Le magie del vento

Lascia un commento

capelli_al_vento_ridotta777di Irene Auletta

Ti lascio in quel modo che mi fa male e ti guardo mentre con quei comportamenti infantili, per me problematici da gestire, esprimi da giorni qualcosa di incomprensibile.

Mentre il nodo in gola quasi mi impedisce di deglutire mi arrovello a pensare come posso aiutarti a superare questo momento. In realtà la testa mi dice chiaramente, come in tante altre occasioni, che la cosa migliore è darsi tempo. Passerà anche questa. La mia pancia però non ne vuole sapere e lo stesso vale anche per le mie gambe poco interessate alla logica e smaniose di tornare indietro di corsa a riprenderti, per tenerti a casa con me.

Lo so bene. Non sarebbe la cosa giusta da fare e lo dico prima ancora di sentire affastellate nella mia testa le mille prescrizioni facilmente immaginabili in questi casi e di cui io stessa sono portatrice. Condannate ad un continuo minuetto tra testa, pancia e cuore, ci spingiamo ad affrontare la vita. Penso a madri come me.

Penso a Daniela preoccupata per la caduta di Annamaria. Chissà come sta oggi quella giovane donna conosciuta poco fa e che in un attimo mi ha fatto intravedere come potresti essere tu fra una decina d’anni. Penso a Paola, costretta a tenere a casa una figlia adulta perché il suo comune non ha più fondi per il centro disabili che frequentava. Il cuore batte per Annamaria, l’amica che osserva, non senza preoccupazione, la sua Alessia e le trasformazioni legate all’assunzione di un necessario farmaco. Il pensiero vola ancora più a sud a Fiorella che mi piace un sacco per la grinta e per come parla della sua Esteruzza.

Madri, e chissà quante ce ne sono, che ogni giorno incontrano le fatiche e le preoccupazioni intrecciate alle storie delle loro figlie. Madri che resistono alla ricerca di soluzioni possibili riuscendo spesso a condividerle con un sorriso lieve.

Pensandoti mi accorgo che la tristezza stamane mi pesa sulle spalle come tonnellate mentre entro in un negozio e incrocio lo sguardo di un anziana signora. Chissà cosa avrà intravisto nei miei occhi che la spinge a quel sorriso dolce?

Vorrei essere come un vento leggero. Fra poco te lo porterò in dono e già ti immagino con quella tua espressione buffa mentre i capelli svolazzano insieme alla tua risata.

Anche oggi, ci salverà la magia.

Ma quanto pesano?

Lascia un commento

ma quanto pesano?di Irene Auletta

Ci sono tante espressioni e modi di dire carichi di significato che finiscono con il creare magici legami tra emozioni, sentimenti e il peso degli organi o di alcune parti del corpo.

Dopo tanto tempo sento di nuovo il cuore leggero come se mi ci avessero tolto un peso pazzesco da sopra. Così esordisce una conoscente che incontro dopo parecchio tempo, mentre mi racconta degli ultimi mesi vissuti con il fiato sospeso in attesa dell’esito di alcuni esami clinici. Chi di noi non ha vissuto sensazioni simili insieme alla conseguente impressione che il respiro sia aumentato di volume andandosene ora a spasso per il corpo a correre e a saltellare gioioso?

Allo stesso modo la sensazione contraria di cuore pesante sembra far arrancare tutto il resto del corpo schiacciato da un fardello posizionato all’altezza dello stomaco o sulle spalle. Allargate il respiro e provate ad aprire le spalle, ce lo ricorda spesso Angela, la nostra insegnante Feldenkrais. Ognuno ha i suoi pesi esistenziali da portarsi appresso ma forse possiamo imparare a farlo senza accasciarci ai piedi della vita.

Quest’estate ho incrociato due anziane signore evidentemente entrambe compromesse nella loro colonna vertebrale. Della prima mi ha colpito l’incedere che la mostrava camminare quasi piegata in due, in apparenza sempre triste, appoggiata al braccio di qualche accompagnatore. Ogni tanto ci si sente proprio così, piegati e incassati dal peso del dolore.

L’altra signora invece, seppur segnata da un problema fisico serio, ha attirato la mia attenzione per la luminosità e i colori vivaci dei suoi prendisole, oltre che per la disinvolta esibizione della sua sigaretta mattutina.

Modi e modi di affrontare gli eventi imprevedibili della vita. E’ così che mi sento ora mentre sorrido di fronte a queste tue fotografie estive, che ti ritraggono nuotare allegra e felice, circondata dai riflessi dorati delle onde.

Ambivalente, sempre. A tratti leggera e al tempo stesso con il cuore pesante del giorno dopo accompagnato dalla febbre puntuale che ha bussato alla nostra porta quasi a ricordarci che ogni allegria, per qualcuno, ha sempre un costo.

Ah ….. Bilancia pazzerella!

Lasciar andare

Lascia un commento

lasciar andaredi Irene Auletta

I due protagonisti della scena appaiono particolarmente vicini e nitidi per effetto della visione in 3D. Momento clou del film Gravity dove i due sono costretti a separarsi affinchè almeno uno di loro possa sopravvivere. E’ lui che prende la decisione di sganciarsi dalla  compagna di viaggio dicendole con dolcezza che non dipende da lei, mentre la sente ripetere ostinatamente non ti lascio, non ti lascio.

Delicata faccenda quella del lasciare andare e ripensandoci mi accorgo che questo è stato un po’ il tema della settimana.

Durante la lezione Feldenkrais del martedì la nostra insegnante avvia l’incontro, come spesso accade, invitandoci ad ascoltare il nostro essere distesi a terra sulla schiena. Ci anticipa che durante la serata scopriremo quanti muscoli proseguono in uno sforzo involontario togliendo energia e non permettendo al corpo un completo riposo. Ogni volta mi sembra di intraprendere un’avventura di conoscenza del corpo e so bene che tra l’inizio della lezione e la sua conclusione avrò percezioni e sensazioni molto differenti.

Quasi a sentire i pensieri nelle teste di ciascuno Angela, l’insegnante, chiarisce subito che non si tratta di agire uno sforzo di volontà, che al contrario contribuirebbe a moltiplicare la tensione, ma di scoprire e ricercare altri modi per attraversare alcuni movimenti, producendo nuovi apprendimenti.

In fondo i movimenti del corpo e quelli della psiche o dell’anima li sappiamo procedere a braccetto e così, mentre mi accingo a ripensare alla seduta, non posso fare a meno di pensare che la faccenda mi tocca anche come madre.

Difficile lasciarti andare in un luogo poco familiare, dove ancora non ti conoscono e non ti capiscono. Difficile non sostituirsi alle affermazioni stonate che ti dipingono con molta superficialità. Difficile rispettare l’orario e non farsi travolgere dall’impulso di mollare tutto e correre a prenderti.

Quando i muscoli rimangono contratti la colonna fatica ad estendersi naturalmente in tutta la sua lunghezza e il corpo, contraendosi, si accorcia chiudendosi su sè stesso.

Quando la voce di Angela mi raggiunge facendosi spazio tra i pensieri, rallento, respiro più profondamente e quasi mi pare di percepire quella sottile tensione che fatica a lasciar andare alcuni muscoli al loro completo riposo.

Provo ad andare oltre la volontà e mi concentro sull’ascolto. D’improvviso prende spazio il battito del cuore e mi travolge una forte emozione.

Ecco, ora la colonna distesa a terra può finalmente riposare un po’.

Il posto del cuore

Lascia un commento

il posto del cuoredi Irene Auletta

Mi piace quando la sera faccio qualche incontro di lavoro un po’ lontano da casa perchè il viaggio di andata e ritorno diventa un momento per pensare a quel momento liberandosi di tutte le urgente, le contingenze e le interferenze accumulate nella giornata.

Ieri sera ero a Lecco a fare una lezione rivolta a volontari che prestano il loro servizio in ospedale. Era il secondo incontro e già nel primo avevo avvertito una partecipazione e un coinvolgimento piacevole e un po’ sorprendenti.

Le riflessioni del mio intervento ruotavano intorno alla relazione di aiuto e ieri sera, in particolare, abbiamo affrontato il delicato tema dell’armonia tra l’empatia e il coinvolgimento emotivo.

E’ facile pensare, tra i tanti stereotipi, che essere professionisti vuol dire essere un po’ freddi e distaccati mentre il volontariato chiama ai primi posti la volontà, la disponibilità e gesti dettati dal cuore. E’ stato importante trattare questo argomento che mi è particolarmente caro, in un luogo che incontra la cura, la malattia e la sofferenza.

Sono arrivata pensando che avremmo parlato di morte e invece lei ci ha parlato per due sere di vita, una bella sorpresa!

Le relazioni di aiuto chiamano tutti noi, professionisti o volontari, a misurarci con le nostre fragilità e con le nostre paure, perchè l’altro bisognoso riflette parti di noi presenti o future.

Quando sono vicina ad un’anziana che magari ha un po’ perso la testa, mi invito ad essere attenta e delicata e penso che fra qualche anno al suo posto potrei esserci io.

Il rapporto con il limite del nostro tempo su questa terra, quella che i filosofi hanno chiamato finitudine, non è tema facile da trattare e oggi attraversiamo un momento storico che guarda, vive e vede solo il presente a negazione del valore del passato e dell’importanza di non perdere di vista l’orizzonte del futuro.

Uno dei partecipanti ha ricordato un insegnamento per lui importante e una domanda che porta sempre con sè, a memoria di un suo maestro. Quando saluti il paziente e torni a casa sei in grado di dire e ricordare il colore dei suoi occhi?

Lo sguardo, inteso come quella capacità di incontro di mondi e l’ascolto, come sospensione delle nostre parole e accoglienza di quelle altrui, chiamano a contatti profondi. Averne paura è sano, parlarne diventa una possibilità per crescere ed imparare qualcosa su di sè e su quell’incontro.

Mi viene da raccontare un’aneddoto che mi ha coinvolto con la mia maestra Feldenkrais a riguardo della posizione delle spalle e della direzione dello sguardo. Quando le spalle sono appesantite si chiudono e lo sguardo è rivolto solo a terra. Quella postura spesso parla di una preoccupazione o di una fatica che la persona porta con sè. Aprire le spalle, aiuta a respirare profondamente e a orientare lo sguardo davanti a noi. La preoccupazione o la fatica rimangono, ma può cambiare il nostro modo di affrontarle.

Racconto che penso spesso a questo insegnamento e che ho imparato che guardando davanti possiamo aprirci alla possibilità e alla speranza, lo sguardo a terra invece, raccoglie solo l’asfalto. Forse abbiamo tutti bisogno di ritrovare forza, fiducia e speranza e stasera le ho trovate proprio lì, in un ospedale, dove ogni giorno passeggiano a braccetto dolori e preoccupazioni.

Mio cuore

2 commenti

di Irene Auletta

Era l’avvio di una famosa canzone degli anni ’60 ed è il modo affettuoso con cui spesso ci si rivolge ai propri amori. Noi del sud, che dobbiamo sempre aggiungerci il nostro tocco, lo pronunciamo al contrario … core mio!

La bellezza dei linguaggi dell’amore non ha limiti e purtroppo anche questi rischiano di essere impoveriti dalla globalizzazione verbale che rischia di far smarrire il valore dei significati profondi. Mi irrita quando sento adulti estranei che si rivolgono ai miei cari con nomignoli affettuosi a mio parere fuori luogo tipo cara, amore, tesoro, ma troppo spesso, questa mia reazione viene confusa con un possibile lato snob del carattere piuttosto che con il bisogno di difendere e proteggere il valore dell’intimità dei legami.

Oggi pensavo a mia madre che da quando chiama amore mia figlia, ogni tanto lo fa anche con me, cosa mai accaduta fino a non molti anni fa. Eppure non ho avuto mai dubbi sul nostro legame e sull’affetto profondo che ci legava e tuttora ci unisce. Le espressioni di amore possono essere molto differenti nelle diverse relazioni. Ricordo mia nonna che in dialetto usava una frase bellissima che tradotta suonerebbe come  sei la luce dei miei occhi ma, in dialetto e detta da lei aveva tutto un altro gusto.

Sarebbe bello riprendersi il valore di questi linguaggi e provare, ognuno nelle sue storie a inventarne di nuovi, come certamente accade a molti. Credo che ci aiuterebbe a non perdere di vista due questioni molto attuali. Da una parte il recupero del senso dell’intimità, oltre la vetrina quotidiana che tutti attraversiamo e dall’altra le differenze di affetti e di relazioni.

Mi sa che mi è venuta anche qualche bella idea da proporre ai genitori che incontro nel mio lavoro. L’educazione, i legami, l’amore e i suoi linguaggi, mi sembrano un bell’intreccio.

A voi i fili mentre io, grazie a nonna, vado ad aggiungere un nuovo colore alla mia tela.

Il cuore in una pentola

1 commento

di Luigina Marone

Qualche giorno fa un’educatrice mi chiama al telefono e mi dice: “Luigina riesci a passare dal nido oggi a mangiare? Sei stata invitata dalla mamma di..marocchina che oggi porta a pranzo qualcosa per noi.”

La mattinata è volata per una serie di incontri che si sono succeduti e alle 13.30 in bicicletta mi sono recata al nido. E pedalando penso a questo appuntamento che porta qualcosa di diverso alla mia giornata e immaginavo qualche dolce e il tè, preparato per noi da questa mamma in segno di ringraziamento.

Si, alcuni genitori alla fine dell’esperienza al nido, compiono gesti d’affetto con una lettera, un dono da lasciare al nido per i bambini che arriveranno, come se ritengono importante un saluto nel lasciarsi e dire grazie!

Entrata al nido una mano lungo il corridoio mi sollecita a raggiungerle dicendomi: “Luigina tu non immagini cosa c’è qui”…. e quando entro nella sala da pranzo tanti brividi scorrono lungo tutta la pelle nel vedere quella tavola imbandita. E vengo accolta da un abbraccio ….

Tutti piatti nuovi per me e quindi ho chiesto a questa mamma di accompagnarmi nel percorso di conoscenza della sua terra: soia con uvetta e mandorle e zucchero a velo, poi il pollo cotto nel tagijn, un’altra carne con prugne e mandorle, tante salse di verdura che accompagnavano la carne e diverse verdure fresche come il cetriolo, la rapa rossa, l’insalata e pomodori per rinfrescarsi la bocca. Mi dice mentre assaggiamo che quello è il pranzo che al suo paese all’interno vicino a Marrakech si usa offrire alle persone ai matrimoni.

Intanto parliamo della sua famiglia di origine, delle tradizioni marocchine, del figlio che a due anni voleva scappare dal quel posto così diverso e che ha riabbracciato forte piangendo in Italia un amico al rientro. Parliamo di questa nuova vita in Italia e della difficoltà di accettare ora alcune imposizioni culturali della sua terra di origine. Lei è molto contenta di questo gesto d’affetto che ci sta offrendo, sorride e intanto racconta della generosità di sua madre che ogni cosa che le figlie le portano dall’Europa la divide con la gente del paese.

Racconta che a casa loro la porta è sempre aperta, ogni volta che entra qualcuno su due piedi preparano qualcosa da mangiare e da bere per lui … non è come qua. Lo ripete tante volte “non è come qua” e ci fa assaporare climi familiari … e ride con noi di quella volta che ha portato alla madre del formaggio grana e lei lo ha scambiato per il sapone da lavare. Si respira un aria di semplicità, di autenticità, di amore. 

Ad un certo punto mi guarda e mi dice grazie! Grazie per tutto quello che avete fatto per me e per il mio bambino durante questo anno. E’ stato trattato bene qui, aveva tante difficoltà e tu sai … io non ero capace di trattarlo perché lui piangeva sempre e loro mi hanno aiutato, ogni giorno.

Mi racconta di altri aiuti avuti da colleghi che hanno mediato tra lei marocchina e il marito egiziano sui comportamenti da tenere in Italia per il rispetto reciproco. Mi hanno aiutata!

Grazie a te mamma del Marocco, queste parole e questo gesto lo ricorderemo per tanto tempo e tanti motivi tra cui che vale la pena fare fatica con i genitori e i bambini nei momenti di difficoltà..e questo può lasciare qualcosa di importante a tutte e due …. nel cuore!

Terminiamo il pranzo con il tè alla menta servito con il rito marocchino e un buonissimo dolce.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: