discorso pubblico

Questo post di un mio amico, Giuseppe Pinto e a seguire la lettura della lunga riflessione di Wu Ming sul Movimento 5 stelle e la sua natura, mi hanno spinto a una riflessione sulla responsabilità, intesa non come colpa, ma come virtù.

Giuseppe ha parole piuttosto graffianti nei confronti di chi si fa coinvolgere in questi giorni nel dibattito sul da farsi, dopo il risultato elettorale. Paragona i discorsi che si intrecciano all’abitudine di discutere della Nazionale di calcio nei bar come se tutti fossimo dei commissari tecnici. Un discorrere saccente e del resto irresponsabile, che tanto non è nei bar che si decide la formazione, però ci si predispone al successivo e liberatorio “l’avevo detto”.

C’è qualcosa di vero in quel che dici, Giuseppe. Sopratutto perchè dietro i discorsi pubblici c’è sempre una serie di rimozioni che si consolidano proprio a causa del gran vociare. E anche perchè il discorso pubblico tende sempre a orientarsi attorno a due tre idee guida, solitamente superficiali, che impediscono ogni approfondimento.

Come dice Wu Ming nel suo intervento, sguardi differenti sono impediti o osteggiati alla radice. Domande di fondo, stigmatizzate come seghe mentali dei soliti intellettualoidi. Reazioni di questo tipo, di matrice inequivocabilmente di destra, sdoganate come giusta indignazione popolare.

C’è qualcosa che non mi torna però caro Giuseppe e caro Wu Ming. Figurarsi se il sottoscritto pensa che approfondire le analisi sia uno sterile esercizio da saccenti che bisognerebbe una volta per tutte mandare a lavorare. Mi sono buttato a capofitto nelle vostre parole seduto sulla panchina del parco a godermi questo primo sole preprimaverile con mia figlia appena tornata da scuola. Ho sussultato leggendo che considerare il conflitto sempre e comunque un problema creato dall’altro è di destra. Lo vado insegnando da anni in ogni luogo, compresi quelli educativi pieni di benpensanti di sinistra. E mi sono contorto nel cogliere il rischio di trasformare la responsabilità in un’arma contundente pronta a colpire chiunque non se la assuma.

Ma.

Ma ho capito che le dotte analisi mi danno fastidio non quando sono dotte, ma quando restano analisi.

Se mi avventuro nell’arena del discorso pubblico, sento il dovere di dire cosa penso si debba fare, verso dove andrebbero orientate le scelte, quali rischi è necessario assumersi, quali problemi affrontare e in che ordine. Se non lo faccio, arrivare nel bel mezzo della piazza urlando “qui fa tutto schifo” o appoggiarsi a un lampione tenendo un lungo sermone sulle contraddizioni, sui presupposti storicoletterariofilosoficosocioantropologici della situazione attuale e sull’intero scenario di falsi miti  prodotti dalle ideologie imperanti, sono sostanzialmente la stessa cosa.

Con la differenza che chi arriva dicendo “qui fa tutto schifo” si porta dietro milioni di persone e il tizio appoggiato al lampione resta solo. Anche se magari, sul piano delle analisi, la penso come lui.

Caro Giuseppe e caro Wu Ming, io voglio analisi profonde, articolate e del tutto non ovvie. Ma voglio anche sentirmi e sentir dire “allora proverei a far così”. Anche a costo di dire immani idiozie che rischiano di essere smentite nel giro di pochi giorni. Perchè nel discorso pubblico, la responsabilità da assumersi e quella di aver avuto torto scegliendo.