domande a spillodi Irene Auletta

Ci sono domande che qualsiasi genitore con un figlio disabile ha incontrato un’immensità di volte e che, nel tempo, assumono una differente risonanza a seconda dell’evoluzione del percorso di ciascuno nell’incontro con la disabilità.

Che malattia ha? Ma perchè fa così? E’ già nato così? Capisce?

Sicuramente la lista potrebbe allungarsi arricchendosi di note folcloristiche che negli anni ho raccolto nei tanti aneddoti di padri e madri. Uno per tutti. In autobus.

Come ti chiami? Non me lo dici come ti chiami? Ti hanno mangiato la lingua?

Risponde la madre dicendo che lei il suo nome non lo sa dire.

La signora non è convinta e si allontana borbottando … insomma, rispondere è ancora un segno di buona educazione, no?

Tante volte, osservando scene analoghe è possibile chiedersi chi è veramente il disabile e quasi mai la mia risposta indica chi, visibilmente, ci si aspetta di riconoscere.

Non è facile capire cosa sta accadendo al proprio figlio e non sempre si riesce a rispondere, come si vorrebbe, anche perchè in tante occasioni la disabilità del figlio, agli occhi altrui, appare contagiosa e in più occasioni ci si ritrova a fare “piccole” precisazioni che hanno il sapore dei chiodi.

Qualche anno fa, in occasione di uno dei nostri molteplici ricoveri ospedalieri, un medico visitando mia figlia iniziò così, come altrettanto avevano fatto negli anni precedenti tanti suoi colleghi.

Signora, con questo problema alimentare è necessario fare molta attenzione, la malattia è seria. Lei è sicura di rispettare attentamente la dieta? Con questa postura, sua figlia avrebbe bisogno di fare tanta fisioterapia, ve lo hanno già detto? 

Poi dicono che i genitori sono aggressivi e poco collaboranti. Ma secondo lei, avrei voluto risponderle, in questi dieci anni come siamo sopravvissuti senza di lei?

Mando giù l’ennesimo boccone amaro e uso la mia pungente ironia che finora mi ha salvato dall’ulcera. Alle prime due domande la risposta è si e lo è anche alla terza, se sta per chiedermi se mi sono accorta che mia figlia è disabile!

Insomma, se è vero che le domande sceme e inopportune non si possono evitare, lo è altrettanto la necessità di imparare a proteggersi. Dopo lo sguardo che uccide e il respiro zen, cosa possiamo aggiungere?