Spettacolo in prima fila qualche giorno fa. Stavo lavorando sui testi per la promo del corso di arti marziali, che coincidenze a volte, quando sento un vociare acceso che proveniva dalla strada sette piani più sotto. Sembrava gente molto incazzata. Mollo il portatile, mi alzo, mi precipito in balcone, mi affaccio. E mi sono goduto la più archetipica scazzottata tra due automobilisti, nel bel mezzo di corso XXII marzo, Milano, ovvero uno dei luoghi più trafficati della metropoli.
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Che dire? la gente non sa fare a botte, se volevo una conferma di questa verità, l’ho avuta. Tre round, dico tre, di gran sventoloni, ed erano ancora tutti e due in piedi. Un graffio sulla pelata e un po’ di sangue sulle labbra (sì ho un binocolo potente) per uno dei due, il più giovane e rabbioso fra l’altro. Tutto qui. E giuro che si sono menati di brutto: pugni, calci, strangolamenti. Mancava solo l’alabarda spaziale. Ci sono quasi rimasto male.
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Delle due l’una, o tutto quello che mi hanno raccontato in decenni di pratica marziale è una bufala e tirar giù un tizio di un’ottantina di chili è tutt’altro che facile, oppure quelli non sono riusciti a mettere a segno neppure un pugno decente (sui calci stendiamo un velo pietoso), e in questo caso tutto quello che mi hanno raccontato nei decenni di cui sopra, è tutto vero.
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Ma andiamo per ordine. Quando mi sono affacciato, un furgoncino bianco e una Ypsilon cremisi erano fianco a fianco e, dai finestrini, i conducenti se ne stavano dicendo di tutti i colori. Tipico. Intanto inizia  a formarsi la coda dietro i due litiganti, a dimostrare che non sempre il terzo gode. Spinti dai clacson, le due auto ripartono. E’ finita qui, penso. Ma da un certo modo di muoversi e poi fermarsi dopo pochi metri, capisco che non è così. Di nuovo affiancati, hanno solo cambiato lato, ricominciano gli insulti reciproci. Una portiera si apre. Un tizio esce dal furgoncino, lato passeggero, fa il giro e si piazza davanti al lato conducente del nemico. Forse i contendenti sono più di due.  Ancora urla e insulti. Poi, d’improvviso e con uno scatto felino, il tizio in piedi afferra la maniglia, apre la portiera della Ypsilon, afferra l’avversario, lo trascina fuori e ha inizio il parapiglia.
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Tra pugni, grida e botte, mancavano solo gli spari, sembrava una canzone di Jannacci. Prima si accapigliano in due, poi arriva un terzo a dar man forte al compagno, poi uno dei tre sparisce e restano in due a darsele. Nel frattempo vengono separati da qualche passante volenteroso che rischia di prenderle per giocare al peacekeeper, si riappiccicano nuovamente, si separano, si riappiccicano. Tutt’intorno si raduna il pubblico delle occasioni, mentre dietro la fila di auto bloccate nel bel mezzo del viale, si allunga. Arriva la polizia, in cinque minuti, velocissima, finiscono le botte, ma i due eroi vanno avanti a insultarsi per un quarto d’ora, minacciando in continuazione di venire ancora alle mani, mentre due agenti tentano in modo decisamente maldestro di impedirlo. Fine dello spettacolo, rientro in casa.
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Con una bruttissima sensazione nel corpo.
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Cosa avrei fatto, io, se mi fossi trovato in quella situazione? Immagino sia una domanda che si farebbe chiunque in quelle circostanze. Per lo meno chiunque di sesso maschile. In ogni caso è una domanda inevitabile per uno che pratica arti marziali da quasi trent’anni. E la risposta, sconceratante, è sempre la stessa: non ne avevo la più pallida idea. Sono decenni che incrocio braccia e gambe con i miei compagni, in palestra. Ho preso anche la mia brava dose di pugni, calci, leve, cadute. Ma il mio corpo mi dice che i due pirla per strada avevano appena vissuto un’esperienza completamente differente, che io non ho mai vissuto, nonostante o forse  proprio in grazia dei miei decenni di marzialità.
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Forse l’avrei fatto la prima volta, per certo non mi sarei fermato la seconda in mezzo alla via a urlare e insultare il mio prossimo. Lo so perché questo sì mi è capitato, e ho scelto di andarmene. Non sarei sceso dall’auto per andare a insultare dal finestrino il mio avversario, né tanto meno l’avrei tirato fuori dalla sua auto con la forza. E se mi fossi trovato nei suoi panni, non mi sarei fatto trascinare fuori, avrei bloccato le porte e sarei ripartito appena possibile. Oppure, forse, sarei sceso non appena avessi visto che faceva la stessa cosa anche l’altro, cercando di evitare il contatto, tenendo una distanza di sicurezza. Ma qui entriamo già nella speculazione pura.
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“E se l’altro…?”. E’ la domanda che ci poniamo tutti, noi marzialisti, almeno alle prime armi. Poi, smettiamo di formularla prima e anche di pensarla poi. Tanto è chiaro che non esiste nessuna pratica in grado di fornirti risposte preconfezionate buone per ogni possibile aggressione che “l’altro” può imbastire nei tuoi confronti. E’ uno degli insegnamenti più preziosi che l’arte marziale può fornire in una valuta spendibile in ogni circostanza della vita quotidiana.
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Il filmato, uno dei tanti che è possibile recuperare in Rete, mostra una situazione possibile, abbastanza tipica forse. L’aggredito sembra conoscere gli aggressori, è lì con la sua ragazza e viene impietosamente provocato e picchiato da più persone, persino da chi a tutta prima sembra arrivare in suo soccorso. Nel frattempo sullo sfondo si vede di tutto: passanti che passano, signore che escono di casa cariche di non si sa cosa, spettatori che si fermano e si godono la scena. Nessuno, comunque, interviene. MI chiedo: cosa avrebbe dovuto fare l’aggredito? probabilmente quello che ha fatto: limitare i danni. Forse poteva far allontanare subito la sua ragazza, prima che ci andasse di mezzo, ma per il resto si è protetto e non ha reagito. Aveva una sola alternativa. Scappare non di certo, perché l’avrebbero inseguito e avrebbe lasciato lì da sola la ragazza. L’alternativa vera sarebbe stata alzarsi e aver ragione dei suoi aggressori.
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Dunque la domanda è: sei in grado di mandare a terra due o tre persone in quelle condizioni? Se la risposta è no, quello che ha fatto lo sfortunato ragazzo aggredito in quel modo era probabilmente quello che doveva fare. Si noti che non ha alcun atteggiamento aggressivo, restando seduto si protegge la schiena, si ripara come può con braccia e gambe senza accennare il minimo gesto offensivo. E se la cava con un po’ di sangue dal naso e l’orgoglio ferito. Avrà tempo dopo per formulare delle risposte, se lo vorrà, perché la difesa da un’aggressione non si risolve necessariamente, e forse nella maggior parte dei casi, con una controaggressione più forte ed efficace.
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E questo valga per tutte le situazioni nelle quali ognuno di noi si trovi nella circostanza di sentirsi aggredito. Che siano pugni e schiaffi, oppure urla o anche più semplicemente parole e atteggiamenti che ci feriscono.
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Botte da orbi, letteralmente, significa menar le mani alla cieca, o quasi. Saper combattere, invece, significa usare l’intelligenza, anche a costo di lasciar perdere e andarsene, oppure prenderle, quando non c’è altro da fare e prenderle è sostenibile.