di Irene Auletta

Ieri ho incrociato una giovane coppia che ha catturato la mia attenzione. Lei, con le braccia un po’ tese in avanti, sembrava avere tra le mani una bambola che invece, a guardar bene, era un neonato.

Al cinema, durante la visione di un film di animazione, di quelli che piacciono a bambini, ragazzi e adulti, un bambino piccolo si fa sentire con il suo pianto. Di certo non avrà avuto più di un anno.

In queste occasioni, lo ammetto, mi sento proprio di un’altra generazione e può essere che a peggiorare la situazione, ci si sia messa anche la mia scelta professionale e l’incontro con maestri e maestre, che mi hanno insegnato a guardare i bambini con uno sguardo di particolare attenzione.

La cosa che più mi colpisce è come, nel giro di non molti anni, i bambini siano diventati sempre di più “oggetti” da esibire e al tempo stesso, da portare con sè, in qualsiasi situazione quasi senza apparenti filtri. Sento raramente la domanda che interroga l’opportunità di una scelta o  il suo senso e sempre più spesso le motivazioni degli adulti mi pare che prendano il sopravvento.

Chissà quanti giovani genitori intravedono o intuiscono i numerosi fili rossi che collegano il gesto di oggi con il comportamento dei loro figli che dovranno gestire nei prossimi anni.

E vale per tutto. Per le scelte alimentari, l’abbigliamento e i luoghi da attraversare.

Schiacciati da un eterno presente abbiamo tutti bisogno, ogni tanto, di allargare lo sguardo e forse ultimamente, mi manca troppo spesso il respiro.

Mi volto, ti guardo e rido. Pensa che la mamma, in memoria di un bellissimo testo sulla salute del bambino, ha aspettato che avessi quasi quindici anni per farti mangiare la frutta secca!