Finestra_aperta_Matisse_580

Prendere distanza dai gesti quotidiani. Allontanarsene un poco. Cercare di dimenticarli, o anche solo di farli uscire dagli occhi, dalle braccia, dalla punta delle dita. Giusto il tempo di quietarne la ripetizione automatica, di assopirne gli echi che si impossessano del corpo come nel Chaplin di Tempi moderni. Anche questo è la vacanza.

Che poi non è che stia per partire alla volta delle cascate Vittoria, a piedi, alla ricerca di Livingstone. Sempre lo stesso agriturismo, da dodici estati, stessa spiaggia, stesso mare. E stessi gesti quotidiani, sveglia, colazione, vestizione, creme solari, viaggio, parcheggio, colazione, mare, sole, riviaggio, preparazione pranzo, pranzo, pennica, scrittura, lettura, svacco, preparazione cena, cena, tv, letto.

Ma non sono gli stessi del resto dell’anno.
Cioè, sembrano gli stessi, ma non lo sono. Ed è sufficiente.
Le routine fanno parte della vita, va bene, ma il problema è da quanto durano e per quanto lo faranno. Anzi, neanche. E’ una questione di futuro anteriore: il problema è quanto saranno durate.
Fare le stesse cose ogni mattina da quindici anni è una cosa, sapere che fra ventanni le avrai fatte per trentacinque, è un’altra. E te lo devi pure augurare, perchè l’alternativa è peggio, molto peggio.
Il punto non sarà non avere abitudini, probabilmente. Per quanto le abitudini mi diano da sempre l’orticaria, ma cambiarle. Anche di poco. Almeno per un poco.
Quando torneremo, sarò pronto a indossare nuovamente quelle che sto lasciando, con un po’ più di respiro.