensa sempre.

Lo farò eccome e lo faccio sempre. Come madre mi ritrovo spesso a ripetere le tue frasi, a fare le tue battute. E Luna ride. Così sei sempre con noi.

Sempre, sempre.

Tornerò domani

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di Nadia Ferrari

Mamma vieni vedi hanno trovato un posto, ti ricordi aspettavamo che ci chiamassero … ecco da stasera dormirai in casa di cura. 

Si, si, é lo stesso edificio del centro diurno solo in un altro spazio. Si, mamma e purtroppo cambierai anche le assistenti Sara e Valeria non ci saranno più ma saranno carine anche queste. E lo so dovrai cambiare anche la compagnia, eh si ma vedrai che ti farai presto nuove amiche. 

Mentre svolgo le pratiche burocratiche ti guardo e vedo i tuoi occhi che si riempiono di lacrime.

Mamma ma piangi? No io non piango non sono capace di piangere. 

É vero, a pensarci bene non hai pianto quando è morto mio padre e nemmeno quando sono mancate tua mamma e tua sorella. Non hai pianto quando cinque anni fa ti ho strappato da casa tua per portarti da me, perché sola non potevi più stare. 

Ma stasera qui, mentre ti lascio definitivamente a cure altrui, piangi. 

Vorrei, cerco di abbracciarti ma tu non vuoi sei arrabbiata anche un po’ con me. 

Il cuore vorrebbe tornare indietro e portarti via, nella tua camera, nel tuo letto, vicino a me. Ne abbiamo passate tante di burrasche mamma ed ora anche questa, alla tua età non è giusto soffrire tanto… 

Tornerò domani pomeriggio a trovarti mamma ti dico. Speriamo, mi rispondi.

E ti lascio così nel tuo dispiacere portando a casa solo il mio. 

Alla fine un principe

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di Nadia Ferrari

Si è ufficialmente aperta “la fine”… dell’anno scolastico. Come ogni anno arriva e mi coglie improvvisamente, sfinita.

Alle spalle un anno trascorso con un gruppo molto numeroso di bambini e di bambine con cui si è attraversata “la vita” (scolastica) che mediamente dura 8 ore al giorno … dopo c’è solo la sera. 

La si è attraversata con tutte le cose belle, quelle meno belle, quelle proprio brutte e soprattutto con l’energia e la fatica necessaria a dare senso alla quotidianità per coglierne tutte le sfumature e cercare di renderla significativa ad ogni tratto. A dirla tutta vivere assieme ad una schiera di bimbi piccoli non è poi così semplice.  

Quando si arriva alla fine dell’anno poi si corre anche di più del solito, ci si dimentica, si prova, si compila, ci si riunisce, si fanno uscite, feste, saluti, commemorazioni, allestimenti, competizioni, evacuazioni, gare, comitati, si decide, si verifica, si programma, si riordina, si pulisce … si scoppia! 

Niente, la soglia di tolleranza alla fine dell’anno è talmente bassa che basta un nonnulla per scatenare liti inenarrabili … l’altro giorno discutendo animatamente con la mia collega, aspiro una briciola di pane e a momenti soffoco. Ecco, alla fine si può anche soffocare!

Naturalmente poi alla fine dell’anno ci sono sempre anche i bambini, stanchi anche loro e ce ne sono tanti … alla fine dell’anno scolastico sembrano anche di più! Ed anche i genitori aumentano e sembrano moltiplicarsi. Tutto questo frullato di attività, adempimenti, impegni, relazioni, per alcune di noi si somma da oltre 40anni e gli stessi si presentano puntuali tutti insieme per dare inizio alla fine. 

Una collega l’altra mattina entrando a scuola ci ha salutato abbaiando minacciosamente a significare insieme: “oggi sono pericolosa” e “ridiamoci sopra”, strappandoci una risata. Tutto ciò che serve a stemperare la tensione degli animi sul finale, alla fine dell’anno è sacro. Il “va tutto bene” recitato come un mantra con determinazione da segno che è vietato lamentarsi oltre, affinché emerga quel poco di buon umore che volga la giornata alla speranza. 

Poi, guardi le tue colleghe e vedi disegnata nei loro occhi, la tua stessa stanchezza e la stessa passione nei confronti di questo mestiere bello e impossibile che mai e poi mai ti sogneresti di cambiare nemmeno alla fine dell’anno e ti assale un sentimento di comunione solidale misto a tenerezza. Va tutto bene davvero ragazze è solo la fine dell’anno scolastico.

Da lontano Gabriele un bimbo di cinque anni mi grida: “Nadia ti voglio sposare”. 

Oddio che bello! Non succedeva da tempo. Da giovane maestra mi volevano sposare in tanti ma oramai erano anni che non me lo diceva più nessuno…  ecco quel che ci voleva! È proprio come nelle fiabe, all’improvviso un principe arriva sempre a salvarti ed ha inizio il lieto fine.

Alice, la bimba più saggia di tutta la classe, chiosa: “Non puoi, lei è già sposata, io l’ho visto suo marito”. E Gabriele: “lo so, è anche vecchia (ah ecco…) ma era per dire ti voglio bene”.

Va tutto bene davvero bambini. Concluso il bailamme della fine dell’anno … resteranno dei giorni solo per noi che potremo tornare a riempire a modo nostro! E ci saluteremo.

Salutarsi così

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di Irene Auletta

Le volte che al mattino dormi cerco di chiamarti il più tardi possibile per farti godere di quel piacere che puoi assaporarti in poche occasioni. Poi però il ritmo deve necessariamente aumentare per arrivare puntuali all’arrivo del pulmino che ti porterà verso la tua giornata.

Stamane ti incalzo chiedendoti collaborazione sottolineando il fatto che in questi giorni siamo da sole e mi devi proprio aiutare. Quasi a trattenere la mia domanda sei particolarmente disponibile in tutte quelle (tante!) routine del mattino rispetto alle quali purtroppo devi subire i miei ritmi e i miei gesti.

Corri, corri Luna che ce la facciamo ad arrivare in orario anche senza babbo!

Ridi e ridi e questa è la mia carica del mattino e quando ti vedo così serena il respiro si allarga, pieno di sentimenti belli. In effetti sono quasi certa che pochi genitori possono godersi attimi di allegria pura così con una figlia della tua età. Luci e ombre, fatiche e possibilità, gioie e dolori. Così è la vita e stamane mi sta comoda.

Finalmente arriviamo in ascensore ancora alle prese con le maledette zip dei nostri piumini che regolarmente si inceppano nella corsa. Ma nulla sembra turbare il nostro buonumore e così, con il sorriso sulle labbra,  ti vedo salire e accomodarti al tuo posto. Questo è il rituale che conosci bene con tuo padre perché quasi sempre è lui che ti accompagna al mattino mentre io provo a rimettere una parvenza di ordine a ciò che il tuo passaggio ha travolto prima di uscire di casa.

Lo imito in quel comportamento di fare il giro del pulmino per salutarti attraverso il finestrino. Sarà che lo faccio poco, sarà che sono io, sarà questa fredda luce d’inverno, ma gli occhi mi pizzicano un poco.

La tua mano si avvicina alla mia e ci diamo un’ultima carezza attraverso il vetro. Ciao amore, passa una buona giornata, ti dico mentre mi sorridi e capisco che nonostante il finestrino chiuso mi senti. Allora non resisto al nostro gioco.

Ma senti, stamane te l’ho detto già quanto ti voglio bene? 

Ridi, rido e ti guardo andare.

Lasciarsi e ritrovarsi

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lasciarsi e ritrovarsi 1di Irene Auletta

Mi hai accompagnato all’aeroporto e hai voluto per tutto il tempo rimanermi vicino rifiutando con decisione il contatto con Inna, la signora che da molti anni ci e’ vicina.

Mi hai stretto forte la mano ridendo e scrutando ogni particolare di quello strano luogo. Ti ho detto che mi avresti dovuto salutare dopo poco perché dovevo prendere l’aereo e tu, come di tua abitudine, hai mostrato di non ascoltare, facendo “finta di nulla”. La curiosità per quello che ci circonda attira la tua attenzione e ti fa assumere quell’aria attenta ai dettagli e ai particolari che sembra precludere altre possibilità di ascolto.

Inizio a salutarti dicendoti che ci rivedremo il giorno dopo e che verrai a prendermi con il babbo. Tu mi abbracci e poi il tuo sguardo si sposta oltre e interrompi con me qualsiasi tipo di contatto, fisico e visivo.

Non passano molte ore e la scena si ripete, praticamente identica. Solo che stavolta mi aspetti agli arrivi dell’aeroporto, con babbo che ti fa la telecronaca in diretta di tutti i miei movimenti dal momento della partenza, dell’atterraggio e dell’imminente arrivo.

Ti vedo prima che tu possa scorgermi e l’amore mi soffia incontro mentre, con la serietà che ti contraddistingue in alcune situazioni, mi cerchi tra la folla. Appena mi vedi ridi, salti e fai suoni con la voce di saluto e di gioia. Accetti un mio bacio e un breve abbraccio poi, di nuovo, poni tra noi la distanza di sicurezza e ti aggrappi alla mano del tuo babbo.

Quando le emozioni sono così forti bisogna fare una pausa e mettere nel mezzo del tempo che aiuti a ritrovare nuovi equilibri. Negli anni ho imparato a moderare le mie attese e ad aspettarti e forse, ho anche imparato a rispettarti, senza far prevalere il mio desiderio di adulta.

Mentre ero lontana, proprio in occasione dell’impegno che mi ha fatto prendere l’aereo, un padre con una figlia disabile, sapendo di te, mi ha detto che secondo lui il dolore passa quando guardi tua figlia e la smetti di pensare a ciò che avrebbe potuto essere.

Io, sono una madre e può essere che con il dolore stia facendo conti un po’ differenti. So per certo però che i tuoi saluti di questi giorni, non li cambierei con quelli di nessun’altra figlia al mondo.

Esperienze speciali

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DSCN5881di Irene Auletta

Lo ricordo bene quel marzo di parecchi anni fa e la mia prima visita alla scuola speciale. Ci ero già stata nelle vesti di operatore e tornarci in quelle di madre non era stato affatto semplice. Ancora una volta di fronte a quelle domande ormai divenute compagne di viaggio.

Perchè proprio mia figlia? Cosa centra con questo posto e con le persone che lo abitano? Come si sopravvive a questo dolore?

Eppure, neppure per un secondo ho pensato che quella non fosse la scelta giusta per te, per offrirti nuove possibilità per imparare e per diventare grande nel rispetto delle tue possibilità e caratteristiche. Ho lottato aspramente, ingoiando chiodi, con chi ha criticato la nostra scelta, chi ha giudicato senza nessun scrupolo, chi non ha trattenuto commenti idioti.

Non sono stati anni facili, perchè la vita non è facile. Però siamo stati fortunati e abbiamo avuto la possibilità di incontrare le due insegnanti che ci sono rimaste accanto per tutto il viaggio e ti hanno insegnato ciò che noi non avremmo mai potuto fare.

Il senso di tutto il percorso, lo ritrovo commossa, proprio in questi giorni di saluti, in tutte le tracce che testimoniano la tua storia degli ultimi anni raccolte in ricordi, racconti, quaderni, fotografie. Tante emozioni che si affastellano e che mi accompagnano oscillando tra un sorriso costante e un magone che mi stringe la gola.

Ancora oggi le domande amiche sono sempre al mio fianco ma sono diventate un po’ più leggere anche grazie agli incontri, alle nuove condivisioni e al passare del tempo.

Si aprono nuove strade, si intravedono altri possibili incontri e l’orizzonte è sempre lì, con i suoi raggi di luce e le sue ombre. Noi non siamo più gli stessi e neppure tu, nonostante il tuo aspetto fatichi a reclamare gli anni passati, conferendoti sempre un aspetto da bambina. Nel nostro bagaglio abbiamo aggiunto un’esperienza importante che tratteniamo, riconoscenti, negli occhi e nel cuore.

Ora, teniamoci forte per mano e andiamo avanti.

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