Così sono i pregiudizi e gli stereotipi, passano di storia in storia e alla fine è difficile ritrovarne il punto d’origine. Le professioni che hanno come loro oggetto peculiare le relazioni educative e di aiuto, sono tra quelle fortemente prese di mira e non credo che questo accada per qualche sorta di maleficio ma proprio per la loro caratteristica pubblica e di grande esposizione collettiva.
Gli insegnanti aspettano solo la fine del mese e sono lì a scaldare il banco come i loro alunni.
Mi hanno sconsigliato di rivolgermi ai servizi sociali … sa com’è quello che si sente dire che poi quando intervengono le assistenti sociali i bambini vengono messi in istituto.
Certi medici dovrebbero fare i macellai … altro che curare le persone!
Insomma, chiunque si può divertire o amareggiare allungando la lista, ma stamane io ho voglia di fare un’altra parte. Non perchè io stessa non sia particolarmente severa verso tali professioni e quindi anche verso me stessa, ma perchè in molte occasioni credo di aver visto, vissuto e raccontato storie differenti e positive. Inoltre, le generalizzazioni le trovo molto spesso banali, noiose e ingiuste. Essere critici è una cosa, infangare, dar sfogo a luoghi comuni, esprimere polemiche sterili a oltranza è tutt’altro affare.
Mi capita spesso, per professione, di incrociare situazioni di grande sofferenza, di fatiche e di disagio e, tante volte, ho occasione di condividerle con colleghi alla ricerca di analisi e valutazioni che meglio possono adattarsi a quella storia peculiare. Non nego responsabilità ed errori anche da parte nostra, ma è altrettanto vero che raramente si ricevono riconoscimenti per quegli interventi che invece vanno proprio nella direzione giusta e che si configurano come reale aiuto alla persona incontrata, grazie alla competenza e professionalità degli operatori socioeducativi.
Penso a due mie colleghe assistenti sociali alle prese con una situazione assai complessa vissuta di recente. Decisioni da prendere, persone da accogliere e da consolare, emozioni da tenere sotto controllo, ansie da contenere e tanto dolore di contorno. Le guardo muoversi con tatto, lucidità, capacità di interrogare le opzioni possibili e il coraggio di assumersi la responsabilità di scelte non facili.
Vorrei immortalare quel momento per mostrarlo a coloro che dall’esterno sono capaci solo di sottolineare le mancanze e le difficoltà, ma riesco a trattenerlo solo nei miei occhi. Mi allontano dalla scena con un cenno di saluto, il più è fatto e fra poco quella situazione troverà un suo epilogo, permettendo a ciascuno di ritornare alla propria vita.
Avranno sentito la mia stima in quel frangente? Altrimenti, eccola, tutta per voi.
Mar 06, 2013 @ 16:30:52
Grazie Irene, era già arrivata tutta… Ma sentirlo con queste parole fa davvero bene al cuore!
Mar 06, 2013 @ 19:29:08
🙂
Mar 15, 2013 @ 21:19:36
Wow non poteva essere descritta meglio la condizione professionale di chi come me lavora nel sociale. Mi sono ritrovata in queste parole come succede da tempo nel leggere questo blog dove si intrecciano con profondità le esperienze personali, professionali, le emozioni, il cuore e la mente, grazie!.
Mar 15, 2013 @ 21:23:39
Anche a te grazie, per il rimando e per l’attraversamento del blog.
Alla prossima!