compiti

Di Igor Salomone

L’altro giorno su Fb il tema erano le chat-genitori e i registri elettronici, grazie a questo post che ho condiviso. Di condivisione in condivisione il succo del dibattito è stato: il problema non è la tecnologia, ma l’uso che se ne fa. Tesi piuttosto diffusa che voglio confutare.

Un fucile è un fucile. Puoi farne molteplici usi, ma resta sempre uno strumento costruito per lanciare proiettili a gran velocità contro un bersaglio che il più delle volte è un essere vivente. Stesso discorso per un’automobile, un ferro da stiro, una penna stilografica. Nessun strumento è neutro rispetto all’uso che se ne può fare, per definizione. Infatti nella nostra lingua si dice sempre “strumento per”.

Dunque, prima di dire che l’uso di una chat tra genitori di una stessa classe o l’uso di un registro elettronico in una scuola “dipendono dall’uso che se ne fa”, occorre chiedersi quale sia la funzione di una chat o di un registro scolastico.

Una chat è uno strumento di condivisione. Comunque la usi e qualsiasi contenuto trasmetti, resta uno strumento di condivisione. Dunque la domanda corretta è: cosa è legittimo che i genitori di una stessa classe scolastica condividano tra loro? Quindi non “come”, ma “perché”. Che è esattamente il tipo di domanda che l’autrice di quel post poneva a proposito dei compiti dei figli.

I “compiti” sono per definizione uno strumento pedagogico a disposizione dell’insegnante per stimolare l’allievo a esercitarsi e ad apprendere. Quindi sono sostanzialmente un rapporto tra il singolo insegnante e il singolo allievo. Trattandosi di compiti comuni, poi, il “compito” diventa anche una questione che riguarda il gruppo degli allievi nel suo assieme.

Nel tempo, anche i genitori sono stati progressivamente tirati dentro questo cerchio e stiamo ancora cercando di capire sino a che punto sia giusto. Il rischio era ed è che una questione che riguarda squisitamente il rapporto insegnante-allievi, subisca un processo di delega nei confronti dei genitori. Facendo progressivamente smarrire il senso stesso del “compito”.

Se questo è lo stato dell’arte, la domanda da porsi è: come trasforma il senso stesso di ciò che chiamiamo “compito”, il fatto che diventi oggetto di condivisione collettiva tramite chat da parte dei genitori? Non ho una risposta, ma questa mi sembra una domanda sensata sull’uso della tecnologia che chiamiamo “chat” in ordine al problema compiti scolastici.

Ovviamente per il registro elettronico, occorre fare il medesimo percorso.