di Irene Auletta
Arrivo in stazione e ormai per abitudine prendo l’ascensore per evitare inutili fatiche. Un anziano signore che attende insieme a me, mi cede il passo all’entrata e all’uscita.
Gesti cordiali ai quali siamo sempre meno abituati e che fanno riemergere una recente riflessione condivisa con una collega sul bisogno di educare alla gentilezza, proprio partendo dai servizi per l’infanzia e dalle varie agenzie educative.
La mia maestra Feldenkrais lo ripete spesso ma oggi più che mai sento che la sua indicazione sta diventando sempre più anche una mia urgenza. Ho l’impressione che con la scusa di essere spontanei e disinibiti, finiamo con lo smarrire quelle buone regole di educazione a cui mi accorgo di essere profondamente legata.
Senza alcun moralismo mi stufano i linguaggi e i toni sguaiati e mi accorgo che posso tollerarli solo a piccole cose. Essere gentili per me vuol dire anche fare i conti con i propri toni assertivi, frutto di antiche radici educative difficili da eliminare. Per fortuna ho due maestri eccellenti e pazienti che negli anni mi stanno aiutando nella mia personale ricerca. Il mio lavoro aggiunge il suo tocco, sostenendo con riflessioni teoriche quel percorso di ricerca intrapreso.
Ci sorridiamo, con l’anziano signore incontrato in ascensore, di un sorriso che sa di bello. Non importa se la serata e’ piovosa e umida perché io sto guardando altrove, verso orizzonti che permettono di allargare il respiro, quasi a confermare che la via desiderata, e’ proprio in quella direzione.
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