Ci sono domande che qualsiasi genitore con un figlio disabile ha incontrato un’immensità di volte e che, nel tempo, assumono una differente risonanza a seconda dell’evoluzione del percorso di ciascuno nell’incontro con la disabilità.
Che malattia ha? Ma perchè fa così? E’ già nato così? Capisce?
Sicuramente la lista potrebbe allungarsi arricchendosi di note folcloristiche che negli anni ho raccolto nei tanti aneddoti di padri e madri. Uno per tutti. In autobus.
Come ti chiami? Non me lo dici come ti chiami? Ti hanno mangiato la lingua?
Risponde la madre dicendo che lei il suo nome non lo sa dire.
La signora non è convinta e si allontana borbottando … insomma, rispondere è ancora un segno di buona educazione, no?
Tante volte, osservando scene analoghe è possibile chiedersi chi è veramente il disabile e quasi mai la mia risposta indica chi, visibilmente, ci si aspetta di riconoscere.
Non è facile capire cosa sta accadendo al proprio figlio e non sempre si riesce a rispondere, come si vorrebbe, anche perchè in tante occasioni la disabilità del figlio, agli occhi altrui, appare contagiosa e in più occasioni ci si ritrova a fare “piccole” precisazioni che hanno il sapore dei chiodi.
Qualche anno fa, in occasione di uno dei nostri molteplici ricoveri ospedalieri, un medico visitando mia figlia iniziò così, come altrettanto avevano fatto negli anni precedenti tanti suoi colleghi.
Signora, con questo problema alimentare è necessario fare molta attenzione, la malattia è seria. Lei è sicura di rispettare attentamente la dieta? Con questa postura, sua figlia avrebbe bisogno di fare tanta fisioterapia, ve lo hanno già detto?
Poi dicono che i genitori sono aggressivi e poco collaboranti. Ma secondo lei, avrei voluto risponderle, in questi dieci anni come siamo sopravvissuti senza di lei?
Mando giù l’ennesimo boccone amaro e uso la mia pungente ironia che finora mi ha salvato dall’ulcera. Alle prime due domande la risposta è si e lo è anche alla terza, se sta per chiedermi se mi sono accorta che mia figlia è disabile!
Insomma, se è vero che le domande sceme e inopportune non si possono evitare, lo è altrettanto la necessità di imparare a proteggersi. Dopo lo sguardo che uccide e il respiro zen, cosa possiamo aggiungere?
Apr 07, 2013 @ 15:12:02
Io dopo tanti anni di viste dai cosiddetti ” luminari” preferisco starne alla larga. Cosa ne può saperne di mia figlia un medico più di me? Di me , che solo dal suo sguardo riesco a capire un suo piccolo malessere… Come posso fidarmi dei medici? Come posso credere nelle loro parole dopo che hanno quasi ucciso mia figlia quando ancora era dentro di me??? Scusate lo sfogo ma l’ argomento e’ una ferita aperta che non se si rimargera
Apr 07, 2013 @ 16:58:34
Le ferite rimangono ma forse si possono anche curare … con le parole e, a volte, anche con un bel paio di tacchi 😉
Apr 07, 2013 @ 16:07:50
Domande a spillo che richiedono giuste risposte di tacco… sui denti!
Apr 07, 2013 @ 16:59:14
perchè no? una taccata molto femminile!
Apr 07, 2013 @ 19:06:42
Devo dire sinceramente che con Alessio ho avuto la fortuna di trovare insegnanti alla scuola matrerna che hanno saputo spiegare ai compagni che in fono Alessio è come loro. Questi bambini ancora oggi quando lo vedono lo abbracciano con tanto affetto e ciò mi ripaga di tutte le domande cretine e apprezzamenti stupidi da parte di medici e gente che non capirebbe tra queste anche le insegnanti di sostegno che invece di aiutare ti parlano di tuo figlio come se ci vivessero sempre e sapessero come risolverti il problema. A queste persone darei molto volentieri una taccata
Apr 07, 2013 @ 21:20:35
io invece ho deciso che i tacchi me li tengo ai piedi……visto che cmq nn servirebbe a nulla…….anche io con la scuola medici e tanto altro ho dovuto mandare giù tanti bocconi……per superare tutto ciò ho imparato ad esorcizzare e riderci sù! e questo me lo ha insegnato propio mia figlia. nn sò se è
ignoranza ho autodifesa, mhaaa!!!!! cmq sia mi aiuta
Apr 08, 2013 @ 10:03:11
Concordo Anna, e l’immagine dei tacchi a spillo, anche ironizzando sulle “taccate possibili”, vuole essere anche un messaggio di leggerezza senza la paura di nominare le difficoltà. Poi, tutto ci che aiuto …. serve!!
Apr 08, 2013 @ 10:04:43
l’ultima frase era così…
Poi, tutto ciò che ci aiuta …. serve! ( i pasticci delle corse 😉 )
Apr 10, 2013 @ 11:14:23
di base…c’è tanta ignoranza…ma la cosa che forse mi ha fatto più male, negli anni, non è soltanto questa…sulla non-conoscenza è possibile lavorare, seminare, mettersi in viaggio…ma su chi, non sapendo, non sa di non sapere…e “pontifica”…forse è questa la cosa che, almeno a me, fa “più male”.
I medici sono una categoria mooolto “a rischio”, ma penso anche a chi fa il mio mestiere o lavori nell’educazione…non è che aver letto due libri su una sindrome, anche aver preso una laurea rende “sapienti”…no…e neanche, avvicinarsi con un atteggiamento “oracolistico”, come se una buona intuizione su un aspetto significhi avere il quadro migliore e “saperne comunque sempre”…su (sopra?) quella persona…insomma, sempre più urgente l’interrogarsi su un’educazione allo sguardo e al riguardo (appena riesco ad imparare la pubblicazione… metto sul Blog un post su un Seminario a cui ho partecipato proprio su questo argomento).
un grande saluto!
Apr 10, 2013 @ 18:01:51
Condivido …. nessuno è esente e, per chi vede, è necessario sostenere lo sguardo insegnando il riguardo. A presto con il materiale e un saluto a te!