Di Igor Salomone

Sequel di AAA educatore cercasi
Dunque ci risiamo. C’è chiaramente un’emergenza ponti nel nostro Paese, ma non si trovano gli ingegneri, non ce n’è a sufficienza, molti tra loro hanno cambiato mestiere, altri hanno preferito restare a casa, altri ancora sono semplicemente scomparsi dai radar.
Cosa si può fare in un simile frangente? Pensa che ti ripensa, a qualcuno viene una geniata: assumere avvocati, medici, sociologi, biologi per coprire i posti vacanti: purché laureato, ognuno può dare il proprio prezioso contributo. E poi, dai, che ci vuole per costruire un ponte?
Naturalmente, una quota minima di ingegneri deve esserci per dare le dritte a tutti gli altri dottori convocati nei cantieri, ma non è chiaro se chi ha avuto la geniata, l’abbia poi tradotta in delibere vincolanti. Tipo: assumete chi cavolo volete ma, se il vostro obiettivo è costruire ponti, l’x per cento deve essere di ingegneri.
Il punto è che in un mondo nel quale tutti pensano che i ponti li può costruire chiunque, se gli ingegneri ancora interessati a farlo non sono in grado di dire ciò che solo loro possono fare e gli altri non sono in grado, alla fine tutti faranno tutto, e speriamo che qualche ponte resti in piedi dopo l’inaugurazione.
Dunque, se non si può fare altro perchè mancano i ponti, almeno proviamo a differenziare: da una parte tutti quelli che non saprebbero costruire neppure una capanna di paglia, ma certamente sono in grado di tenerla pulita, di sanificarla, di arredarla in modo carino, di proteggerla dal fuoco, di inserirla in una rete di capanne. E se non lo sanno fare possono imparare in fretta. Dall’altra quelli che la sanno costruire, rimasti però in pochi per farlo, che si concentrano sulla sua struttura, lasciando agli altri i dettagli e supervisionandone l’operato.
Non sarebbe male come idea. Ma occorrono alcune condizioni:
A) la prima è che gli ingegneri abbiano chiaro quale sia il proprio compito specifico e il bagaglio tecnico che possiedono per assolverlo. Senza questa chiarezza che dipende dalle capacità effettive e non dal titolo di laurea, non si capisce perchè tutti i non-ingegneri non possano fare esattamente ciò che fanno gli ingegneri
B) la seconda è che l’impresa costruttrice si assuma la responsabilità di indicare una gerarchia tecnica all’interno del cantiere che stabilisca la priorità del parere ingegneristico su tutte le questioni ingegneristiche
C) la terza è che il mondo-cliente fondi la sua fiducia nei ponti sulle competenze di chi li costruisce e non sulle chiacchiere da bar o da Facebook per le quali uno vale uno e chiunque può sparare cazzate su qualsivoglia argomento allo stesso titolo di chiunque altro
Educatori, organizzazioni e soggetti decisori, saprebbero rispettare queste condizioni? Mi auguro di sì, ma temo di no.
A) l’educazione, a differenza dei ponti, la fa veramente chiunque e chiunque la faccia intesse relazioni educative, presidia regole, trasmette valori, immagina futuri, fa i conti con i passati. Quindi perchè no sociologi, psicologi e quant’altro si presentino al tavolo delle assunzioni? In fondo è semplice, si tratta di farsi pagare (male) per qualcosa che il mondo fa da sempre gratis. Se poi non mi riconosco in questa professione, ma si tratta di parcheggiarmi per qualche anno prima di dedicarmi a tutt’altro, ci può anche stare. E rispondere con il solito ma io c’ho la laurea è veramente triste oltreché inutile. Occorre dire: io so fare questo e questo e tu non puoi e non sai farlo. Ovviamente per poter sostenere questa affermazione occorre sapere cosa si sa fare di diverso che nessun altro può fare. E qui le note si fanno dolenti.
B) le organizzazioni che erogano servizi educativi, scuola a parte in larghissima percentuale costituita da cooperative sociali, vengono da una storia che non ammette gerarchie interne tra operatori. Ogni educatore davvero vale uno e tutti sono chiamati a fare tutto sin dal primo giorno della loro carriera. Come cogliere quindi l’occasione per identificare degli “educatori esperti” specializzati nel far funzionare parti della struttura educativa se siamo ancora alle prese con le uniche differenze interne ammesse: le attitudini laboratoriali da una parte e la referenza per i singoli utenti dall’altra?
c) non potendo cambiare il mondo, l’unica via è cambiare le narrazioni con le quali ci si presenta al mondo, imparando a dire che tipo di educazione si offre in quel particolare luogo educativo non sovrapponibile all’educazione offerta altrove, superando le trite litanie sul benessere e l’autonomia dei singoli utenti, ripetute da tutti e dunque legittimamente recitabili da tutti. Se racconto la stessa cosa sempre e ovunque, non mi posso lamentare che altri raccontino le stesse cose che racconto io, svilendone il valore.
Ma la vedo dura. Temo il prevalere delle spinte rivendicazioniste da parte degli operatori, dei bisogni di sopravvivenza delle organizzazioni e del clima generale di sfiducia e di sospetto nei confronti di tutto ciò che si presenta come competenza.
Nel frattempo sto elaborando da anni, sia in formazione che scrivendo, il quadro delle competenze educative professionali non riducibili all’educazione diffusa che più o meno son capaci tutti a fare. Troppa materia per questo post, però se qualcuno è interessato ad approfondire o anche ad approcciare cosa penso debba saper fare un educatore, sono a vostra disposizione. Scrivetemi, mandatemi messaggi, fatemi interviste, quello che volete. Purché proviamo ad andare a fondo della questione, quell’andare a fondo che permetterebbe di dire con chiarezza non perchè un sociologo o uno psicologo non dovrebbero esssere assunti per fare gli educatori, ma cosa si può chiedere loro e cosa invece deve rimanere in capo all’educatore professionale.