Dunque vediamo, nei decenni ho incrociato parecchie arti marziali: Karate Shotokan, Kung fu Hung Gar, Shao Lin, Tan lang, Choy Lee Fut, Win Tzun e Tai Chi Chuan. Una collezione ormai comune tra i praticanti visto che i monocolori sono passati di moda. Fatevi un giretto su Google per credere. Bene. Tutti, dico tutti, sostengono di insegnare il modo “giusto” di muoversi. E il bello è che tutti, dico tutti, hanno ragione.
In fondo come si definisce il modo “giusto” di muoversi? In base a un unico criterio universalmente condiviso nell’ambiente: l’efficacia. E quando un movimento è efficace? quando, date determinate condizioni, raggiunge l’obiettivo. Per questo hanno tutti ragione: tutti stabiliscono condizioni e obiettivi per i quali il modo di muoversi che insegnano è quello efficace.
Non è solo questione di furbizia, si chiama “specializzazione”. Supponiamo che le condizioni siano: un solo avversario, davanti a te, chiara intenzione di attaccarti facendoti del male, nessuna possibilità di fuga o di aiuto, non previsto il disimpegno, niente armi e mani nude, terreno piano e privo di ostacoli, corporatura di entrambi nella norma, condizioni di salute normali. Obiettivo: fargli male prima che lo faccia a te. Con queste coordinate i movimenti “efficaci” si riducono enormemente. E l’insegnante ha buon gioco nel trattenerti per degli anni nell’affinarli oltre ogni grado di sofisticazione.
Oggi, mentre salgo le scale, mi accorgo che il mio bacino per muovermi deve fare cose che su un terreno piano non ha bisogno di fare. Bene. E perchè mai se occorre difendersi devo supporre che il terreno sia sempre piano? o che chi minaccia sia solo? o che io sia già sicuro che vuole farmi del male? o che io non preferisca prendere un paio di sberle e mollarla lì piuttosto che finire con un buco nella pancia? o che non sia meglio darsela a gambe? o che io debba difendere la pelle di mia figlia a costo di rischiare la mia?
Insomma, la vita non è il ring e nessuna forma di combattimento creata e praticata nelle palestre ha qualcosa a che vedere con la capacità di difendersi dai pericoli che il mondo ti mette davanti quando meno te l’aspetti, quando non sei in condizioni ottimali per affrontarli, quando pensi che il pericolo che si presenta non sia affatto un pericolo, quando pensi che ciò che ti si presenta sia un pericolo e invece non lo è per nulla, quando in pericolo non sei solo tu ma anche chi ti sta vicino, quando sei tu a mettere in pericolo l’altro, quando il pericolo sta nel modo in cui ti difendi dal pericolo.
Allora il movimento. Quando è efficace un movimento? Quando mi permette di muovermi in ogni condizione. E a prescindere da un obiettivo prestabilito. I movimenti specializzati sono utilissimi per svolgere compiti specializzati. Sapersi difendere, al contrario, non è una competenza specialistica. Come non lo sono tutte le capacità che hanno a che fare con la saggezza dello stare al mondo.
Dic 10, 2011 @ 23:07:04
Viene da chiedersi allora se le competenze specialistiche siano mai efficaci…o se esistano al di fuori delle aule formative o dei luoghi di allenamento sportivo.
Dic 11, 2011 @ 14:41:51
Grazie Luca, mi permetti di chiarire che non ho nulla contro gli specialismi. Anzi. Senza specialismi non avremmo l’Opera, i grandi concertisti, i trapianti di organi, le superprestazioni sportive, tutte cose di cui bearsi, godere o semplicemente avvantaggiarsene anche se solo una minoranza dell’Umanità li produce.
Ma il punto è proprio questo. Se una cosa la devo fare io, in prima persona, non ha senso che mi infili in un percorso da specialista se non lo sono. Dunque, o lascio che mi difendano i corpi speciali oppure cerco di capire cosa io posso fare da me. E quello che posso fare da me deve potermi servire tutti i giorni a partire dalle mie possibilità.
Dunque certo che le competenze specialistiche sono efficaci. Se sono in mano agli specialisti nel campo di applicazione proprio degli specialisti…
Dic 12, 2011 @ 16:28:01
seguo il tuo ragionamento anche se mi resta oscuro un punto. Non so se il problema che tratti si definisca interamente nello specialismo. Comunque in alcune aree di specialismo si parte da una base generale che poi viene affinata. Se, per esempio, io segno sempre da tre punti nel basket senza avversario non è per niente sicuro che ci riesca almeno per il 30% delle volte con l’avversario in faccia. Se segno per il 30 % delle volte con l’avversario in faccia è sicuro che io almeno l’ottanta per cento da tre lo possiedo, senza avversari. Se imparo a pestare ben bene una persona pericolosa in condizioni estreme (sperimentali diremo) è molto probabile che io riesca a compiere con molto più agio quel gesto in condizioni meno estreme. il problema è il livello di complessità che metto in gioco nella elaborazione di una situazione sperimentale e la relazione fra le variabili che metto a fuoco e la pratica quotidiana
Dic 12, 2011 @ 18:19:28
Ottima obiezione Gianluigi. Poggia però su una premessa che non mi sembra completamente corretta. Nella difesa le condizioni estreme non sono quelle che tu definisci “sperimentali”. Quelle estreme sono quelle quotidiane.
Sul ring, ogni tipo di ring, le condizioni sono estremamente semplificate. Prima di tutto sai quando inizia e quando finisce il momento delle botte. In secondo luogo hai un arbitro che ti ferma o ferma il tuo avversario se esageri o esagera o ci sono delle scorrettezze. Ci sono poi delle regole condivise che non possono cambiare in corso d’opera. Lo scopo è chiaro sin dall’inizio ed è condiviso dai combattenti. Ci sono delle cose permesse e delle altre totalmente vietate e la cosa vale per entrambi. La stazza dei combattenti è simile. Le condizioni di salute devono essere buone se non ottime. Il terreno di lotta è ben delimitato, liscio, spesso morbido e comunque privo di ostacoli. La partita si gioca a due e non può comparire d’improvviso un terzo (tranne nel Wrestling che non è un combattimento ma una commedia) a prendere le difese di uno dei contendenti. Sei solo a combattere e non devi difendere assieme alla tua incolumità quella di tuo figlio vicino a te. Infine, una volta terminato il combattimento, non rischi se hai vinto di essere aspettato in qualche angolo buio dai fratelli/amici/colleghi dello sconfitto smaniosi di vendicarlo….
Il paragone con il basket probabilmente non funziona perchè lì hai immaginato una situazione con avversari e una senza. Ma la difesa è sempre con degli avversari…
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Dic 12, 2011 @ 19:27:46
Dic 14, 2011 @ 13:06:30
Da quando un vecchio saggio (quanto vecchio e quanto saggio non lo dico) anni fa mi fece notare che qualsiasi combattimento é dettato da regole, qualsiasi “scontro” è dettato da limiti, da condizioni, piú o meno implicite, e che chi vince é quello che si adatta meglio a questi “paletti”, non riesco a vedere piú con gli occhi (innocenti) di prima qualsiasi tipo di combattimento.
Tornando on topic, specializzarsi s¡ o specializzarsi no ?
A mio parere come al solito bisogna raggiungere un buon equilibrio.
Puntando tutto su una specializzazione, che sia nel combattimento come nella medicina o nello sport, significa essere dei massimi esperti in poche determinate situazioni e fare la figura degli imbecilli in molte altre.
Essere sempre dei “generici” puó significare essere sei mediocri in tutto.
A mio parere uno dovrebbe approfondire (specializzarsi) senza allo stesso tempo mettersi i paraocchi.
A me piace pensare, per esempio, di aver cercato di approfondire (anche se poi uno scopre che non é vero :D), cercando allo stesso modo di non trascurare gli altri sistemi.
Uno impara anche ad ascoltare guardando, a vedere ascoltando….
Vorrei continuare il discorso, ma sono in un internet point e mi sta scadendo il tempo…. torno sulla spiaggia a prendere un po’ di sole e a praticare 😛
Dic 14, 2011 @ 14:44:25
Certo Fabio, equilibrio tra mediocrità e ossessione. Ma per restare “on topic”, il discorso deve tornare all’oggetto autodifesa. Che non è ció che chiamiamo “combattimento” proprio perchè NON ha un sistema di regole condiviso, precedente il combattimento e presidiato da un terzo. Combattimento e autodifesa sono radicalmente eterogenei tra loro.
Con questo non voglio dire naturalmente che gli anni di combattimento, e di arte marziale in generale, non sono serviti a nulla nel farmi sentire piú sicuro. Tutto il contrario. Mi sento sicuro nel corpo che sono anche grazie, e soprattutto, alla pratica marziale. Ma questo risultato dipende in larga misura dal non essermi mai dedicato all’affinamento di un ristretto numero di strategie, scartando tutte le altre perchè “inefficaci”. Per ognuno dei movimenti che abbiamo praticato insieme negli anni, Fabio, anche per quelli più strampalati e improbabili, riesco sempre più a immaginare condizioni che li renderebbero adeguati e possibili. E il mio corpo li sente e li riconosce.
È come per i processi evolutivi: un organismo non specializzato non è un essere che fa, male, un po’ di tutto. È un organismo capace di rispondere a condizioni ambientali diversissime tra loro, anche se non si è adattato perfettamente a nessuna di esse. Tipo l’Homo Sapiens, tanto per fare un esempio…
Ma che ci fai in un internet point. E, soprattutto, esistono ancora gli Internet Point…?