orco

Palpeggia bimba a Napoli, rischia il linciaggio

 

Intendiamoci, se vedessi un orco molestare mia figlia probabilmente gli salterei addosso. Anzi no, sicuramente. Probabile anche che gli farei molto male. E che se nessuno mi fermasse, forse, lo ucciderei.

C’è qualcosa di primitivo nell’ira e nella violenza che coltiva nell’animo. Lo so bene. L’Ira è, dei sette vizi capitali, quello che mi corrisponde di più. E’ un nemico pericoloso, sempre in cerca di alleati che la giustifichino. Vuoi mettere? un orco che molesta tua figlia? se lo uccidi chi potrebbe darti torto?

Ma non potrei tollerare che qualcun altro mi affiancasse per darmi una mano. Che cazzo centri tu? l’ira è la mia, solo io posso decidere di valicare il limite e trasfigurarmi nell’orco che sto tentando di ammazzare. Tu, semmai, dovresti fermarmi. Ecco quello che dovresti fare: aiutarmi a non valicare quel limite. Fermami, bloccami, tirami una secchiata d’acqua, urlami nelle orecchie, insomma, impediscimi di fare quello che sto facendo. Altro che darmi una mano.

O magari no. Magari se qualcun altro tentasse di mettere le mani addosso all’orco insieme a me, trasformando il mio gesto in un linciaggio, mi troverei spinto a mollare l’orco e a mettere le mani addosso all’aggressore, per fermarlo io, visto che non è riuscito a fermarmi lui. Ecco, fermare il linciaggio. Questo potrebbe essere un modo per riorientare dentro di me l’energia che rischia di esplodere in violenza.

Ed è triste invece vedere che dei linciaggi, quelli veri, le cronache riportano solo tre protagonisti: il linciato, quelli che partecipano al linciaggio e quelli che assistono senza prendervi parte. Ogni violenza di massa, ogni progrom, ogni pulizia etnica, in fondo, poggiano sull’assenza di questa reazione: provare a fermarle.