Gioie brillanti

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di Irene Auletta

Mia madre rimane una delle poche persone che anni fa, molto onestamente, mi disse che aveva bisogno di allontanarsi per un po’ perché stare vicino a me e alla mia famiglia era per lei, in quel particolare momento, tanto difficile. Gli altri, semplicemente, se ne sono andati.

In realtà lei e mio padre sono state in assoluto le persone che in tutti questi anni mi sono rimaste più vicine, comprensive e amorevoli, accettando di accogliere tutte le ombre che mi hanno accompagnata, soprattutto nei primi anni della mia storia di madre.

Per anni ho vissuto relazioni frammentate con chi ha accolto solo le parti di me più prendibili e tollerabili. L’amica, la collega, la nipote, la sorella. La madre che sono, è rimasta quasi sempre sullo sfondo e oggi, dopo anni di immensa solitudine, devo ammettere che sono io a sceglierlo e a fare, con molta serenità, le mie accurate selezioni.

Mia madre però mi ha aiutato a tenermi intera e per molti anni e’ stata una fonte unica di accoglienza e comprensione. Mi aveva nella mente e nel cuore e io l’ho sempre sentito con forza e grande calore. 

Così sono diventata una madre grande e da qualche anno, come figlia, e’ iniziato un processo importante di cambiamento, mentre mia madre pian piano si allontana verso il suo tramonto. Appena si aprono pertugi di lucidità e la ritrovo cerchiamo di gustarci l’attimo e di riderne insieme, come accaduto qualche giorno fa quando, parlando della mia età mi ha chiesto, ma tu mica hai davvero più di quarant’anni? Beh mamma, ti rispondo, ne ho anche già compiuti sessanta! Nooooo non è possibile, dici seria. Poi subito dopo con un sorriso aggiungi, allora ci siamo fatte vecchie anzi io molto di più di te, vecchierella!

Stiamo viaggiando, io e te da sole, verso quel luogo dove rimarrai probabilmente fino alla fine del tuo tempo, per tua scelta convinta. Sono proprio contenta che mi avete ascoltata, perché non voglio più vivere a casa.

Ti saluto mentre sembri già essere altrove, in un altro tempo, con la consapevolezza che nella storia del mio presente, ormai da qualche anno, tocca a me tenermi intera. 

Mi hai lasciato un dono prezioso e in quel mio essere quercia, come qualcuno mi ha definita, sento tutta la forza delle radici che mi hai aiutato a rendere forti e profonde.

Sono stata una figlia fortunata e oggi, a pieno cuore, trattengo tutta la tua eredità con quella gioia che solo la malinconia sa rendere così brillante.

Riflessi del cuore

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di Irene Auletta

I gesti di cura raccontano storie e le mie, negli ultimi tempi, si intrecciano di continuo tra quelle che mi riguardano come madre e quelle di figlia. 

Ciao amore, così mi accoglie mia madre che è sempre stata dolce e accogliente nei gesti e nelle relazioni ma asciutta nelle parole, così come la sua educazione le ha insegnato e così come oggi sono un po’ anch’io, grazie alla sua eredità.

Oggi la dolcezza, nelle onde di una memoria sempre più sfumata, emerge con una nuova forza anche nelle parole e la tenerezza mi raggiunge risvegliando nuovi sorrisi e nuovi dolori quotidiani.

La perdita dei genitori anziani a volte avviene così, lentamente, e ogni volta mi pare un nuovo invito a rinventare incontri possibili.

Ti scelgo gli indumenti da indossare e ti coinvolgo sugli abbinamenti e sulla scelta dei monili. Ma quella collana a tre giri ce l’ho ancora, che dici è troppo? Eh mi sono fatta proprio vecchia, sono confusa amore.

Crack … il cuore e le sue crepe tengono forte e ti seguo cercando di essere gentile e rispettosa così come ho imparato e continuo a imparare ogni giorno come madre. Il gesto di cura non dovrebbe mai perdersi nell’automatismo dell’aiuto e da anni metto a tema questi contenuti con genitori ed educatori, trovando ogni volta nuovi spunti anche per me, perchè so bene che quello di cui parlo è assai difficile nelle cure ricorsive, quelle di cui da anni parla Andrea Canevaro.

Quante volte, nella mia veste professionale, ho esibito l’intreccio esistente nella cura di bambini piccoli, disabili e anziani? Oggi mi ritrovo a incarnarlo e il ruolo che rivesto nelle differenti relazioni, di madre o di figlia, mi chiede di riconoscere posizioni differenti che si incontrano in un unico cuore.

Ma un rossetto ti sei ricordata di portarmelo? Si mamma ho scelto questo per te, rosa perlato, il tuo preferito. Ma secondo te alla mia età posso ancora mettermelo?

Sempre mamma, sempre. Ridi, rido e ridiamo insieme passandoci il rossetto che ci mettiamo davanti allo stesso specchio riflesse in un momento unico, che esiste  solo ora.

Non servono parole. Eccolo lo spazio dove continueremo a incontrarci ogni volta che sarà possibile … fino alla fine dei giorni.

La madre che vorrei

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di Nadia Ferrari

É la prima vacanza senza di te mamma, quanto l’ho sognata, desiderata, aspettata. Ricordo ancora con angoscia le fatiche ormai insostenibili degli ultimi tempi che mi hanno fatto rinunciare ad andare al mare ed ora che (finalmente!) sono in vacanza senza di te, quanto mi manchi! 

Torno da te una volta alla settimana per soli 15 minuti e in quei 15  minuti di agognata presenza arrediamo il nostro tempo di infinite dimensioni belle, tutte assurde. Domande stupide senza senso, risposte un po’ astruse a cavallo di molteplici tempi e diverse realtà. Ma siamo unite nel nostro comune destino di madre e figlia come non lo siamo mai state. 

Mentre raggiungo la RSA mi attraversa un’emozione così fisica per la voglia di vederti che mi irrigidisce un po’ il passo. Resto seduta al mio posto in trepida attesa e quando ti vedo sbucare dal centro sulla sedia a rotelle e sento che borbotti con chi ti accompagna perché tu non vuoi che si faccia qualcosa a tua insaputa, una gioia immensa mi pervade anima e corpo.  Mi vedi, ti rassereni, mi saluti, e comprendi finalmente perché sei lì. Mi chiami per nome. Che sollievo ti sono ancora presente! 

Mamma ciao! Come sei bella! Fai una smorfia e un gesto con le mani come a significare “non dire cazzate”. Non ti sono mai piaciute le smancerie. Allora mamma come stai? 

Eh Nadia sono qui … che cosa devo dire. Perché non vieni più a trovarmi? Te lo spiego ancora una volta cercando le parole più resistenti ma so che mentre te lo spiego l’hai già nuovamente dimenticato.  

Mamma hai mangiato? Mi raccomando mamma mangia sei un po’ dimagrita … Si Nadia mangio quando me lo danno eh!… ma solo quello che mi sento posso mica star male per fare un piacere a te! 

Ecco il tuo piglio di sempre. Di chi decide per sé senza mai farsi sottomettere… tu non ti sei mai fatta comandare da nessuno! Certo mamma mangia quello che ti senti. 

Poi mi chiedi di tuo nipote,  di tuo genero (se ti ricordi) e subito dopo di Fabio Bottero del tuo Massimotto ed infine non possono mancare i tuoi compagni della IVISC (la vetreria in cui hai lavorato come ultimo posto) Ecco la tua passione mamma: la politica. Anzi, meglio, il lavoro.

Si mamma tutti ti salutano il Paolo, l’Ermanno e il Bacchetta. Il tuo viso si illumina e il ricordo dei tuoi giovani compagni porta via il velo ombroso regalandomi uno dei tuoi più bei sorrisi. Il pensiero che “loro” (il tuo mondo, i tuoi ragazzi) non ti abbiano scordato ti fa felice. E allora racconti sempre entusiasta del piacere di lavorare. Se non sapessi il tuo passato da operaia in posti e turni faticosi penserei a lavori leggeri. Ma il lavoro ha rappresentato la tua realizzazione e libertà. 

Lo so mamma ci ho messo un po’ ma ora l’ho capito tu sei una donna libera. Lo sei sempre stata ed é forse questo che ti ha permesso di non sentirti mai seconda a nessuno, nemmeno a me. Per anni ho sofferto, giudicando questa tua interpretazione della libertà come una brutta forma di egoismo e forse é stato anche così, ma ora ti vedo determinata affrontare quel che ti tocca a testa alta, senza nessuna lamentela, facendoti rispettare, e mi piaci. Mi piaci proprio così come sei mamma. Finalmente senza alcuna vergogna! 

Mi sono massacrata nel cercare di comprendere quale madre e quale donna fossi cercando di trovare un nesso tra le due cose ma la logica, talvolta, non basta. La realtà è troppo complessa per essere rinchiusa all’interno di un sistema logico: nella vita, i conti non tornano quasi mai. La verità è al tempo stesso una e molteplice e quando si cercano le parole giuste per comunicare quello che si prova, che si é,  il pensiero balbetta e perde il filo. Gli opposti non si escludono l’un l’altro anche quando sono le proprietà di uno stesso oggetto. 

Per anni mi sono avventurata nell’oscuro mondo del passato, alla ricerca di quel momento particolare, di quel punto in cui tutto sarebbe cominciato ed ora mi rendo conto che sono sempre stata al cospetto di un mistero, a qualcosa che non scoprirò mai. Ecco mamma dopo tanto cercare é forse questa l’eredità che da te posso raccogliere?

Nella vita ci sono tante cose che non dipendono da noi e per le quali non ci sono risposte. Più conosciamo, più soffriamo perché la conoscenza ci obbliga ad accettare il limite che qualcosa ci sfuggirà per sempre.

Ma stavolta, questo, l’ho afferrato forte.

Al tepore del tramonto

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di Irene Auletta

La gentilezza è tutto nella vita, mi dice mia madre in un momento di grande difficoltà. So bene di essere fortunata ad avere ancora al mio fianco entrambi i miei genitori, ma ogni volta che accade qualcosa che mi fa intravedere la loro possibile perdita, il cuore perde un colpo.

La frase di mia madre mi accompagna in un rituale di cura che mi vede maestra quando mi trovo di fronte il corpo, seppur adulto, di mia figlia ma aiutare la propria madre, è un’esperienza assai diversa. Da te figlia mia però ho imparato il rispetto dei tempi, il tatto gentile, la domanda che anticipa il gesto e oggi la nonna ne ha potuto un po’ beneficiare. 

Tua figlia è fortunata ad averti come madre. Quante volte me l’hai detto in questi anni e con il passare del tempo questa frase mi arriva sempre più come preludio dei prossimi saluti. Aspetta ancora un po’ mamma, ce la fai? 

Oggi vi ho visto entrambi tanto invecchiati, ognuno con l’esasperazione delle sue caratteristiche uniche. Tu mamma con la tua attenzione sempre alta e con la preoccupazione sempre presente appena possibile. Come va la nostra signorina? Come mi dispiace che oggi hai dovuto lasciarla per venire qui da noi. E invece tu papà, sempre con il tono che di fronte al disagio diventa aspro. Tu mi hai insegnato che la paura si traveste sovente da rabbia e che il dolore si nasconde facilmente nelle pieghe di quel ringhiare che ho potuto sperimentare in diverse circostanze della mia vita.

Da donna adulta continuo ancora ad imparare da voi anche nella vostra ultima stagione perchè intravedo sempre con più chiarezza quegli abiti educativi di cui mi sono liberata, quelli che pian pian sto tentando di lasciar andare e quelli che invece rimangono stretti stretti vicino al mio cuore e alla mia persona. 

Con la vostra preziosa eredità continuo a imparare, ogni giorno, il valore del silenzio e l’attenzione a quei gesti amorevoli che, accompagnando la vita, continuano a raccontarne la storia affinché, nella memoria del corpo di chi li riceve e chi li dona, ne rimangano tracce indelebili. 

Atro, come genitore, non potrò lasciare.

Riflessi di figlia

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di Irene Auletta

Ci sono appuntamenti importanti che danno alla giornata un colore tutto speciale. Esco alle prime luci del giorno perché il pullman che vi porta alla vostra casa milanese arriva molto presto e, visto il clima di stagione, vorrei evitare di farvi aspettare.

Appena arrivo riconosco subito mio padre, rigorosamente in piedi a scrutarsi intorno con quella sua aria seria e anche un po’ severa che ogni tanto mi sorprende guardandomi allo specchio. E’ sempre bello ritrovare i miei genitori e anche se ogni volta mi sembrano più anziani, stamane sono grata alla vita per il sorriso che entrambi mi rivolgono appena riconoscono la mia auto e me che li saluto.

Invecchiare, che orrore, diceva mio padre, ma è l’unico modo che ho trovato per non morire giovane. Così Daniel Pennac mi suggerisce un pensiero lieve tra malinconica nostalgia e un senso di nuova serenità nei miei panni di figlia.

I saluti e le rituali domande, le preoccupazioni per il mio viso stanco e mia madre che ringrazia Dio per l’equilibrio della tua salute mi fanno sentire a casa, con un sentimento unico e insostituibile. Come genitore non avrò questa possibilità e ogni volta che immagino il mio invecchiare scappo subito a pensare altro. Per questo ora mi godo ogni momento con un senso di quiete consapevole e quel calore di cura che va oltre ogni età e che non può perdersi neppure un attimo.

E’ bello attraversare tanta vita insieme, ritrovarsi nelle espressioni e nelle rughe, negli occhi amari e in quel sorriso che sembra capace di dare luce a qualsiasi buio della vita. Mi scalda come nient’altro quel bisogno di rassicurarsi a vicenda. Si il viaggio è stato faticoso, ma neppure troppo. Ma no state tranquilli sembro stanca perché in questi giorni ho lavorato tanto, ma va tutto bene. Che poi, anche tu ti stai facendo grande anche se vicino a noi sei ancora una ragazzina! 

Forse la fortuna di vedere invecchiare i propri genitori sta proprio nel darsi il tempo per togliere le ragnatele dei rancori possibili, per condividere i rimpianti con un sorriso, per ritrovarsi nei loro riflessi con una punta di orgoglio e per raccontarsi di quell’amore che abita la profondità del cuore spesso senza la capacità di dirsi.

Stavolta lo posso dire senza alcuna esitazione. Per fortuna è capitato a me.

Riflessi perlati

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di Irene Auletta

Stare qualche giorno in vacanza con i propri genitori, ormai anziani, è un’esperienza impagabile non solo per quegli scambi d’affetto che segnano la storia ma per quello che sovente mi accorgo di imparare. L’effetto specchio svela di continuo luci e ombre e così, mentre mi rivedo in atteggiamenti e comportamenti che mio malgrado mi contraddistinguono pur non piacendomi, si rinnova ogni volta quel profondo senso di gratitudine per ciò che sono anche grazie a voi e a ciò che mi avete permesso di essere come vostra figlia.

Il continuo riflesso di similitudini mi pare sempre una bella occasione per fare pace con quello che siete stati in grado di essere e con quanto, dalla mia peculiare prospettiva, posso continuare a modellare di alcune mie familiari asperità lasciandoci tutti liberi di vivere una storia che vede protagonisti solo adulti, responsabili di se stessi e delle proprie azioni. Ho sempre guardato con un po’ di sospetto a quelle interpretazioni che imprigionano taluni comportamenti individuali alla propria storia educativa come se non fosse possibile immaginarsi in un perenne percorso di crescita e cambiamento. O forse, semplicemente, mi piace di più pensarmi libera di continuare a imparare sempre e ancora di più.

Ho fatto tutto di corsa e ho dimenticato di prendermi degli orecchini, mi dice mia madre nascondendo la realtà di recenti momenti attraversati da un perenne stato di confusione. È così in questi giorni mi sono ritagliata del tempo per accompagnarla a fare alcune compere e ora mi ritrovo a darle suggerimenti mentre si sta preparando per andare con mio padre a far visita ad alcuni parenti. Guarda mamma te ne ho portati alcuni dei miei di orecchini, scegli quelli che ti piacciono.

Durante la prova di quelli individuati al primo colpo le propongo anche un rossetto. È tanto che non lo metti più e questo è perlato come i tuoi preferiti. Chiacchieriamo e mi rammenti di quante volte in miei momenti bui mi hai spronato a non smettere mai di curare il mio aspetto esteriore in una forma di sfida alla sorte dispettosa che insieme alla gioia inattesa di una figlia mi aveva portato tanto dolore.

Al termine della preparazione ti faccio notare che oggi con piccole attenzioni sei ringiovanita di dieci anni proprio mentre, quasi anticipando i miei pensieri, commenti che l’età conta meno di quello che ci si sente nel cuore. Il tono neutro mi lascia con un dubbio aperto sul tuo significato e salutandoti in lontananza ti chiamo. Mamma, non dimenticare di stare dritta, basta con questa gobba!!

Ti volti, mi sorridi con quel colore rosa perlato sulle labbra che fa risaltare la tua invidiabile abbronzatura e in un attimo ti riconosco trovando ancora una volta conferma del perché mi piace assomigliarti così tanto.

Vacare. Essere vuoto, libero

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di Nadia Ferrari

Siamo di nuovo al mare un altro anno é passato. Diversamente dai precedenti questo mi trova meno motivata ad inaugurare l’inizio delle vacanze direi scomparse se s’intende con il termine l’assenza di fatiche e, peggio ancora, non riesco a non preoccuparmi per quelle che verranno, perché verranno con certezza. Altre fatiche intendo.

Che brutta cosa la preoccupazione. Tutto ciò che inizia col prefisso pre ha l’odore dell’annuncio. In effetti non sai se poi si avvererà ma intanto aspetti ed io, aspetto preoccupata. Quest’anno però davvero non ci sarebbero ragioni sappiamo come andrà. E mi sto già assaporando i ritagli di libertà e leggerezza che l’anno scorso sono riuscita a scovare.

Che pasticcio! Le cose della vita non smettono di regalare stupore costringendo a mettere in discussione la visione che mi ero appena concessa di accettare. Quest’anno non ce la fai più a stare in spiaggia per quelle due orette che mi regalerebbero qualche raggio di sole. Fa troppo caldo. Al bar fa troppo freddo. Del resto non è più nemmeno così sicuro lasciarti in casa sola … sulla spiaggia non riesci a muovere nemmeno quei pochi passi dell’anno scorso e gli equilibri di nuovo instabili frantumano la fantasia del miserrimo relax immaginato. Nella nuova dimora per le vacanze, affittata apposta per rispondere meglio alle esigenze di sopravvivenza di tutti noi, ti aggiri spaesata chiedendomi ogni volta conferma sulle azioni anche quelle più banali e mettendo a dura prova la mia pazienza.

Sorprendentemente le tue titubanze mi colpiscono il cuore ed invece di arrabbiarmi ti guardo: i tuoi occhi spalancati ti regalano uno sguardo troppo attento a non sbagliare tradiscono in modo indiscutibile la tua difficoltà ad adattarti al nuovo o forse sarebbe meglio dire ad affrontare dimensioni di vita che appartengono ad altre fasi … ed ogni azione diviene un’impresa.

Che tenerezza. Mamma puoi appoggiarlo li il bicchiere, non ti preoccupare metto via io i tuoi vestiti. Hai fatto così? Hai fatto bene. Che tenerezza vederti indecisa in ogni azione e movimento. Smarrire in ogni dove l’orientamento. Il cuore si strizza ogni qualvolta ti guardo impegnata lenta portare a termine una qualsivoglia attività con la paura di dimenticare, di non fare giusto, di fare una brutta figura, di essere ripresa, di dare fastidio.

Si, ora forse sono in vacanza! In vacanza dalla rabbia che ho sempre sentito. Al posto suo arriva la tristezza, meglio, molto meglio mamma.

Compare la voglia di aiutarti al solo scopo di non aggiungere fatica a quella che già fai, disgiunta dal dovere di farlo. Sento crescere dentro un autentico sentimento di cura in cui la mia preoccupazione è per come vivi tu queste dipendenze al posto di quali problemi creano a me. Un sentimento normale forse per altri estraneo al nostro universo: vuoi dire mamma che finalmente quella bambina tradita se n’è andata?

Ti guardo mentre di profilo ricurva su te stessa disegni col corpo una gobba per ore stai seduta con lo sguardo dritto davanti a te, pensi. A cosa stai pensando? Io so mamma io e te custodiamo un segreto origine e causa di molto male, è stato dura. Starai pensando a questo? Anch’io mamma ci penso sempre perché proprio quello ci ha costretto ad un amore molesto. Ora, al di là di ciò che è stato non so cosa darei per darti qualche pensiero buono. O forse non ce n’è bisogno tu dimentichi in fretta basta smetterla di punirti. La leggerezza che tanto cerco eccola qua.

Mentre le lacrime sciolgono in acqua panni sporchi e bambini mi siedo accanto a te accarezzandoti una coscia e mi sussurro ora ci sono io mamma, tua figlia.

S-GRIDA-RE

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post Nadia 2di Nadia Ferrari

Ho sgridato mia madre si. L’ho fatto “forte” proprio come si fa con i bambini indisciplinati quando si é raggiunto il limite della sopportazione e dopo aver tollerato diverse torture. Uno s-grido! che potesse mettere fine. L’ho fatto prima crocifiggendola con i fatti, poi combattendo contro le sue bugie, le sue fughe, le sue sleali giustificazioni e resistenze ed infine, ammonendo e minacciando una più severa punizione (fantasmatica e impraticabile) se le cose non fossero immediatamente migliorate.

L’ho fatto senza alcuna delicatezza spinta dalla furia, sono stata informata dei suoi litigi e atteggiamenti sociali scorretti verso altre persone anziane e senza sentire ragioni sono scoppiata. Ancora? Ancora problemi? L’ho fatto in realtà non proprio così facilmente, prima dell’esplosione ho attraversato la sorpresa (mia madre ha sempre avuto il dono di sorprendermi, più verosimilmente di allibirmi) poi l’incredulità ed infine la vergogna.

Ecco la vergogna. Una vergogna complessiva a più dimensioni verso di te mamma per come sei fatta o per la mia impossibilità di identificarmi in una anche minuscola parte del tuo carattere; e verso la ricaduta delle tue azioni sugli altri. Quando invecchiano non li si riconosce più, non si sa come trattarli e ci si attacca alla infinita serie di luoghi comuni che soli abitano le nostre interpretazioni: “tornano bambini, fanno i capricci, diventano egoisti, bisogna sgridarli”. Diventano… ritornano… restano… Come se la cosa non ci riguardasse. Sarebbe più corretto usare i verbi in prima persona: diventiamo… ritorniamo … scatterebbe forse anche in me un minimo di empatia.

La verità è che noi mamma non ci riconosciamo e non siamo riconoscenti. Le argomentazioni che mia madre dà dei suoi comportamenti sono desuete, démodé, sono scadute. Non è nemmeno escluso che una volta andavano bene: forse nel suo tempo, nel suo contesto, nel suo mondo si poteva litigare ed offendersi con più leggerezza.

Mia madre ha 84 anni l’ho sgridata “forte” per delle azioni alle quali io non ero presente. Ho infilato una dietro l’altra azioni pedagogiche di sicuro insuccesso lo so. Ad una certa età ti tocca educare tua madre? tocca a me farlo? E’ legittimo accompagnarla così nella fase finale della vita? Domande aperte nella loro chiusura: intesa come combinazione che permetterebbe di vincere la partita.

La vergogna dà un dolore profondo e mina l’identità, dopo averla sgridata “forte” ora, distolgo lo sguardo quando incrocio i suoi occhi desolati e lo abbasso quando entrando al Centro incrocio quello del personale che la accudisce in mia assenza. Si può spiegare la vergogna come eccesso di difesa?

Sono stata sulla difensiva mamma non ti ho compreso e non ti ho difeso… Non l’ho fatto non solo perché tu sei indifendibile ma perché io ho smarrito il valore di ciò che stavo difendendo. Avrei forse dovuto uscire allo scoperto, osare, riconoscere che la vita è comunque è sempre una sfida e provare ad investire energia ancora su di noi ma riuscirò mai a chiudere le crepe con dell’oro rendendole preziose?

Forse sono ancora in tempo.

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