di Irene Auletta

Devo ringraziare per queste riflessioni il collega che di recente ha scritto un post sul suo blog, proprio per esprimere alcune sue considerazioni relative ad alcune caratteristiche legate al lavoro educativo e alle scelte di chi decide di praticarlo.

Ci sono immagini e definizioni che rimangono scolpite nella memoria e vanno ben oltre quello che intendeva chi le ha evocate o pronunciate.

Spesso, rispetto al lavoro educativo, ho sentito parlare di lavoro duro, di posizione di trincea e di straordinarie fatiche.

A volte, a fianco, ho raccolto anche sfumature di bellezza, di passione, di interesse.

Da quando ho mosso i miei primi passi professionali, sono stata affascinata proprio dalle ultime cose nominate unitamente ad una forte curiosità, ad una spinta verso una ricerca continua di significati e di senso e dalla consapevolezza che continuare a raccogliere sapere, anche studiando, è per me l’unico modo per continuare a produrlo. Ne sono testimoni i tanti educatori che ho incontrato sulla mia strada e che riconoscerebbero in queste parole alcuni miei antichi tormentoni.

Alcune considerazioni verso le professionalità educative, e certamente comprendo in questa gamma anche gli insegnanti, mi hanno sempre raggiunto con un effetto stonato, dandomi la sensazione di un discorso vecchio e da superare, per poter produrre una cultura dell’educazione che vada oltre gli stereotipi che tutti noi incontriamo quotidianamente.

Credo che rischiamo altrimenti di essere noi stessi vittime della cultura che condanniamo e valutiamo con uno sguardo severo.

Perchè abbiamo sempre così bisogno di sottolineare alcuni aspetti di fatica che, molto probabilmente, appartengono a gran parte delle professioni? Siamo sicuri di esserci liberati di quella cultura salvifica, un po’ buonista o riparatoria, di cui abbiamo letto tante volte e che  il sempre attuale articolo di Enriquez ci richiama alla memoria?

A volte ho molti dubbi e dopo tanti anni, mi sorprendo ancora di come, anche le nuove generazioni professionali, siano ancorate a vecchie immagini.

Ostinatamente continuo a sostenere, e spero ad insegnare, l’importanza di affinare le competenze e di rinforzare il proprio sapere per allargare lo sguardo, per andare oltre quel giudizio che pietrifica le possibilità dell’incontro e il riconoscimento delle molte sfumature del lavoro educativo.

Racconto la passione praticandola e il sapere esibendolo.

Mi piace, quando parlo del mio lavoro, parlare anche di divertimento, di scoperta, di curiosità e di bellezza.

Immagino che sia così per molti ma che ancora sia difficile narrarlo o, può essere, che io abbia avuto poca fortuna nell’incontrare storie differenti.

Mi piace quando, anche insieme ad altri colleghi, sento che riusciamo ad aprire nuove porte perché credo che il sapore frizzante dell’aria nuova sia la nostra vera possibilità.

Ci vuole davvero nuovo respiro per il pensiero.