
di Igor Salomone
Ne stavamo parlando poco fa a tavola io e Irene. Non è la prima volta nella nostra vita che ci troviamo blindati: niente amici, niente ristoranti o aperitivi, tempi di lavoro risicati, preoccupazione quotidiana per la salute. Quella di nostra figlia. Abbiamo passato anni in queste condizioni. Quindi cosa c’è di nuovo in quello che stiamo attraversando in questo momento? Tutto.
Vivo, anche Irene, ma probabilmente chiunque, in un’atmosfera surreale di sospensione che non lascia presagire quando ne usciremo e, sopratutto, come ne usciremo. Le condizioni mutano con una rapidità incredibile. Quando è stata istituita la Zona Rossa nel lodigiano mi dicevo che non sarebbe stato possibile fare una cosa del genere sull’intera Milano. Non ho fatto a tempo a concludere il pensiero che la zona rossa si è estesa a tutta la Lombardia. Il tempo di ascoltare la notizia e a essere chiusa è l’intera penisola, isole comprese, come si dice. A questo punto l’orecchio è teso ad aspettare la prossima, che probabilmente sarà la chiusura dei parchi e delle attività produttive. Insomma, c’è sempre un peggio al peggio che la nostra immaginazione riesce a intravedere.
So bene cosa vuol dire. Abbiamo attraversato cinque anni in apnea travolti da un peggio peggiore che sostituiva in un lampo situazioni già al limite del pensabile e del sostenibile. Ma questa volta è diverso. Molto diverso. Questa volta non siamo soli.
Non è questione di godere cinicamente della sfortuna comune, non è questo il mio sentimento né quello di Irene. Non è ancora facile per me definirlo, è un sentimento sottotraccia che si sta facendo largo pian piano al di sotto dello sconcerto e della preoccupazione. Mi guardo in giro e vedo gente preoccupata come me, preoccupata anche di me e della mia vicinanza, come io lo sono della loro. Ma vedo anche persone che condividono il mio stesso problema. Indipendentemente da età, razza, colore, religione o condizioni economiche. Sembra che il coronavirus stia attuando l’articolo 3 della Costituzione più di qualunque altra esperienza dal dopoguerra in poi.
La solidarietà forse non è solo far attivamente qualcosa per chi ha bisogno di aiuto. Stiamo scoprendo, o per lo meno dobbiamo scoprirlo, che essere solidali significa anche solo proteggere gli altri dalle nostre azioni. E sta accadendo, lentamente magari per i ritmi del contagio, ma rapidamente se si tiene conto dei ritmi solitamente necessari per la maturazione collettiva.
Sì, questa situazione non assomiglia per nulla alle mille altre che ho vissuto nella mia vita. E’ totalmente nuova. E ha un sapore strano, tra l’amaro e il frizzante. Non ci sono nemici interni o esterni da combattere, c’è solo da imparare qualcosa sui nostri comportamenti. E, scusate se è poco, mi sembra una grande occasione. Non perdiamola andando dietro ai profeti di sventura, sempre pronti a cercar untori cui dar la colpa della propria inutile e patetica rabbia.
Rispondi