
di Igor Salomone
Cosa stiamo insegnando ai bambini in questi giorni tristi e surreali che stanno paralizzando le nostre città? Molti si chiedono cosa dovremmo dire ai figli, agli studenti, agli allievi per aiutarli a trovare un senso al senso di impotenza, di fatalità, di fragilità che pervade una vita pubblica dominata dai discorsi sull’epidemia come non ci fosse un domani. Ma il problema è un altro: cosa stiamo insegnando ai figli, agli studenti, agli allievi con le nostre azioni, indipendentemente da quello che vorremmo o dovremmo insegnar loro?
Che dobbiamo avere paura, ad esempio. Una paura illogica del tutto sproporzionata rispetto al pericolo reale. Rischiamo la vita ogni giorno per molte cose, ma evidentemente è inaccettabile rischiarla molto meno ma per qualcosa che non conosciamo. Abbiate paura dell’ignoto. Stiamo insegnando questo?
Che quando il nostro mondo incontra un pericolo collettivo ognuno deve pensare a se stesso e, al massimo, ai propri familiari. Dove sono finite le catene di solidarietà che partono a ogni terremoto, a ogni alluvione, a ogni carestia? Si vede che le calamità naturali e sociali fanno rimboccare le maniche solo se riguardano gli altri. Se riguardano te, si salvi chi può. Stiamo insegnando questo?
Che di fronte a un rischio collettivo dobbiamo sederci e aspettare che passi la nottata? Tutti a casa, tutti in attesa, tutti buoni e seguire le istruzioni. Salvo qualche chiacchiera nei bar, quelli rimasti aperti, giusto per criticare le misure governative perchè nessuno sa che pesci pigliare, però di sicuro sa che quello che fanno gli altri non va bene. Stiamo insegnando questo?
Ma sopratutto, cosa stiamo insegnano sulle epidemie? L’Umanità ci ha convissuto per migliaia di anni. Le affrontiamo periodicamente e periodicamente le sconfiggiamo uscendone più forti. Questa è Storia. Però ce lo dimentichiamo e ogni volta sembra un castigo di Dio che ci coglie di sorpresa. Anche questo stiamo insegnando?
Alla fine ognuno può insegnare quello che vuole, ciò che conta è che si assuma la responsabilità di quello che insegna con le proprie scelte e i propri comportamenti. Non sarà invece tollerabile svegliarsi fra qualche tempo e lamentare che i “ragazzi d’oggi” sono pavidi senza alcuna ragione, attendisti e fatalisti, sostanzialmente egocentrici e incapaci di misurare le cose con un respiro più ampio delle due settimane tra quella appena passata e quella che verrà. E non lo tollererò.
Mar 19, 2020 @ 16:29:47
Rifletto sulle tue parole Igor. Mi permetto di aggiungere un pensiero.
Prima che insegnare qualcosa, questo tempo ci sta inevitabilmente (in)segnando.
Credo, prima di ogni altra cosa, che quello che noi oggi chiamiamo “la nostra normalità” sia solo un mondo possibile, che abbiamo costruito, granello dopo granello, tempo dopo tempo.
E se ci accorgessimo che la normalità non è qualcosa a cui tornare ma qualcosa da ricostruire, proprio alla luce della nostra forma sociale?
Che rapporto abbiamo con le epidemie? Quanto desideriamo che questo mondo, che questa nostra esistenza sia antropocentrica e invece non lo è?
Probabilmente l’occasione surreale che stiamo attraversando ci racconta di noi e delle nostre possibilità molto più di quello che crediamo.
Credo che questo tempo ci stia parlando: a noi l’ascolto.
Mar 20, 2020 @ 11:06:42
Sono totalmente d’accordo con te Matteo. E credo che il nodo sia proprio cosa vogliamo imparare del nostro rapporto con le epidemie. Era un tema che avevo già affrontato tre decenni fa con l’epidemia di Hiv allora al centro dell’attenzione. Gli esseri umani sono globalizzati da sempre, non siamo mai stati capaci di insediarci in un habitat e restare lì. Pensa solo che siamo emersi nel corno d’Africa e da lì ci siamo messi in cammino per arrivare sino al nord in piena era gliaciale, ma ti pare…?
Quindi se siamo migranti da sempre, da sempre abbiamo a che fare con le epidemie. Poi il tutto è esploso con la nascita delle città e quindi delle civiltà. Non facciamo altro che risvegliare virus e combatterci. E fin’ora, occorre dirlo, abbiamo vinto noi, anche se spesso a caro prezzo.
In questi ultimi vent’anni di epidemie ce ne sono già state diverse, solo questa è diventata una pandemia scatenando quello che ha scatenato, credo che non saremo più gli stessi. Migliori o peggiori dipende da cosa decidiamo di imparare nel frattempo.