di Irene Auletta

Ogni volta ci provo, mi impegno e ritento. Ma non c’è niente da fare, l’eccesso di convivialità, i ritrovi in grandi gruppi, lo “stare tanto insieme”, non fanno per me.

Poi però, proprio in questi giorni, mi sono chiesta se anche per me non valga la storiella della volpe e dell’uva.

Cioè, se mi fossa ritrovata in un gruppo di adulti, bambini e ragazzi, con una figlia diversa dalla mia, sarebbe cambiato qualcosa? Magari, in un’altra vita, anche a me sarebbe piaciuto scambiare chiacchiere al parchetto sotto casa, intrattenermi con le altre mamme davanti alla scuola, trascorrere fine settimana con altre famiglie permettendo ai nostri figli di giocare tutti insieme, inventandosi ogni volta, in posti nuovi, nuovi modi per stare insieme.

Chissà. Questa è una delle tante cose che non saprò mai anche se, a naso, ho qualche perplessità.

Però ogni volta ho la conferma di cosa mi rende l’esperienza ancora più insopportabile, proprio a partire da quella che è la mia realtà.

Sfilare quasi sempre sotto sguardi che ti inseguono, tollerare le solite domande di adulti e bambini, sentirsi sempre un pianeta altro. I ragazzi  per fortuna non si filano nessuno e quindi ci graziano! E ancora. Tollerare le frasette quasi sempre in falsetto, come quelle un po’ schiocchine che si utilizzano con i bambini piccoli, nel linguaggio dell’amore o con gli anziani non più tanto in sè.

Intendiamoci, a me queste frasette piacciono assai, ma se a pronunciarle sono appunto i protagonisti delle relazioni d’amore o di affetto, gli amici, i nonni. Altrimenti mi mandano al manicomio.

Facile a dirsi tutte le spiegazioni super razionali del caso e a darsi le varie motivazioni. Provate però a moltiplicare tutto, ma proprio tutto, per quasi quindici anni e poi provate a chiedervi quanto vi sentireste tolleranti e disponibili a comprendere che anche l’altro, ha le sue difficoltà.

Insomma, anche questa volta non esco dal garbuglio. Mi piacerà l’uva?