Amori orgogliosi

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa tuo padre mi ha raccontato di un vostro recente scambio in cui ti ha parlato del suo orgoglio per te. Vi immagino vicini, intimi, profili uguali nelle vostre differenze abissali e mi arriva un’ondata di emozioni. Saremmo stati capaci di provare tanto orgoglio e di esprimertelo se tu non fossi stata tu? Domande mute con risposte impossibili.

Il racconto mi torna in mente oggi mentre io e tuo padre ti osserviamo in acqua, in un momento di valutazione del tuo percorso TMA (terapia multisistemica in acqua). Nonostante questo sia un nostro appuntamento settimanale, durante gli incontri riesco a vederti poco, sia perché spesso la mia presenza ti distrae, sia perché farti vivere momenti in assenza del mio sguardo mi sembra una gran bella libertà. 

Ma oggi è un giorno speciale e anche le tue reazioni in nostra presenza sono un oggetto di valutazione. Come sempre in acqua ti muovi con estrema disinvoltura, diventi leggera e le tue rigidità di movimento sembrano scomparire. Ridi, ti concentri, ti impegni e mostri una fiducia totale nell’istruttrice che da quasi tre anni ti sta accompagnando in questa avventura. Appena puoi ci cerchi con lo sguardo e io mi accorgo di trattenere il respiro mentre ti osservo in alcuni passaggi in cui ti ritrovo la mia figlia coraggiosa. 

Durante la restituzione la supervisora sottolinea, con positiva delicatezza, lo scarto tra le tue possibilità, gli innegabili limiti e la tua tenacia, unita alla voglia di provare e sperimentare. Ogni volta che penso a quanto la vita e’ stata con te avara e a come tu riesci a trasformare ogni occasione in possibilità, sento un pizzico forte al cuore unito a quel moto di orgoglio che non smettiamo mai di dirti e farti sentire. 

Le fatiche immense di tutti i passaggi, compresi quelle che precedono esperienze in cui poi ti butti a capofitto e che ti piacciono molto, in quell’attimo sembrano svanire e io mi riempio gli occhi di tutta la bellezza che fra poco ti sussurrerò nel nostro abbraccio d’amore orgoglioso.

Venticinque

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di Irene Auletta

Quest’anno per il tuo compleanno, pensando alle parole e ai pensieri che mi piace dedicarti da anni, ho scelto di farmi guidare dalle domande che pongo spesso ai genitori che incontro nel mio lavoro e di fartene dono.

Da parecchio tempo infatti, sentendo i ruoli genitoriali sovente schiacciati dalla quotidianità, mi piace chiedere di raccontarmi caratteristiche belle dei loro figli, esperienze divertenti degli ultimi periodi, qualcosa che li ha riempiti di orgoglio, insomma, una raccolta da destinare a quel contenitore virtuale che tante volte nominiamo per non perdere di vista la bellezza.

Direi che l’esercizio può diventare ancora più interessante e arricchente quando, per molti e differenti motivi, si attraversano momenti di fatica o di difficoltà.

Allora inizio!

Tra le tue più belle caratteristiche non posso non citare il tuo sorriso, che appare sempre pieno di quella tenerezza al profumo di stupore che, quando sfocia nella risata canterina, diventa talmente contagioso da regalare felicità.

Mi piace molto anche il tuo sguardo serio e quella forza che non demorde nel tentativo di esprimere sempre e appena possibile la volontà, con tanta pazienza per l’ignoranza del mondo che ti circonda, spesso talmente attaccato ai propri codici comunicativi da apparire totalmente sordo ai tuoi richiami. 

La tua tenacia mi piace, mi affatica, mi diverte, mi addolora, mi dispera e mi riempie di orgoglio. Avete presente quando si parla di concetti polisemici, cioè portatori di diversi significati?

E che dire della tua allegria che mi restituisce ogni volta il mio più grande successo educativo? Forse allegra lo saresti stata comunque di tuo ma mi racconto che c’è tanto di quello che non ho mai smesso di trasmetterti come modalità per stare al mondo e per sostenere i tanti fardelli del tuo zaino di vita. La tua allegria mi arriva spesso come gli zampilli di quelle fontane che, rinfrescandoti, ti strappano un momento di piacere e di respiro ampio.

L’orgoglio di madre mi ricorda una calda mantella che raccoglie tutto come in un abbraccio che assomiglia tanto a quelli che mi insegni ogni giorno e che, nel tempo, sono diventati tra le più intense comunicazioni del nostro amore. Hai avuto pazienza con me, venendomi a prendere in quella zona di gelo dove mi ero rintanata per sopportare il dolore e sei stata grande, anzi grandiosa, nel riportarmi alla luce.

E poi mi divertono tantissimo quei tuoi gesti che amplifichi sapendo che mi fai sorridere. Quando strizzi gli occhi facendo una faccia buffa, quando sembri sfottermi di fronte al mio insistere di farmi capire facendo si o no con la testa, quando tu stessa sembri stupirti di qualcosa che si avvicina tantissimo ad uno scherzo. Il limite è sempre lo scarto che può esserci tra la tua reale intenzione e la mia interpretazione ma gli anni ci hanno insegnato a riderne quando ti dico, sai cosa c’è? ma chissenefrega se non era proprio così, se ci stiamo divertendo!

E così siamo arrivati a venticinque e la figlia che sei si è accomodata in tutta la nostra scena familiare, senza lasciare più alcuna traccia di quello che avrebbe potuto essere. Il mio desiderio sei tu, perchè ora lo so davvero bene, nel cuore e nella mente, che non sei tu, ma sono io, a non essere spesso alla tua altezza.

Auguri figlia meraviglia!

Il bello di te

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di Irene Auletta

Chissà quanti genitori sono orgogliosi dei propri figli come lo siamo noi?

La domanda di tuo padre mi raggiunge, non come sorpresa, mentre parliamo di te, raccontandoci quello che osserviamo, i cambiamenti, particolari inediti, nuove speranze.

Per qualche giorno mi rimane a girovagare nella mente e ogni tanto ritorna a fare capolino, confermandomi che di sicuro anche molti altri genitori lo sono. Ma allora perchè torna a incuriosirmi? Il nostro è un orgoglio differente? Sia chiaro, non migliore o peggiore, ma differente?

In effetti non mi capita raramente di raccogliere testimonianze di orgoglio ma forse, pensandoci un po’, mi pare che tanti genitori possano rischiare, più di noi, di rimanere inconsapevolmente intrappolati, nelle reti-mito delle prestazioni e delle competenze. Penso che sia facilmente riconoscibile quell’orgoglio che sboccia di fronte a qualcosa che si materializza in un fare, in un’azione, in un pensiero. Che bella cosa hai fatto, detto o pensato! 

Eccola qui la nostra differenza. Noi possiamo molto, ma molto raramente, essere orgogliosi per ciò che fai, ma lo siamo costantemente per ciò che sei. O almeno, abbiamo imparato ad esserlo. Al tempo stesso, non rischiamo la delusione di quelle attese malriposte, che possono essere un peso non indifferente per qualsiasi figlio.

Gli amori fragili sono spesso i più forti, anche nella tenacia della ricerca, forse perchè si nutrono di fili d’essenza al gusto dello straordinario. Devo ammettere, sinceramente, che la dimensione delle “cose esibite” mi manca e credo mi mancherà sempre senza però nulla togliere a questa forma differente di quel sentimento che quasi accarezza la gola quando si chiama orgoglio.

Essere orgogliosi nel limite, parente stretto della delusione, pare quasi qualcosa di impossibile anche solo da dire e di sicuro, per me, è un percorso di ricerca che mi accompagna altrove, dove non avrei mai scelto di andare, dove devo quasi ogni giorno rianimare la fiducia, dove spesso vorrei richiudermi per scomparire dalla pesantezza degli sguardi altrui.

Ma, stare in questa ricerca, vuol dire anche riemergere nello stupore, ispirare la bellezza dell’inatteso e soprattutto, godersi ogni infinitesimale frammento di possibilità, con un respiro pieno di orgoglio.

Si, di te lo siamo eccome.

Scricchiolii

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa, senza saperlo prima, ci troviamo nello stesso albergo che accoglie animatori, allenatori, familiari e giovani disabili provenienti da varie regioni d’Italia e coinvolti nelle Special Olimpiadi. Facilmente veniamo confusi come appartenenti a qualche gruppo ma, fino alla seconda serata della nostra permanenza, riusciamo a rimanerne comunque ai margini.

Domenica sera al termine della cena, pur essendo distrutta dopo una notte insonne, vieni immediatamente attirata da quella che a me e a tuo padre appare come una situazione molto caotica, oltre che a noi poco familiare.

Un gruppo di giovani animatori, accompagnati da musica “a palla”, hanno allestito uno spazio danze con le classiche musiche che credo caratterizzino un po’ tutte le animazione dei club di vacanze. Insomma, di quelle che a me solo a dirlo viene l’orticaria!

I movimenti dei corpi giovani degli animatori, flessuosi e armonici segnano una distanza siderale e anche un po’ crudele con gli altri rigidi, a scatti e quasi totalmente scoordinati del resto dei danzanti.

Tu inizi un movimento a onda. Ti avvicini e ti allontani quasi a prendere le misure con quella situazione che evidentemente ti attrae moltissimo e rispetto alla quale vuoi la nostra presenza, ma anche no.

Cric. Ti guardo diversa fra i diversi alla ricerca di una possibilità espressiva che dica con il corpo l’eccitazione provocata dalla musica e che sembri voler comunicare. Ci cerchi con lo sguardo ma vuoi buttarti da sola nella mischia e alla fine ci riesci. Cric. 

Un misto di emozioni non riesce a nascondersi prima di straripare negli occhi. Orgoglio, tristezza, gioia e dolore. Le crepe del cuore vanno per la loro strada mentre, dopo un primo momento, mi impongo di ignorarle anche per il fastidio che possano svelarsi troppo in quella scena pubblica. Cric

Tu sei felice. Provi e riprovi, accolta da persone molto disponibili e piacevoli.

Anch’io mi sento un’onda. Mi allontano per bisticciare un po’ con i miei occhi e con quel fastidioso groppo in gola e poi mi riavvicino per dirti solo con lo sguardo che, se hai bisogno, sono qui. Il mio cuore e quello di tuo padre sembrano battere all’unisono in quella tempesta di sentimenti che dopo ci raccontiamo identici e ci scambiamo come unguento lenitivo per le nostre ferite.

La risata del nostro abbraccio a tre fa il resto e poi via, per la nostra vita.

Cielo per te

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di Irene Auletta

Alla tua età ho preso la patente, facevo progetti per il futuro e mi sono cimentata con il primo impiego per contribuire ai miei studi e concedermi qualche extra. Tu impegnati a studiare che al resto ci penso io! Il nonno era stato chiaro ma già da allora ero molto orgogliosa e l’idea di essere autonoma mi è piaciuta sempre. Con le mie compagne di classe abbiamo festeggiato quella maggiore età che pareva aprirci strade inattese e mondi solo per noi.

L’idea di una figlia diciottenne era lontana e tu eri ancora là a vagare in universi paralleli. Mi hai aspettata? Mi hai scelto? Il nostro incontro è stato un puro caso? Le teorie si affastellano e oggi non mi interessano più perché Tu sei mia figlia e nessun’altra potrebbe prendere il tuo posto.

Sei una ragazza di diciotto anni e il tuo compleanno speciale mi trova ancora una volta emozionata a riconoscerti universo tra universi.

Per dono nessuna patente di guida, viaggi o similari tanto desiderati dai tuoi coetanei. Per te esperienze, incontri, luci, colori, musica ed emozioni. Il resto non ti riguarda e trattengo negli occhi e nel cuore la tua espressione di meraviglia quando incontri quel mondo per te possibile, unico e importante.

Buon compleanno figlia, con tutto il mio orgoglio di madre.

Buon compleanno a te che ogni giorno mi insegni a misurarmi con limiti impossibili e con un amore immenso.

A te che sei luce brillante ed eclissi oscura. Auguri a te, mio incanto, che mi riporti sempre con i piedi per terra costringendomi a mantenere lo sguardo rivolto al cielo.

Avere o imparare

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Di Igor Salomone
Trent’anni che soffoco.

Trent’anni afferrato alla gola dalla superficialità spacciata per leggerezza, dalla negligenza contrabbandata per libertà, dall’indifferenza venduta come realismo, dalla furbizia travestita da intelligenza.

Trent’anni di Immagine, Dea del Nulla inventata per celare qualsiasi nefandezza e qualsiasi vuoto.

Trent’anni di Efficacia, anzi Efficienza, anzi tutte e due magicamente intrecciate, a dire che quel che conta è fare le cose bene, non importa cosa, non importa se farle bene non significa affatto fare “il” bene, un qualsiasi tipo di Bene purchè riguardi anche l’Altro, pazienza se viene così così.

Trent’anni di Collaborazione, il nome postmoderno del Corporativismo, ovvero lavorare assieme non per qualcosa, ma per qualcuno: l’azienda, il gruppo, la famiglia, la categoria, il territorio, il dialetto, tutto ciò che infine è “nostro” e non “di tutti”.

Non ne posso più.

I cicli culturali sono, appunto, cicli. Voglio sperare che questo pantano sia giunto al capolinea. Voglio sperare che Dignità, Orgoglio, Rispetto, Responsabilità, Bene comune tornino ad avere un senso. Voglio sperare, che riusciamo a imparare e a insegnare un senso nuovo, adatto a questo nuovo mondo da proteggere e accudire che ci ritroviamo per le mani.

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