di Irene Auletta
Chi alla mia età ha ancora i genitori, gode della grande fortuna di continuare a nutrire quel rapporto unico che, a volte, necessita di piccoli ritocchi, di perdoni, di nuovi incontri, di pace.
In questi giorni ho rivisto mio padre in una breve pausa, tra la sua vita a Milano e quella nel paese lucano e, ogni volta, il passare del tempo mi fa ritrovare qualche nuova traccia. Poi il momento non è certo dei migliori, tra il funerale di un cognato e la preoccupazione per una grave malattia del fratello minore. Lo vedo così: il mio gigante d’argilla con tante crepe.
Ci ritroviamo solo noi due perchè non voglio che nessuno della mia famiglia, soprattutto la signorina più ingombrante, occupi tutta la scena e chiacchieriamo come non accadeva da parecchio tempo. Ogni volta che ci avviciniamo al dolore mi vedo riflessa in quell’insegnamento che chiede di stringere i denti e mostrare imperturbabilità o in quelle reazioni di rabbia, a protezione della fragilità.
Però, sono passati tanti anni e ora da anziano ti stai finalmente permettendo di mollare un po’ quelle severe redini dei sentimenti mentre io, beh, ci ho lavorato parecchio.
Cosi l’emozione pian piano può permettersi di stare nei nostri racconti che, naturalmente, non possono lasciare fuori mia figlia, quell’unica nipote che, solo a nominarla, ti rende subito gli occhi tristi. L’incontro mi nutre e sono felice di questo regalo che mi sono fatta sospendendo tutto il testo.
Sai Papà, penso spesso alla fotuna che, alla mia età, tu e mamma ci siate ancora.
Sembri un attimo assente ma subito replichi: Se proprio di fortuna dobbiamo parlare, quella davvero fortunata è tua figlia ad averti come madre. Detto da te, severo babbo, questa affermazione mi raggiunge pizzicandomi dappertutto.
Il silenzio riempie il nostro saluto come le lacrime dolciamare nei nostri occhi. I tuoi, verdi, malinconici e velati dal passare degli anni. Nessuno di noi figli ne ha ereditato il colore ma, sulle sfumature della malinconia, mi sa che ti sto raggiungendo.
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