Stralcio del mio intervento al convegno del 19 ottobre scorso F@reDiversamente a Lainate. Trovate tutti i riferimenti qui.
28 gennaio 2014
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, disabilità, diversità, fatiche, gioia, risorsa, sofferenza Lascia un commento
Stralcio del mio intervento al convegno del 19 ottobre scorso F@reDiversamente a Lainate. Trovate tutti i riferimenti qui.
18 Maggio 2012
Cronache Pedagogiche calcio, con occhi di padre, fallo laterale, franco bomprezzi 2 commenti
C’è un campo di calcio a Bonassola – racconta un signore seduto in prima fila – troppo piccolo per avere un bordo campo con relative linee. Beh, dico fra me e me, in effetti è persin difficile pensare che in quel paesino arroccato sulle coste delle Cinque Terre possa esercì spazio per giocare a pallone. Salvo doverlo recuperare tra gli scogli dopo ogni tiro teso. Dunque – continua il nostro amico – non esisteva il fallo laterale. Cerco di capire dove voglia andare a parare. Mi stuzzica quell’incipit, ma non riesco proprio a intuire che c’entri con quello che stavamo dicendo.
Franco Bomprezzi e io dialogavamo da un’oretta attorno al mio libro, Con occhi di padre, durante la presentazione milanese di ieri alla libreria Odradek. Franco aveva appena letto quel lungo passaggio che inizia con “Hai fatto caso, Luna, che strano universo ti si è stretto attorno?”(p- 108) seguito dal lungo elenco degli incontri che segnavano allora e in gran parte segnano ancora la sua/nostra quotidianità. Voleva sottolineare che la disabilità, alla fine, è questo: relazione. Vale per tutti noi, ovviamente. Ma l’esperienza della disabilità rende evidente ció che potremmo rischiare di dimenticarci. Io ne avevo approfittato per dire che le relazioni creano un mondo e il mio ruolo di padre è ricomparso, dopo anni di oblio, quando ho iniziato a occuparmene, di quel mondo, dandogli la possibilità di esistere e prendendomene cura.
Lui, il padre-spettatore-uomo, continua con la partita a Bonassola raccontando che, al posto delle linee laterali, c’era un muro. Un muro che i giocatori utilizzavano per il dribbling, facendovi rimbalzare la palla quando dovevano scartare un avversario. Inventandosi una sorta di calciosquash. Questo mi fa venire in mente – conclude – che noi siamo abituati ad agire sempre in linea diretta. Soprattutto con i figli. Invece si tratta di triangolare con il mondo. Come a Bonassola.
Fantastico…
Grazie, padre-spettatore-uomo. Non potevi regalarmi un’immagine piú convincente per cercare di dire quello che sto cercando di dire da anni sul ruolo paterno. Come ti ho detto ieri, la userò. Iniziando da qui e aggiungendo che il calcio bonassolese insegna anche un’altra cosa: il mondo va triangolato per quello che è, non per quello che si vorrebbe fosse o secondo le prescrizioni dettate dalle regole ufficiali. Ed è esattamente in questo modo che è possibile trasformarlo, abitandolo.
Grazie ancora a tutti. E alla prossima…
13 Maggio 2012
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, franco bomprezzi, presentazione 1 commento
Beh, pubblicare questo invito il giorno della Festa della mamma non è male no….? comunque sono contento di questa nuova presentazione. L’ultima fatta a Milano è stata nel 2006, la seconda subito dopo l’uscita del libro. Ricordo una serata intensissima e con più di cento persone. Ricordo un grandissimo abbraccio collettivo. Ricordo Charmet, invitato a presentare il libro, stupito da un pubblico così numeroso e anche dalla fitta partecipazione: dopo diciotto interventi (18) abbiamo dovuto chiudere perchè ci stavano buttando fuori dalla sala Lazzati…
Sono passati molti anni, e anche parecchia acqua sotto i ponti. Giovedì sera parlerò del libro con Franco Bomprezzi e sarà ancora una volta un’esperienza nuova. Spero in una partecipazione numerosa anche questa volta. E poi ricordo a chi nel caso fosse sfuggito, che il libro è nuovo non solo perchè edito da Erickson, ma anche perchè ci sono parti nuove inedite.
3 aprile 2012
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, consenso, cure paterne, dislibertà, libertà, opposizione, prendere le medicine 10 commenti
Ci sono cose che van fatte tutti i giorni. Anche più volte al giorno. Non tutte piacevoli, anzi, la maggior parte, vogliamo dirlo? sono una gran rottura di palle. Il fatto che si debbano fare non le rende necessariamente più attraenti. Verità elementare che ha corso legittimo sino a quando riguarda noi stessi. Quando ha da essere applicata all’altro, cambia colore e diventa facilmente un pippone pedagogico.
Sono una quantità talvolta esasperante le cose che mia figlia deve fare ogni giorno e che non ce n’è: vanno fatte punto e basta. Si aggiunga che praticamente tutte le cose che deve fare non è in grado di farle da sola, dunque gli obblighi sono sempre due: di fare le cose che si devono fare e di farsele fare da qualcun altro. In genere sua madre o io. O magari sua madre e io. Due/quattro mani addosso per adempiere all’ovvio ripetitivo e sgradevole. Che so, prendere le medicine che, per definizione, fanno schifo.
Dai, su, lo sai che devi farlo come tutti i giorni, non serve opporsi, facciamo il doppio della fatica e alla fine le prendi lo stesso. Dunque? tanto vale che fai la brava, così ce la caviamo in fretta tutti e due (tre). In effetti, ormai, è esattamente ciò che accade quasi sempre. Mia figlia si sorbisce un cocktail farmacologico diuturno, mane e sera, da più di dieci anni, nella maggior parte delle occasioni senza batter ciglio. Però a volte. Come ieri mattina.
Ieri mattina opposizione da manuale. Testa voltata, mani a stropicciare gli occhi che non centra nulla il prurito agli occhi ma interpone il braccio tra te e la sua bocca, labbra serrate, sguardo di sfida. Uno, due, tre, ics tentativi di convincerla in uno, due, tre, ics modi diversi. Alla fine lotta corpo a corpo. Ovviamente vinco io. Vinco io?
Visto? è servito a qualcosa? alla fine le hai prese lo stesso le medicine e in più ho dovuto costringerti, valeva la pena? a giudicare dalla sua espressione sembrerebbe proprio di sì. Qualcosa non torna. Quando mi impongo con la forza, solitamente sfoggia la sua miglior interpretazione della ragazzina-offesa-e-mortificata. Invece, a medicine ingurgitate, ieri mattina mi guardava con quel suo mezzo sorrisino e gli occhi furbetti. Com’è che sei contenta? che ti ho obbligato a fare quello che non volevi fare? non può essere. Non ti ci vedo nei panni della masochista. E allora cosa sorridi sotto i baffi mannaggia a te!
Poi, terminate le operazioni mattutine, ti accompagno al pulmino in attesa sotto casa e, mentre aspettiamo l’ascensore, capisco. Ti guardo ancora una volta, mi sorridi e capisco. Meglio tardi che mai. Alla fine, se è obbligatorio fare qualcosa e se quel qualcosa qualcuno ti costringe a farlo, mica significa doversi sempre sottomettere senza un fiato. Ci si può anche opporre, si può negare il proprio sì va bene, evitando di far pensare sia comunque scontato. Figlia mia, rifiutandoti di essere scontatamente consenziente, con quel tuo sorriso sbarazzino e testardo hai insegnato qualcosa a me e ti sei presa beffe della tua dis-libertà.
4 marzo 2012
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, recensione 2 commenti
E’ una delle migliori recensioni di Con occhi di padre da quando è uscito nel 2006 a oggi. Non conosco l’autrice e, anzi, se qualcuno sapesse indicarmi un riferimento mi piacerebbe ringraziarla personalmente. Comunque decisamente una persona che si ha letto con molta attenzione, si è documentata e sa di cosa sta parlando. Grazie Elena De Sanctis de Le conquiste del lavoro. Se non leggeste bene l’articolo riprodotto in foto, potete trovarlo qui.
26 febbraio 2012
Cronache Pedagogiche aerei, con occhi di padre, limate, panciuti 1 commento
E’ andata così. Di ritorno dal primo picnic stagionale in quel dell’Idroscalo, decido di inoltrarmi con mia figlia in uno di quei viottoli laterali che portano a ridosso della pista. Aeroporto di Linate, ovviamente. E’ domenica, non un gran traffico, ma da questa postazione si possono ammirare i panciuti alati sia quando atterrano, sia quando si inerpicano verso il cielo. Doppio spettacolo insomma.
Balzo giù dall’auto e mi metto di vedetta per cogliere in lontananza l’arrivo della prima vittima. Eccolo! apro la portiera di Luna e la faccio scendere dicendole guarda! guarda! arriva… Lei butta fuori le gambe, si alza, si avvicina alla recinzione, traguarda l’alato in arrivo, agita le braccia in segno di divertimento poi si gira verso di me, mi prende per la manica, si volta e mi riporta verso l’auto…
Ok, era stato uno spunto potente per iniziare il libro su noi due, ma non è che potessi marciarci per l’eternità. Da quella prima volta sono passati quasi dieci anni, bello papà, grazie, ma anche no. Insomma, o cambio gioco o bisognerà che iniziamo a salirci su quei benedetti aerei.
31 gennaio 2012
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, corriere della sera, disabilità, vita in diretta, Zigulì 14 commenti
Zigulì è un libro interessante, ne ho già parlato nella recensione pubblicata qui. Ma “Zigulì” inteso come il dibattito che il libro ha scatenato in Rete e sui mass media, è ancora più interessante.
Ha fatto bene l’autore a dire le cose come stanno. E’ ora di finirla con il buonismo che nasconde le cose dietro le belle parole. No, non è accettabile tanta cattiveria. Cattiveria? ma che cazzo dici. Ma sai di che stai parlando? come fai a dire questo di un uomo che vive cose del genere? Insomma, posso capire la rabbia, ma alla fine come si fa a dire certe cose del proprio figlio? ma se c’è un sacco d’amore in quelle parole! insomma, sì tra le righe si legge, ma è soprattutto uno sfogo personale, il libro l’ha scritto per se stesso… Ma và! a me è servito leggerlo, un bel pugno nello stomaco, ma adesso so cosa vuol dire. Io per fortuna no, ma certe cose a esserci dentro! Insomma noi genitori in quelle condizioni sappiamo bene cosa vuol dire, ma non c’è solo quello, i figli così sono un’esperienza unica, un dono…Per favore piantiamola, meno male che qualcuno senza ipocrisie ha detto quello che sento da anni e non ho mai osato dire. Che coraggio incredibile ha mostrato. Ma poi cosa succede? scriveranno un libro i due figli sani….?
I toni sono più o meno questi. Un derby all’ultimo respiro. Chi vincerà? I politicamente corretti, i sensibili, quelli che l’amore può tutto (buonisti visti dalla parte opposta), oppure i realisti, i disincantati, i fieri del dire pane al pane e vino al vino (cinici per gli altri)? Al momento a onor del vero i cinici sembrano in leggero vantaggio. L’ola sugli spalti sembra dire un “civoleva” galattico indirizzato alla curva sud dove i “ma insomma” sono attestati e resistono.
I media del resto fanno la loro parte. Anzi, l’hanno indetto il derby a iniziare da quel lontano articolo sul Corriere della sera e passandosi la palla, è il caso di dirlo, da una rete all’altra, da un settimanale all’altro. A La vita in diretta, dove mi hanno invitato proprio per parlare di Zigulì, la raccomandazione era di controbilanciare quelli che il figlio disabile è un dono e l’amore basta e avanza. Poi io mi sono chiamato fuori e da bordo campo ho cercato di dire altro. Ma quando è in corso un derby, chi vuoi che se lo fili uno che non sta né da una parte né dall’altra?
Speriamo comunque che la partita finisca presto e che Il calcio minuto per minuto ne esaurisca la coda. Così magari possiamo parlare d’altro. Tipo ad esempio di cosa significa per un genitore incontrare la disabilità di un figlio. E’ la stessa cosa per un padre e per una madre? o è diverso? E come, e perchè è diverso? e cosa permette di capire dell’essere genitori? e se non è diverso, perchè la disabilità del figlio precede tante separazioni? E i fratelli e le sorelle? O ancora: un’esperienza del genere cosa combina ai propri interessi, alle proprie amicizie, al proprio lavoro? Chiude molte dimensioni, ovvio, ma quali apre? Che trasformazioni di sè, del proprio modo di amare e di stare al mondo un figlio disabile, nel bene e nel male, richiede e rende possibili? E che trasformazioni chiede alle emozioni e alle responsabilità di tutti quelli che stanno attorno?
Insomma, ho il sospetto che si debba andare oltre l’empatia che Zigulì (il libro) stimola, rimettendo a posto le pance e sdoganando il cervello per cercare di capire. L’empatia sarà una gran bella cosa ma, rimpallata e amplificata dai media, prima avvicina e poi allontana nuovamente. Ci volete credere che ho una figlia disabile e mi sono scoperto anch’io a pensare “meno male che a me non sono toccate cose del genere”…? Come dice lo stesso Massimiliano Verga, alla fine c’è sempre un figlio handicappato più handicappato del tuo. E quella della sfiga, non mi pare una bella gara. Anche perchè, di solito, vince chi la perde.
Buona discussione a tutte e a tutti.
29 gennaio 2012
Cronache Pedagogiche con occhi di padre, disabilità, padre, paternità, Zigulì 15 commenti
E’ una scrittura tesa e potente quella di Massimiliano Verga. Parole che sbattono in faccia scene di vita quotidiana ai limiti del tollerabile. Un album di fotografie, di istantanee crude e violente provenienti dal fronte. Guardi la prima e distogli lo sguardo dopo un istante, passando alla successiva nella speranza di una tregua. Ma non c’è via di scampo. Una dopo l’altra tirano per il bavero il lettore, costringendolo a guardare sino all’ultima pagina. E a vedere.
Questa è la vita accanto a una persona disabile, sembra dirti dritto negli occhi l’Autore, e non ci sono cazzi. Piantiamola di prenderci in giro e di raccontarcela. Se sul fronte non ci siete mai stati, toglietevi quel mezzo sorriso di finta empatia e fatevi un giro per la piazza nella quale abitate: scoprirete che il fronte è lì, al vostro fianco, sotto i vostri piedi, davanti ai vostri occhi, mentre pensavate fosse lontano, altrove, anzi, mentre neppure sospettavate esistesse una guerra, solo per il fatto che non siete chiamati a combatterla.
Zigulì, la mia vita dolceamara con un figlio disabile, al primo impatto non sembra neppure un libro. Si presenta come quelle vecchie scatole di cartone riempite alla rinfusa di foto che all’occorrenza ripeschiamo una a una sfruculiando con le mani. Anche Zigulì si può sfruculiare pescando a caso. Lo vendessero a capitoli, li si potrebbe mettere in un vaso e poi agitarli prima dell’uso, ricombinandoli tutte le volte. Ma non è così. Il libro di Verga è uno di quelli che apri, leggi la prima pagina e poi non puoi smettere perchè col fiato corto devi vedere come va a finire. Solo che non va a finire da nessuna parte. Zigulì non è un viaggio, è una giostra che gira su se stessa e a ogni giro sai che un altro giro è andato e, per quanto te ne manchino ancora tanti quanti una vita, sai che è uno di meno.
Eppure è un libro sull’amore. Sull’amore e l’intera gamma di sentimenti che trascina con sè l’infrangersi dei sogni e il disgregarsi del futuro. Le parole di Verga distillano con una efficacia straordinaria rabbia, cinismo e infinita tenerezza. Riescono a ribaltarti nel giro dei pochi capoversi che compongono i capitoli, sballottandoti tra la disperazione e la leggerezza, la dolcezza e la ferocia, il sarcasmo più amaro e l’esistenza possibile che lasciano intravedere.
Ma Zigulì è anche un libro reticente. Nonostante l’estrema esposizione di una vita, la nitida crudezza delle immagini ad alta definizione, la nudità delle fatiche e dei sentimenti. O forse proprio per questo. Occorre riaversi dall’abbaglio che produce una verità sparata senza veli, per accorgersi che quell’abbaglio getta un velo su altri pezzi di verità. Stropicciandosi gli occhi, vien da chiedersi che strano mondo disegni Massimiliano Verga in queste pagine. Un mondo unidimensionale costruito sull’esclusività del rapporto tra un padre e il figlio disabile. Tutto il resto è ambiente dal quale attingere motivi di rabbia e frustrazione, spesso, e occasioni d’aiuto, talvolta. Anche di soddisfazione alternata allo sconforto, ma si tratta solo dell’Inter.
Si può descrivere la propria paternità, raccontandola un figlio per volta? E’ possibile cercar d’essere un padre migliore, senza capire cosa hai imparato essendo figlio di un padre, anzi di due e contemporaneamente, come confessa e poi immediatamente tralascia Verga? Si può parlare del proprio esser padre senza incrociare lo sguardo con quello di altri padri al di là del campionato di sfiga cui tutti partecipano con risultati ovviamente diversi? Si può esporre la propria paternità senza chiedersi dove finisce il ruolo paterno e dove inizia la propria condizione di uomo? E come tra loro si parlino? La risposta è sì, si può. Ed è proprio ciò che fa Zigulì, lasciando però il nostro ascolto sospeso per aria. Questo libro, alla fine, è un paradosso: è la massima esposizione pubblica di una paternità raccontata in totale solitudine.
Zigulì non dà risposte nè vuole darne. Ma non apre neppure domande, tranne quelle che riusciamo a porci se, dopo averne accolto le urla, gli schignazzi e le preziose carezze strappate agli schiaffi, proviamo ad ascoltarne i silenzi. Da qui ognuno può poi partire per cercar risposte, ringraziando in cuor suo il poderoso calcio nel culo regalato da quelle pagine.
13 gennaio 2012
Cronache Pedagogiche, Irene Auletta con occhi di padre, disabilità, parole di padri, paternità, recensioni, Zigulì 1 commento
In questi giorni mi circondano commenti, riflessioni, battute intorno a due testi che, in modo molto differente mi sono vicini.
Con occhi di padre di Igor Salomone, oggi in uscita, nella sua terza edizione con testi inediti e Zigulì di Massimiliano Verga al suo esordio.
Conosco gli autori e conosco i figli di cui parlano, quando si raccontano come padri.
Mi immagino questi due testi a confronto, intenti a parlarsi tra di loro e a raccontarsi storie di padri che vivono in comune l’esperienza con un figlio disabile.
Me li immagino incontrarsi su alcuni sentimenti e pensieri ed essere invece molto distanti rispetto ad atri. Più che distanti diversi, come l’esperienza che ciascuno narra di figli visti attraverso i loro aspetti che, diversamente, li caratterizzano.
Si, perchè l’espressione diversamente abile l’accetto solo se chi parla è disposto a presentarsi come “abile uguale a tutti gli altri” …. altrimenti non credo mi possa dire nulla di nuovo o di interessante.
Vale per i figli e vale per i genitori.
Igor e Massimiliano hanno scritto due libri che possono rappresentare una grande ricchezza per chi li riesce a incrociare dando valore alle differenze e agli sguardi complementari.
Il testo di Massimiliano mi ha fatto l’effetto che ho provato a una mostra che esponeva immagini dell’Olocauso. Un pugno nello stomaco. Diretto, immediato, forte, anzi fortissimo.
Leggere il libro di Igor mi ha invece ricordato le mie nuotate, il piacere di guardare i fondali con la maschera e di scoprire mondi inattesi, accompagnata da un respiro che a volte si fa corto per la sorpresa e a volte torna quieto per ciò che lo sguardo riesce a intravedere e a scoprire.
“Ti piace più il primo o più il secondo?” Impossibile rispondere, troppo diversi e troppo diversa la mia storia con loro.
Però penso di poterli consigliare entrambi, come possibilità di far nascere un nuovo dialogo “a tre”, insieme al lettore che avrà voglia di guardare foto e di immergersi nel mare.
10 gennaio 2012
News&Memo, Taccuino con occhi di padre, il senso della vita, la vita in diretta 2 commenti
Mercoledì 11 gennaio sarò di nuovo in tv. Su Rai 1, a La vita in diretta, dalle 17.30 in poi, penso. Sembra che i programmi sulla “vita” abbiano una predilezione per il sottoscritto. Dopo Il senso della vita e La vita in diretta, temo mi vorranno a Sorgente di vita, Cambio vita, I migliori anni della nostra vita e via sopravvivendo. Naturalmente a parlare di vita, appunto, con la disabilità.
La cosa doppiamente curiosa è che nello stesso giorno uscirà per la Erickson la terza edizione di Con occhi di padre con un sottotitolo tutto nuovo: Viaggio intorno a quel che resta del mondo, senza che ci sia stata alcuna predeterminazione. A volte il caso… Buona compensazione, del resto, visto che la mia prima volta in tv da Bonolis, non solo sono andato in onda a notte fonda, ma in quel momento il libro era esaurito e introvabile. Successo di pubblico, ma flop pazzesco dal punto di vista del marketing.
Speriamo questa volta vada meglio. In ogni caso che ci volete fare, così è la vita…
Ah, quasi dimenticavo: terza edizione significa nuove parti che assommate alle nuove della seconda, fanno per chi ha visto sola la prima un bel po’ di pagine in più.