di Igor Salomone
Se qualcuno tocca mio figlio, lo ammazzo. Quante volte l’ho pensato? Quante volte l’abbiamo pensato. Chi non l’ha mai fatto, chi non è mai stato sfiorato da questo moto di rabbia interiore? Se c’è scagli la prima pietra. Nessuno? eppure di pietre ne stanno volando parecchie in queste ore, in questi giorni. Succede sempre così.
Violenza genera violenza. E, di solito, in quantità maggiore. Alcune persone di una determinata categoria compiono atti tremendi, tutte le persone di quella categoria vanno controllate perché potenzialmente pericolose. E’ normale, lo so. Ci vuole un attimo a scatenare in ognuno gli istinti più primordiali, me compreso. Ho fantasticato più volte di avere per le mani un ipotetico aggressore di mia figlia, almeno cinque minuti, prima di doverlo consegnare alla polizia. Mi sono sorpreso molte volte a sentire dentro di me il germe di una violenza inaudita. Non credo di essere sbagliato, è un istinto primario, è l’altra faccia della cura che non è fatta solo di gesti dolci, morbidi, accoglienti. E’ fatta anche di denti digrignati, urla, morsi indirizzati a chiunque si permettesse di maltrattare chi amiamo.
E’ l’istinto.
Per questo occorre metterci di mezzo la testa. Anche perché, una volta sfoderati, denti, unghie e pugni non si sa mai contro chi se la prenderanno.
Ci vuole un attimo per rendersi conto, usando la testa, che la conseguenza della nostra rabbia va contro i nostri stessi desideri. Ci sono rimedi peggiori del male perché contribuiscono a farlo crescere. E’ già accaduto con il DDT prima e con gli antibiotici poi: abbiamo scoperto a nostre spese che più aumentavamo gli uni e gli altri per sconfiggere zanzare e batteri, più zanzare e batteri si facevano furbi mentre noi ci indebolivamo. Perché con le telecamere da Grande Fratello orwelliano dovrebbe essere diverso? Più ne mettiamo, più la violenza si fa furba, modifica le proprie strategie, impara a muoversi nascondendosi, sviluppa la capacità di esprimersi in forme meno o per nulla riconoscibili.
Girano filmati terribili sulle violenze in alcune scuole dell’infanzia e in alcuni centri per disabili o pazienti psichiatrici. Tutti quelli che chiedono a gran voce, e ne comprendo profondamente i sentimenti, di mettere telecamere ovunque, dimenticano che quei video sono stati possibili perché nessuno sapeva delle telecamere. Ma alla lunga non puoi nascondere ai batteri che fai uso di dosi sempre più massicce di antibiotici…
Vogliamo prevenire le violenze oppure che i violenti imparino a esserlo in modo più sottile?
Non firmerò nessuna petizione, quindi. Credo che le videoriprese debbano restare strumenti nelle mani degli inquirenti da attivare su precise segnalazioni. Altrimenti il prossimo passo sarà chiedere di installare webcam anche nelle abitazioni private. Dopotutto è un dato ormai acquisito che il luogo nel quale si consumano le peggiori violenze contro minori, disabili, anziani, persone mentalmente disturbate (e donne), sono le mura familiari. A meno di non credere che noi siamo gli unici ad avere il diritto di maltrattare i nostri cari.
Per il resto occorre cambiare sguardo e riconoscere che aver cura di qualcuno produce in egual misura empatia e aggressività. Lo sappiamo tutti, dobbiamo solo smettere di negarlo continuando a fantasticare un mondo buono come Il Mulino Bianco. Buttiamo nella spazzatura, magari nell’umido perché si può certamente riciclare, l’ideologia del buon cuore e dei buoni sentimenti e ammettiamo che l’altro, quando ha bisogno di aiuto, spesso fa incazzare. E’ il primo passo per imparare a tenere sotto controllo la propria ira che, come tutti i vizi capitali, è sempre il prodotto di un eccesso di virtù.
Ed è anche il primo passo per chiedere che chi di cura si occupa per mestiere, venga formato a proteggere l’altro anche dai propri eccessi, imparando a controllare l’invadenza dei propri gesti, a chiedere aiuto al collega o a fornirglielo se è il momento di fermarsi o fermarlo, a fare un passo indietro quando è necessario.
Certo, per tutto questo occorre tempo e denaro. Ma probabilmente meno di quanto ne occorrerebbe per trasformare ogni luogo della cura nella peggior edizione del Big Brother sia mai andata in onda.
Feb 09, 2016 @ 13:53:29
“Proteggere l’altro dai propri eccessi”, utilizzerò questo tuo post con i genitori perché proprio nella riunione di sezione di ieri abbiamo incontrato questo problema, sotto un’altra veste meno violenta ma pur sempre eccessiva: quella della iper preoccupazione della sofferenza dei figli a scuola e nella scuola dell’infanzia. Genitori preoccupati perché occasionalmente il gruppo di coetanei esclude il proprio figlio dal gioco… perché per un giorno si è annoiato o non è arrivato a scuola con il sorriso a trentadue denti o al ritorno da scuola se è mostrato un po’ più suscettibile… Tante espressioni della normale dinamica esistenziale una sola domanda: cosa sarà successo a scuola da renderlo tanto sofferente? Rappresentazione comune. Il corollario sta nella immediata e conseguente richiesta che l’insegnante debba intervenire il più in fretta possibile per metter fine a quella insopportabile sofferenza. Non a quella dei figli ma alla loro di genitori. Oltre alle tematiche educative legate al permettere ai bimbi, ai giovani di provare a “stare” assieme alla noia, al dolore, al vuoto, ai pensieri cattivi, come una possibilità per esplorare dimensioni emotive che rischiano oggi di venire totalmente occultate, mi pare che il primo passo verso la consapevolezza sia proprio rendersi conto dei propri eccessi e da genitori provare a prendere distanza distinguendo innanzi tutto ed aiutando i figli a dare misura.
Come insegnante invece mi devo proteggere dall’idea di poter sempre far andare le cose senza sofferenza per nessuno, e ieri sera in riunione mentre dicevo ai genitori che il loro atteggiamento era eccessivamente preoccupato e che il problema stava anche in questo, mi sentivo eccessiva. Ho sentito che stavo decostruendo un’idea forte quella di poter fare la felicità altrui… Stavo correndo un rischio… Ma li stavo (credo) proteggendo dagli eccessi nella fiducia in me.
Feb 15, 2016 @ 18:58:50
Ricordi Nadia? quando parlavamo ai tempi del Dedalo di “eccessi di virtù”? era un termine che avevo coniato per svelare il non detto di espressioni “troppo buono” “troppo disponibile” e simili autogratificazioni. Una virtù all’eccesso, basterebbe avere un po’ di frequentazione con le filosofie orientali, è sempre in qualche modo un difetto. Solo che è celato come tale.
La più bella in proposito me l’ha detta il mio attuale maestro di arte marziale che un giorno se ne è uscito con questa perla di saggezza: se sei perfetto, sei sbagliato….