Amori a colori

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amori a coloridi Irene Auletta

Mi sorprendo spesso ad ascoltare alcuni commenti delle madri e nel riscoprirne al contempo ambivalenti sentimenti di grande vicinanza e distanza abissale. Dopo anni di frequentazioni è quasi possibile riconoscere delle frasi ricorrenti e tipiche che, ad un attento ascoltatore, possono svelare l’età di quel figlio e di quella storia di incontro.

Sono tante le notti insonni, è vero che ci si abitua però che fatica! Piange ancora tanto ma speriamo che questo periodo passi presto. E’ uscito per la prima volta solo e poi mi ha detto: “mamma devi abituarti ormai ho dieci anni”. Bellissima pagella, sono contenta. Primo viaggio all’estero da sola, un misto di soddisfazione e preoccupazione. Capisco che questa è l’età della stupidera ma sono davvero insopportabili. Ma ora che ha un lavoro perchè non si decide anche ad andare per la sua strada?

Immagino che molte madri come me, abitanti di storie diverse, vivano gli stessi sentimenti e, con il passare degli anni, mi pare di cogliere sempre con maggiore chiarezza quelle dinamiche ricorrenti che si guardano con quell’amore sempre un po’ velato dalle ombre della malinconia. In fondo ci sono figli, come la mia, che a quasi diciassette anni chiedono un continuo equilibrio tra corpi ragazzi e comportamenti e gesti infantili. Quali bisogna accogliere e a quali dare la precedenza?

Ogni volta che sento dire che sei monella o che fai i capricci vorrei schiacciare il tasto del rewind per permettere all’interlocutore di ripetere la frase in modo adeguato alla tua età. Nei miei giorni peggiori credo di incenerire con lo sguardo soprattutto quando alle parole, si uniscono gesti altrettanto impertinenti e inappropriati.

I progetti sull’autonomia sono fra i più nominati per chi incontra storie di disabilità ma ci sono ancora tanti percorsi da scoprire e intraprendere per aiutare genitori e operatori a trovare nuove strade possibili e più adeguati vocabolari per raccontare.

Io ci provo ogni giorno con molta fatica e, devo riconoscere, con altrettanta solitudine. Come dico spesso però, può essere che l’esperienza che attraverso come madre abbia il suo maggiore vantaggio e valore in ciò che mi permette di imparare come genitore e di insegnare nella mia professione educativa. Tutto il resto fa parte di quelle storie che per la loro delicatezza, chiedono di essere trattate con cautela e protette dagli sguardi altrui.

Siamo un po’ così noi che dobbiamo barcamenarci tra primi reggiseni e accudimenti infantili, tra proteste adolescenti e abbracci da bambini piccoli, tra urla e pianti disperati. Isole tra isole e orizzonti cangianti. Per fortuna i cieli ci sostengono nel loro mutare colore e, tra azzurri, rossi e neri, c’è sempre lo spazio per un respiro arcobaleno.

 

Donne, menti e cuori per l’educazione

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di Irene Auletta

Sfoglio un album di foto ricordo.

Luglio 1991. Incontro per la prima volta due gruppi di educatrici di servizi per la prima infanzia di un comune dell’hinterland milanese. Allora si chiamavano ancora asili nido. Loro si stavano cimentando con un forte bisogno di formazione e di cambiamento e io con le mie prime esperienze nel ruolo di consulente pedagogico. Di certo allora, nessuno di noi avrebbe immaginato una storia professionale che ci ha viste per quindici anni compagne di viaggio.

Febbraio 2014. In occasione di una serata culturale che conduco insieme ad una collega ci incontriamo di nuovo. Senti Irene, quest’anno ricorrono i miei quarant’anni di lavoro e, anche se in pensione ci andrò il prossimo anno, mi piacerebbe fermare questo momento raccogliendo la mia esperienza e condividendola con le persone che insieme a me, hanno attraversato la mia storia professionale. Ci stai? Mi daresti una mano a pensare ad una serata che si configuri come incontro leggero, per festeggiare e ricordare insieme?

Aprire 2014. Eccoci di nuovo qui. Come succede nelle storie importanti, anche se non lavoriamo più insieme da parecchi anni, appena arrivo riconoscono il clima, l’organizzazione e la cura dell’ambiente, i sorrisi e i saluti che parlano di incredibili intrecci di vita e lavoro, trattenuti anche nel titolo dell’invito preparato dalla festeggiata e consegnato a ciascuna delle invitate. Non potrebbe essere diverso per lei perchè questo è sempre stato il suo modo di intendere il lavoro e l’educazione. Intrecci tra mente e cuore, tenacia e leggerezza, rigore e tenerezza, fatiche e raccolti.

Ricorrono parole che riconosco semi della nostra storia e che son diventati frutti individuali ricchi di sfumature differenti. Crescere, imparare, insegnare, credere, osare, sperimentare, divertirsi, impegnarsi. Il tutto condito con la passione che in tanti anni di lavoro ha fatto patire e ha permesso di gioire.

Serata ricca, piena di emozioni, ricordi, immagini, racconti. Di te mi ricordo bene quella volta che… Ti ricordi quando insieme abbiamo? … Quando ti ho conosciuta ho pensato… Durante la serata ci fanno compagnia tante fotografie che ritraggono momenti di quarant’anni di lavoro con bambini, genitori, colleghe e formatori. Materiali elaborati e prodotti individualmente e insieme. Programmazioni di lavoro, profili dei singoli bambini, lettere destinate a referenti istituzionali, tracce di momenti formativi e altro ancora che racconta una storia che, insieme ad altre storie, ha attraversato le trasformazioni dei luoghi educativi pensati per accogliere bambini piccoli e le loro famiglie.

Momenti di respiro profondo. Un’educatrice, già in pensione da qualche anno e che ha lavorato fino a sessantacinque anni con il sorriso sulle labbra e negli occhi, mi dice che ci voleva proprio, una boccata di ossigeno!

Educazione e vita, ancora una volta insieme in quei saluti affettuosi che profumano di un nuovo arrivederci.

Cesti e cestini

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cesti e cestinidi Irene Auletta

Pensate mai a quelle frasi ricorrenti che vi piacerebbe non sentire più o gettare  in un virtuale cestino dei luoghi comuni? Ce ne sono una serie che mi sembrano assai frequenti anche attraversando differenti contesti.

Attirano in particolare la mia attenzione quelle che restituiscono una grande confusione di confini e significati tra la vita personale e quella professionale.

La priorità è la mia famiglia! è tra le più gettonate e resiste stoica a tutte le mode. Poi ci sono quelle di contorno che parlano con esasperazione di grandi fatiche, persone sempre più stressate, rabbie e frustrazioni per scarsi riconoscimenti professionali o economici e via discorrendo in un personale elenco che ciascuno può arricchire a partire dalla propria realtà.

L’atteggiamento trasversalmente comune, in queste circostanze, mostra un andamento che oscilla tra il depressivo e l’aggressivo con tendenze al lamento costante e alla rivendicazione a oltranza, per qualsiasi cosa. Ho la sensazione che proprio i professionisti impegnati nelle relazioni educative e di aiuto siano tra i più colpiti da questi sintomi e da una forma di incontinenza comunicativa che osservo tra il preoccupato e il curioso, anche alla ricerca di opportune e necessarie contromisure.

Poi, per fortuna, arrivano le sorprese.

Sono in pensione da diversi anni ma ora mi sento veramente stanca e annoiata. Ho insegnato per tanti anni e non sentivo mai la fatica. Il lavoro era la mia energia e l’incontro con i ragazzi era per me un continuo stimolo.

Scambio in ascensore con una signora che abita nel mio palazzo e che incrocio spesso costruendo piccole storie a puntate relative alle nostre scelte professionali. Pensando  al suo ultimo commento riconosco che la differenza la fa proprio la passione ed è quella che si sente nelle relazioni che trasmettono buona energia e quella voglia di interrogare anche le difficoltà e le fatiche, alla ricerca di nuove possibilità.

Ma come si fa ad insegnare la passione? mi chiede una giovane insegnante mentre parliamo proprio di tale questione.

Si possono insegnare la curiosità, la fiducia, il rispetto, l’ottimismo, la speranza, l’allegria, l’amore per il sapere? Possiamo immaginare la fatica come portatrice di nuove risorse e il dolore come occasione per dare anche senso alle nostre esistenze?

Quando le mie risposte saranno negative di certo non sarò più qui a scriverne. Per ora, mi sa che impacchetto un po’ di queste domande e ne faccio cesti natalizi!

Noi che ci occupiamo di educazione

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di Irene Auletta

Devo ringraziare per queste riflessioni il collega che di recente ha scritto un post sul suo blog, proprio per esprimere alcune sue considerazioni relative ad alcune caratteristiche legate al lavoro educativo e alle scelte di chi decide di praticarlo.

Ci sono immagini e definizioni che rimangono scolpite nella memoria e vanno ben oltre quello che intendeva chi le ha evocate o pronunciate.

Spesso, rispetto al lavoro educativo, ho sentito parlare di lavoro duro, di posizione di trincea e di straordinarie fatiche.

A volte, a fianco, ho raccolto anche sfumature di bellezza, di passione, di interesse.

Da quando ho mosso i miei primi passi professionali, sono stata affascinata proprio dalle ultime cose nominate unitamente ad una forte curiosità, ad una spinta verso una ricerca continua di significati e di senso e dalla consapevolezza che continuare a raccogliere sapere, anche studiando, è per me l’unico modo per continuare a produrlo. Ne sono testimoni i tanti educatori che ho incontrato sulla mia strada e che riconoscerebbero in queste parole alcuni miei antichi tormentoni.

Alcune considerazioni verso le professionalità educative, e certamente comprendo in questa gamma anche gli insegnanti, mi hanno sempre raggiunto con un effetto stonato, dandomi la sensazione di un discorso vecchio e da superare, per poter produrre una cultura dell’educazione che vada oltre gli stereotipi che tutti noi incontriamo quotidianamente.

Credo che rischiamo altrimenti di essere noi stessi vittime della cultura che condanniamo e valutiamo con uno sguardo severo.

Perchè abbiamo sempre così bisogno di sottolineare alcuni aspetti di fatica che, molto probabilmente, appartengono a gran parte delle professioni? Siamo sicuri di esserci liberati di quella cultura salvifica, un po’ buonista o riparatoria, di cui abbiamo letto tante volte e che  il sempre attuale articolo di Enriquez ci richiama alla memoria?

A volte ho molti dubbi e dopo tanti anni, mi sorprendo ancora di come, anche le nuove generazioni professionali, siano ancorate a vecchie immagini.

Ostinatamente continuo a sostenere, e spero ad insegnare, l’importanza di affinare le competenze e di rinforzare il proprio sapere per allargare lo sguardo, per andare oltre quel giudizio che pietrifica le possibilità dell’incontro e il riconoscimento delle molte sfumature del lavoro educativo.

Racconto la passione praticandola e il sapere esibendolo.

Mi piace, quando parlo del mio lavoro, parlare anche di divertimento, di scoperta, di curiosità e di bellezza.

Immagino che sia così per molti ma che ancora sia difficile narrarlo o, può essere, che io abbia avuto poca fortuna nell’incontrare storie differenti.

Mi piace quando, anche insieme ad altri colleghi, sento che riusciamo ad aprire nuove porte perché credo che il sapore frizzante dell’aria nuova sia la nostra vera possibilità.

Ci vuole davvero nuovo respiro per il pensiero.

Amare il proprio ruggito

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Di Irene Auletta

Per anni ci hanno insegnato a trattenerci, a non esprimere, a mantenere le buone maniere e così siamo diventati esperti di quel sorriso tirato che ho riconosciuto tante volte sul mio viso e riflesso in quello di tanti altri, donne e uomini.

Ci sono voluti anni di lavoro, l’incontro con la bioenergetica, la provocazione continua della vita e gli schiaffi sempre più forti dei drammi dell’esistenza, per farmi alzare lo sguardo e volgerlo altrove.

Ci è voluto l’incontro con il mio limite e la pazienza degli eventi che, come gocce cinesi, non hanno smesso di far incontrare fuoco e benzina.

Una maestra mi ha aiutato a vedere, incontrare ed avvicinare lo strano minuetto giocato dalla rabbia e dal dolore, dalla passione e dalle emozioni, dall’insegnamento di trattenere e dal bisogno di lasciar andare.

Alla fine ce l’ho fatta. 

Prima è comparso il rantolo, soffocato, chiuso in gola e trattenuto negli occhi.

Poi è esploso il ruggito o, come direbbe Clarissa Pinkola Estes, ho incontrato la lupa  e con lei, ho iniziato una folle corsa.

Tutto il resto è una nuova storia, ma oggi, negli occhi altrui, nei finti sorrisi, nelle parole di circostanza, negli sguardi sinceri, scopro mondi nuovi e ricchi di significati.

Ogni tanto lo sento, il mio ruggito, e gli sorrido perchè ho imparato a volergli bene e a capire cosa sta cercando di dirmi. 

O quanto meno ci provo.

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