Impurità preziose

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Mi sto chiedendo in questi giorni cosa insegni ciò che ci sta accadendo, sospesi come siamo in un vuoto di papi, governi, presidenti e, sopratutto, di senso. Cosa insegni e, quindi, cosa sia possibile imparare. Possibile, non obbligatorio, ovvio: si impara solo se si vuole. Possibile e che tocca alla responsabilità di ognuno, eventualmente, cogliere.

Cosa ci chiede di capire, ad esempio, questa voglia diffusa di purificazione che sembra pervadere ogni discorso pubblico? Probabilmente e anzitutto che c’è questa voglia diffusa di purificazione. Diffusa, dilagante e prepotente. Certa della sua legittimità perchè in giro è “tutto marcio”. E quando tutto è marcio, si sa, occorre mondare. Che sta per pulire, ma anche creare un mondo, nuovo e vergine, ovviamente.

Dunque tutti a casa, dove per “tutti” si intende gli impuri, i compromessi, i contaminati. E’ un bel modo di rappresentarsi la vita e la storia, deve esserlo se periodicamente ricompare seducendo milioni di persone. Un modo semplice semplice che permette di stabilire uno spartiacque chiaro: di qua i puri, di là gli impuri. E anche di stabilire le linee di azione: nessuno contatto tra puri e impuri, perchè ovviamente l’impurità è contagiosa e il rischio di contaminazione altissimo.

Come tutte le visioni del mondo semplici, in realtà basta spingere di un centimetro più in là il ragionamento per veder comparire un bel po’ di problemi. Chi è che stabilisce i criteri per decidere chi siano i puri? Di solito qui ci si avvita. Da noi ci sono quelli che da vent’anni considerano “puro” chiunque non abbia ricevuto una condanna definitiva da un tribunale anche se ha stuprato un’anziana signora davanti alle telecamere di sorveglianza, perchè è tutto un equivoco (o un complotto che fa lo stesso). Sempre da noi ci sono poi quelli che per cui è impuro chiunque non la pensi come loro. Compresi quelli tra loro che avessero, mal gliene incolga, qualche dubbio che presto o tardi li trasformerà per sua natura in impuri e dunque respinti al di là del confine. C’è un bisogno potente di semplificarsi la vita in tutto questo. Bisogno comprensibile, del resto. Occorrerebbe però capire che è un bisogno molto pericoloso.

Per imparare qualcosa di nuovo su ciò che accade, innanzitutto, serve non dimenticare ciò che dovremmo aver già imparato da quello che è già accaduto. Se considerarsi innocenti a oltranza porta a giustificare ogni tipo di corruzione, la divisione del mondo in puri e impuri ha prodotto sempre e ovunque bagni inenarrabili di sangue. Dunque occorre imparare a cercare sempre un limite da una parte e ad accettare che il desiderio di purezza è solo una fantasia infantile che da adulti diventa patologica sul piano psicologico e criminale su quello sociale.

Cosa insegna dunque quello che ci sta accadendo in questi giorni di vuoto sia politico che di senso? forse quello che ho capito vedendo ieri sera Lincoln, di Spielberg.

Thaddeus Stevens, un deputato repubblicano radicale che da vent’anni si batteva per l’eguaglianza assoluta tra tutti gli uomini a qualunque razza appartenessero, durante il voto sul tredicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che aboliva la schiavitù, accetta di rinunciare a quel principio “accontentandosi” della formula più moderata che sanciva l’eguaglianza di ogni razza davanti alla legge. Ovviamente accusato di tradimento dai suoi. Grazie a questa scelta l’abolizione passa (per due soli voti ricorda il film. Comprati, per giunta) diventa parte stessa della Costituzione. Ci sarebbero poi voluti altri cento anni per passare dall’abolizione della schiavitù all’acquisizione dei diritti civili, ma senza quella scelta e senza quel voto sarebbe andata molto ma molto peggio.

Ho imparato dunque che è ora di ridare dignità alla parola “compromesso”. Che vuol dire sì promettersi l’un l’altro qualcosa, ma anche e sopratutto cercare di capire tra le promesse fatte a se stessi, quelle che è possibile mantenere, sapendo rinunciare a quelle impossibili che per essere mantenute aperte conducono verso un destino inevitabile: non mantenerne nessuna.

Etica del discorso pubblico

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Questo post di un mio amico, Giuseppe Pinto e a seguire la lettura della lunga riflessione di Wu Ming sul Movimento 5 stelle e la sua natura, mi hanno spinto a una riflessione sulla responsabilità, intesa non come colpa, ma come virtù.

Giuseppe ha parole piuttosto graffianti nei confronti di chi si fa coinvolgere in questi giorni nel dibattito sul da farsi, dopo il risultato elettorale. Paragona i discorsi che si intrecciano all’abitudine di discutere della Nazionale di calcio nei bar come se tutti fossimo dei commissari tecnici. Un discorrere saccente e del resto irresponsabile, che tanto non è nei bar che si decide la formazione, però ci si predispone al successivo e liberatorio “l’avevo detto”.

C’è qualcosa di vero in quel che dici, Giuseppe. Sopratutto perchè dietro i discorsi pubblici c’è sempre una serie di rimozioni che si consolidano proprio a causa del gran vociare. E anche perchè il discorso pubblico tende sempre a orientarsi attorno a due tre idee guida, solitamente superficiali, che impediscono ogni approfondimento.

Come dice Wu Ming nel suo intervento, sguardi differenti sono impediti o osteggiati alla radice. Domande di fondo, stigmatizzate come seghe mentali dei soliti intellettualoidi. Reazioni di questo tipo, di matrice inequivocabilmente di destra, sdoganate come giusta indignazione popolare.

C’è qualcosa che non mi torna però caro Giuseppe e caro Wu Ming. Figurarsi se il sottoscritto pensa che approfondire le analisi sia uno sterile esercizio da saccenti che bisognerebbe una volta per tutte mandare a lavorare. Mi sono buttato a capofitto nelle vostre parole seduto sulla panchina del parco a godermi questo primo sole preprimaverile con mia figlia appena tornata da scuola. Ho sussultato leggendo che considerare il conflitto sempre e comunque un problema creato dall’altro è di destra. Lo vado insegnando da anni in ogni luogo, compresi quelli educativi pieni di benpensanti di sinistra. E mi sono contorto nel cogliere il rischio di trasformare la responsabilità in un’arma contundente pronta a colpire chiunque non se la assuma.

Ma.

Ma ho capito che le dotte analisi mi danno fastidio non quando sono dotte, ma quando restano analisi.

Se mi avventuro nell’arena del discorso pubblico, sento il dovere di dire cosa penso si debba fare, verso dove andrebbero orientate le scelte, quali rischi è necessario assumersi, quali problemi affrontare e in che ordine. Se non lo faccio, arrivare nel bel mezzo della piazza urlando “qui fa tutto schifo” o appoggiarsi a un lampione tenendo un lungo sermone sulle contraddizioni, sui presupposti storicoletterariofilosoficosocioantropologici della situazione attuale e sull’intero scenario di falsi miti  prodotti dalle ideologie imperanti, sono sostanzialmente la stessa cosa.

Con la differenza che chi arriva dicendo “qui fa tutto schifo” si porta dietro milioni di persone e il tizio appoggiato al lampione resta solo. Anche se magari, sul piano delle analisi, la penso come lui.

Caro Giuseppe e caro Wu Ming, io voglio analisi profonde, articolate e del tutto non ovvie. Ma voglio anche sentirmi e sentir dire “allora proverei a far così”. Anche a costo di dire immani idiozie che rischiano di essere smentite nel giro di pochi giorni. Perchè nel discorso pubblico, la responsabilità da assumersi e quella di aver avuto torto scegliendo.

Democrazia last minute

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Questo è un appello rivolto a quel 10% di persone che, pare, deciderà tra oggi e domani se e chi votare. Sembra anche che questi elettori “last minute” tendano a seguire i consigli delle persone che conoscono e delle quali hanno più fiducia. Dunque è per questo che scrivo e mi rivolgo a loro. Lo faccio cercando di smontare tre luoghi comuni molto diffusi.

a) TANTO NON CAMBIA NULLA. Che è come dire a che serve che io mi scomodi per andare a votare? SBAGLIATO. Non posso ovviamente assicurare che le cose cambieranno in meglio, ma quello che è certo è che possono andare peggio. Molto peggio. Dunque se il migliore dei casi è che restino come sono,  tanto vale andare a votare. E votare per lasciarci alle spalle questi ultimi vent’anni che sono stati sicuramente il peggio della nostra democrazia. Sino ad ora…

b) TANTO PEGGIO TANTO MEGLIO. Ovvero voto quelli che dicono le cose come stanno e non sono compromessi con il passato. So bene che non possono governare a sto giro, ma intanto andranno in Parlamento a fare un bel po’ di casino e impediranno un governo inciucio, cambieranno la legge elettorale, torniamo a votare e allora sì che cambieremo finalmente le cose!! SBAGLIATO ANCHE QUESTO: se si vogliono fare le rivoluzioni si tirano fuori le palle in prima persona, si imbracciano le armi e si va in piazza. Per lo meno è una roba più veloce. Ma fare i rivoluzionari per procura fa ridere non fosse che se dovremo tornare alle urne nel giro di un anno, ci sarà da piangere. Molto da piangere. E per tutti, a partire dai più deboli. Abbiamo bisogno di un governo stabile e di un governo che segni una differenza importante con i dodici anni che abbiamo alle spalle.

c) NON MI RAPPRESENTA NESSUNO. Ovvero non c’è un solo partito o candidato nel quale io mi possa riconoscere, VERO, e nessuno di quelli che andrà in Parlamento mi rappresenterà, FALSO. Quelli che siederanno in Parlamento rappresenteranno tutti, compresi  quelli che non hanno votato. Voteranno leggi, governi, riforme, magari anche quelle costituzionali, e lo faranno in nome del Popolo Italiano. In democrazia non si può scegliere se essere o meno rappresentati, MA DA CHI. E questo povero Paese ha bisogno di essere rappresentato da qualcuno che sia meglio del peggio che ha nelle sue viscere. Almeno un po’.

Dunque, e questo è davvero il mio ultimo accorato appello, andiamo a votare e votiamo per evitare di affossare il nostro prossimo futuro.
Igor Salomone

Voto Partito Democratico perchè

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ElezioniPolitiche2013

 

Innanzitutto perchè mi sono chiesto cosa vuol dire “votare”. Me lo sono ri-chiesto, in realtà, e penso sia una domanda che ognuno dovrebbe porsi prima di chiedersi “per chi” voterà.

Votare in una democrazia parlamentare, e la nostra democrazia è questo finché sarà in vigore la nostra Costituzione, è l’atto attraverso il quale ogni cittadino-elettore sceglie i propri rappresentanti in Parlamento. Quei rappresentanti avranno essenzialmente due compiti: legiferare e scegliere chi governerà la nazione. A partire da ciò, si aprono immediatamente due scuole di pensiero: l’elettore sceglie in base a chi rappresenta meglio i propri interessi o gli interessi generali? Io ho sempre votato seguendo la seconda visione della democrazia. E lo farò anche questa volta.

Ovviamente si può sbagliare la scelta, accade che i rappresentanti non li scegli tu ma le segreterie dei partiti, che anche se li scegli tu poi fanno quello che vogliono loro, che si facciano corrompere, che pensino ai loro di interessi e non ai tuoi o a quelli di tutti. Ma questa é la politica, che da quando ero bambino mi sento ripetere “é una cosa sporca”. Dunque da circa cinquant’anni. E non potrebbe esse diversamente, chi lo crede si illude.

Governare significa muovere immense risorse, dunque é fisiologico che chi le muove finisca col restare impigliato nei meccanismi di distribuzione traendone vantaggio. Il tema non é eliminare corruzione e ruberie eleggendo le persone “giuste”. Il tema é sostenere i meccanismi che riducano il fenomeno tenendolo sotto controllo ed evitando che faccia crollare il sistema. Per questo la democrazia che, per dirla con Churchill, fa schifo, é comunque meglio di tutti gli altri regimi politici sperimentati, che fanno decisamente più schifo perchè non hanno alcun sistema di controllo interno.

Detto questo, il voto é anche assunzione di responsabilità individuale su un bene collettivo: la democrazia, appunto. Responsabilità alla quale non possono sottrarsi neanche quelli che votano per sostenere i propri interessi. Ed é questa responsabilità che voglio convocare alla vigilia delle elezioni.

Prima di esprimere il proprio voto, dunque, chi pensa di farlo per esprimere la propria protesta, sappia che il voto NON serve a questo. L’elettore che vuole protestare ha tre possibilità: non recarsi alle urne, votare scheda bianca, annullare la scheda. Se vota invece qualcuno SCEGLIE, e se ne deve assumere la responsabilità.

Inoltre, qualunque elettore abbia già votato una volta, porta con sè la responsabilità delle sue scelte precedenti. Votare dicendo che tutto è tutti fanno schifo senza formulare un minimo di autocritica sulla parte sia pur minima giocata nel mettere quei “tutti” li dove sono, è indice sicuro di una profonda immaturità democratica. Tutti hanno diritto al voto, anche se democraticamente immaturi, questo è il valore della democrazia. Ma il diritto a un diritto non cancella il dovere di crescere esercitandolo.

Detto cosa vuol dire per me votare, non resta che dire perché voterò Partito Democratico. Voterò Pd perché:

A) perché il PD, pur essendo compromesso all’interno di un sistema compromesso, ha in sè gli anticorpi per tenere sotto controllo le storture del sistema riportandole entro confini tollerabili. E questi anticorpi si chiamano: idee forti e condivise sul mondo e sulle  possibilità di migliorarlo, decine di migliaia di persone che lo costituiscono e che lo fanno vivere con le quali in genere condivido molti valori e molto sentire pur in presenza di tante differenze che sono del resto un’altra ricchezza, una storia di radicamento  territotiale e di pratica sociale che nessuna altra realtà politica vecchia o nuova si sogna.

B) voglio che il 26 febbraio ci siano le condizioni per formare un governo e che questo governo abbia una maggioranza adeguata per poter governare. Condivido diverse cose che dicono Ingroia o Grillo, ma per governare, piaccia o meno, ci vogliono alleanze sufficientemente ampie per formare un governo e nè Ingroia nè Grillo sembrano minimamente propensi a ipotizzare di farvi parte

C) non penso più da molti anni che il voto possa aiutarmi a realizzare qualche sogno, ma voglio che mi liberi da un incubo. L’incubo sono i vent’anni passati che hanno tirato fuori il peggio da questo Paese e dai suoi cittadini. Voglio che ci sia una svolta in Italia. Ma le svolte si compiono solo in due modi. Il primo è una rottura rivoluzionaria, che però non mi pare sia all’ordine del giorno e, del resto, non la trovo auspicabile perchè comporta enormi tragedie, ben peggiori di quelle che i più continuano a lamentare. La seconda è una svolta graduale che implica avere come alleati pezzi significativi del vecchio mondo che vogliamo trasformare. Ovviamente è questa seconda opzione che scelgo, non credo alle logiche tutti a casa e ricominciamo da capo che hanno esiti inevitabilmente violenti. Voto Pd dunque perchè contiene in sè tanto pezzi del mondo che vogliamo lasciarci alle spalle, quanto di quello che vogliamo costruire. Ed è l’unico che può condurre questa transizione, perchè è nato appositamente con questo scopo.

Certo, poi c’è Sel che è nella coalizione con il Pd e votandola voterei anche il governo con il Pd. Ma qui ci sono in gioco differenze ideali: Sel ha un ruolo importante perchè testimonia un’anima che nel Pd, o nel suo schieramento, non può mancare. Ma rappresenta coerentemente la parte ancora profondamente ideologizzata della sinistra italiana, e a me le ideologie hanno sempre fatto venire il prurito…

Tutto ciò non significa naturalmente né che io “creda” nel PD o che mi ci identifichi. Ma non significa per questo che mi faccia vomitare e però magari lo voto per mancanza di alternative. Non sono neppure così ottimista che se vince e governa riesca a fare quello per cui lo voto. Ma lo voto perchè ci provi. E nessun altro può farlo.

Questo è quanto. Domenica saprò cosa fare. E me ne assumerò pienamente la responsabilità

Infogames

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Call center. Luogo immaginario accessibile per via telefonica. Con buon impegno e dopo un percorso estremamente impegnativo tra scelte multiple, cancelletti, asterischi, linee che cadono, è talvolta possibile conferire con un essere umano che, quasi certamente, ti spiega come fossi un bambino che hai sbagliato strada, mandandoti da un’altra parte. Il che, in soldoni, significa tornare ai blocchi di partenza e ricominciare tutto da capo. Sembrerebbe un videogame a livelli crescenti di difficoltà, ma più che altro è la versione telefonica degli uffici di qualsiasi mostro burocratico.

Per lo meno non ti muovi da casa tua.

Ma l’aspetto più interessante, sul piano antropologico naturalmente, è cosa l’umano eventualmente raggiunto di solito dice dell’umano che avevi raggiunto in precedenza: che ti ha detto cose sbagliate. Ho avuto la fortuna di assistere al top level di questo sport estremo quando un terzo umano, dopo aver liquidato i primi due in modo sbrigativo, mi ha rassicurato con voce ferma, dicendo che la sua versione era quella giusta. Rassicurato?
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Del resto è la delocalizzazione bellezza. Se il primo umano è in un call a Roma, il secondo a Torino e il terzo risponde da casa sua, che gli frega a ognuno degli altri due? Certo, magari un filo di rispetto per chi lavora come te, anzi, fa il tuo stesso lavoro, non guasterebbe. Non guasterebbe neppure un rispetto ancor più esile nei confronti della mia intelligenza. Ma nessun criterio della custmer stisfaction comprende l’intelligenza dei comportamenti nei parametri di valutazione. Figuriamoci il rispetto.
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Dunque, chiami un call center, ti impegni in una corsa a ostacoli mozza fiato chiedendoti se inizi a pagare da quando parli o da quando ti risponde la prima voce registrata, arrivi infine e forse a parlare con un umano che quasi certamente è deficiente, nel senso che manca di qualcosa, sensibilità e informazioni innanzitutto, e te lo confermerà l’umano successivo. Nel frattempo pensi anche al modo schifoso di guadagnarsi malamente da vivere cui sono costretti i deficienti che ti trattano e si trattano l’un l’altro da deficienti e non puoi prendertela neppure con l’azienda che si è avvalsa dei call center perchè viceversa non sopravvivrebbe.
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Concludendo, senza call center non sopravvivrebbero le aziende, non lavorerebbe un sacco di gente e tu non sapresti dove sbattere la testa per un miliardo di cose di cui hai bisogno. Ma sopravvivere è vita?
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Cronache di ordinario sfacelo

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Il mio gestore telefonico mi ha chiamato per propormi una tariffa superagevolata. Sino al 50% in meno di quello che sto pagando attualmente. Figo! direte voi. Sbagliato. Mi ha chiamato perchè ho mandato la disdetta. E ho mandato la disdetta perchè dopo 12 anni con lo stesso gestore, pagavo il doppio di quelli che entrano oggi. Capitalismo? no, idiozia. Il primo che mi parla ancora di strategie client oriented, me lo cucino allo spiedo

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