Premiata la superficialità

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di Irene Auletta

Ma davvero i problemi seri si risolvono così? Siccome è accaduto che nei luoghi di cura delle persone più fragili, bambini piccoli, disabili e anziani, si siano registrati episodi di maltrattamento, la risposta unica e univoca è quella di riempire i vuoti di significato collocando ovunque telecamere.

Rimango senza parole di fronte a scelte così miopi che rischiano di trovare il consenso di quanti, con lo sguardo superficiale di chi non conosce le realtà dei servizi, possano sentirsi rassicurati da tali provvedimenti.

Peccato che tali scelte omettano in modo assai truffaldino che da anni, proprio in questi luoghi, si stiano tagliano senza tregua i ruoli di coordinamento, i momenti di formazione e di supervisione e tutte quelle proposte orientate a riflettere su quando accade nella relazione con le persone e sulle fragilità costitutive degli interventi di cura. 

Peccato che questi provvedimenti incontrino consensi di pancia e puntino proprio a quello, senza portare a riflettere sulle forme del controllo che, pur ribadendone la necessità, puntino sui processi di apprendimento e non di ammaestramento.

Che poi? Li conoscete questi servizi? Ma davvero pensate che bastino telecamere per evitare che accadano questi episodi?  E tutto quello che abbiamo costruito in tanti anni di lavoro sulle relazioni di fiducia e sull’esigenza di prendersi cura delle persone che curano? E tutte le esperienze di eccellenza frutto di tanti anni di studio e lavoro?

I problemi complessi meritano attenzione, competenza e rispetto. In questi provvedimenti non c’è nulla di tutto questo ma solo tanta superficialità, e tanto spreco di denaro.

Risvegliamoci per favore, perchè il torpore dei cervelli non credo che potrà essere ripreso in video.

Cose piccole cose grandi

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di Irene Auletta

Ieri sei tornata a casa con un occhio gonfio. Cosa è successo? Irritazione, allergia, qualche piccolo incidente? Domande mute le mie, quasi sempre.

Stanotte alle due e mezza siamo in giro per casa. Tu con entrambi gli occhi chiusi nell’incapacità di tenerne uno chiuso e l’altro no, io tra un impacco e un collirio. I gesti di cura, anche quando si muovono come piume, invadono l’altro provocando, come nel tuo caso, un totale non senso di quello che sta accadendo. Lo capisco non solo dalla tua evidente irritazione ma anche dal fatto che, mentre cerco dolcemente di rassicurarti, provi a mordermi con rabbia.

Lo so figlia, come cavolo fai a capire quello che ti sta succedendo e, soprattutto, che dandoti fastidio sto provando a farti star meglio? Le ambivalenze notturne pesano delle loro ombre e così, con questo stato d’animo, attendiamo la luce del nuovo giorno, con tutto l’ingombro di una vita senza parole.

Dopo che sei riuscita a riposare un po’, intravedo qualche sorriso che pian piano lascia lo spazio all’allegria, quella nostra di quando ti faccio certi scherzi da ridere. Nel frattempo scambio qualche messaggio con mamme come me, nella nostra chat del cuore. Il peso della preoccupazione condivisa, diventa subito più leggero.

Giornata di cura tutta per te amore. Sembri proprio aver messo insieme tutti i pezzetti e aver capito cosa sta succedendo. Giri per casa ascoltando musica con le tue cuffie, torni da me e mi abbracci, mentre sbirci i dolcetti che ti sto preparando. Sono magici Luna e dopo starai ancora meglio. 

Anche stavolta il peggio è passato. Ora ci aspetta un pomeriggio tra i fiori a fare il pieno di colori e bellezza. Sempre. Sempre.

Pulsioni di vita

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di Irene Auletta

Ha proprio ragione tuo padre quando commenta che il bello dei nostri video, di cui abbiamo una ricca raccolta, è che riprendono solo i momenti sereni e, riguardandoli, le pesantezze del momento sembrano lontane e offuscate. A te piacciono in particolare forse perchè, più delle fotografie, sono un tuo modo per raccontare le nostre esperienze e, attraverso la visione, trattenerle in una possibile memoria.

Stasera ci imbattiamo in uno dei pochi dove si intravedono le ombre quasi a riflesso di quelle che stiamo attraversano in questi giorni e proprio riguardandoli mi accorgo che, in realtà, la nostra normalità è davvero una continua alternanza tra quiete e turbolenze. Arrendersi al fatto che nella nostra vita i momenti di benessere totale sono da sempre solo delle brevi pause, intervallate da questioni più o meno serie, è una delle cose più difficili da digerire.

Probabilmente non è così per tutte le persone che si misurano con forme di disabilità ma di sicuro nella storia con te, come in quella di quanti vivono esperienze analoghe, salute e malattia, benessere o disagio, insieme alla gioia e al dolore, sembrano indissolubilmente intrecciate. Alla fine sembri aver imparato a convivere con piccoli o grandi impicci, fastidi di ordine vario, malesseri più o meno identificati, ma sempre particolarmente presenti al nostro appello. 

La complessità della disabilità, soprattutto quando associata anche a forme di malattie, è proprio quella che non si vede, esattamente come nei nostri video e io passo il tempo a dannarmi per l’ingiustizia di questi fardelli,  vivendo al tempo stesso una gioia smisurata in ogni piccola pausa di tregua. 

Chi ha figli sani può permettersi di brontolare per un influenza, una malattia dell’età o piccoli imprevisti di salute. Noi dobbiamo continuare a nutrire quel misto di speranza e pazienza che ci trovi sempre pronti a non perdere l’attimo e per tutto il resto …. 

Guarda Luna ti ricordi quanto abbiamo riso imitando le farfalle con un foulard di mamma? E lì, che quando abbiamo fatto quella gita, avevi lo stesso fastidio di adesso? 

Purtroppo ti era appena passato da pochi giorni e ora ci siamo di nuovo in pieno. Di fronte alla mia impotente rabbia provo a respirare e penso alla lezione Feldenkrais di ieri sera, alla ricerca di una quiete attraverso una particolare pulsazione della mano. Te la racconto mentre provo a guidarti nello stesso movimento. 

Dopo poco, pulsiamo insieme con un unico ritmo. Passerà, passerà, passerà.

RiflettendoCi

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di Irene Auletta

Il ricordo mi raggiunge forte mentre sto cucinando. Quel gesto, quel movimento, fatto proprio come lo sto facendo io adesso, riflesso in un passato che mi vede spettatrice ad osservare mia madre. Le emozioni  di ieri che ancora oggi si incontrano valorizzando quel filo rosso invisibile ma tenace che ci lega, madre e figlia.

Come posso non pensare, quasi simultaneamente, a che fine faranno i miei gesti? Spariranno con me, perché per te figlia mia sarà impossibile riviverli domani. In questi casi è facile rimanere soffocati dal peso di un’eredità dispersa. I gesti di mia nonna, di mia madre, i miei, sono davvero destinati a morire con me?

Per fortuna l’arte culinaria mi distrae lasciando spazi a recenti memorie di altre narrazioni. Per una serie di coincidenze sono mesi di ricche raccolte nella mia vita professionale. Persone che non vedevo da anni mi raccontano tracce del nostro incontro come importante bussola, mi ricordano maestra, evocano frasi, gesti e progetti che non hanno dimenticato. A volte si scoprono importanti tracce di eredità proprio laddove non si cercano e ancora una volta mi ricordano che spostare lo sguardo, svela sempre possibilità. 

E così oggi, dopo un’intensa e ricca mattina di formazione, io e te ci regaliamo uno di quei nostri momenti insieme che sanno di noi. Facciamo tutto con calma, lentamente, assaporando, insieme al cibo, ogni momento. Tu sei felice di essere libera e io cerco di starti vicina senza ostacolare la tua voglia di esplorare e di curiosare. Sei diventata più sicura nel muoverti anche  fra tante persone e io più attenta a rispettare i tuoi desideri di viverti piccole e importanti autonomie. Stranamente però oggi sei tu che ti allontani ma ogni tanto torni a prendere la mia mano, per poi allontanarti nuovamente.

Che fine faranno i miei gesti figlia mia? La tua mano mi stringe forte riportandomi alla realtà. Gli occhi ti brillano di gioia come sanno brillare solo gli occhi della purezza e in quel momento i miei gesti li ritrovo proprio lì, in quel riflesso.

Il nostro domani, è oggi.

Distanze vicine

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di Irene Auletta

È sempre bello e importante prendere e andare, che sia per lavoro, studio o vacanza, è mettere distanza. Da un po’ lontano vedo la vita di ogni giorno con differenti sfumature di tanti toni. Provo a non lasciarne indietro nessuno, neppure quelli più difficili da guardare.

La mancanza può essere una possibilità per stare con emozioni intime che hanno bisogno di solitudine e poi, più invecchio e più la solitudine mi piace assai. Saranno anche queste le sfumature dei tramonti?

Intorno mi arrivano notizie di figli all’estero, che si laureano, si sposano, hanno a loro volta figli. È così, mie coetanee mi narrano di mondi per me lontanissimi e, in parte, incomprensibili. Che bello diventare nonna! E poi proprio ora che fra pochi anni sarò in pensione. Cosa? Ma scherziamo, come nonna? Come pensione? Aiuto!

Eccomi lì incatenata a un ruolo di madre che mi ha fatto perdere la trebisonda del tempo. Persa in un accudimento quotidiano con questa figlia un po’ sempre piccola che alla fine mi fa, paradossalmente, sentire una madre sempre “giovane”. Che scherzi bastardi sa fare la vita!

Prima che la malinconia e la tristezza occupino tutto lo spazio, tuo padre interrompe i miei pensieri, avvisandomi che mi state raggiungendo dove sono per farci una gita al lago e poi tornare a casa insieme.

Le distanze iniziano a sfumare e le foto, che immortalano le tue emozioni del viaggio, tra bus e treno,  mi fanno già pregustare quel nostro incontro che dopo qualche giorno di distanza mi fa sentire male in gola, tanto il desiderio di riabbracciarti.

Ed eccoci qui, mai uguali a chi ci circonda, diversamente distanti, tra poco saremo ancora lì a nutrirci occhi negli occhi, mani nelle mani, vita nella vita.

Anche per questa lezione, figlia mia, ti devo ringraziare. La vita è un bel casino, ma può scatenare sempre grandi e bellissime passioni pronte a nutrirne il senso.

Vi aspetto, miei preziosi.

Obiettivo amarsi

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di Irene Auletta

Non ho idea di cosa sto sognando e credo di essere ancora altrove quando mi accorgo del tuo richiamo notturno. La sveglia impietosa segnala che sono solo le due e mezza e so già che è il mio turno. Io e tuo padre facciamo così, ci alterniamo in base alle giornate e agli impegni di lavoro. Insomma, una sfida a chi può resistere di più e stanotte tocca  a me.

Vista l’ora non abbandono la speranza che tu possa riaddormentati ma dopo tre ore, e in vista del primo chiarore, mi arrendo alla stanchezza e alle attese negate. Tu sei molto insofferente tra stanchezza, irritazione e qualche fastidio non bene identificato e per la prima volta nella tua vita accade che mentre provo a consolarti mi arriva una sberla. 

La mia reazione muta va oltre le parole e di fronte al tuo lamento ci vedo lì, naufraghe nella notte. Freno la mia reazione e ti vedo indifesa quanto me, di fronte a qualcosa che sembra impossibile da gestire diversamente. In più stanotte c’è anche il malessere che aggiunge il suo carico ulteriore.

Realizzo di averti disturbata e che in qualche modo deve uscire anche un po’ di umana rabbia e allora mi allontano dicendoti che capisco di essere stata un po’ invadente.

Il suono della sveglia ci trova così tu più serena e io persa nei miei pensieri malinconici, mentre con ironia penso alle parole di ieri della mia ginecologa e alle “prescrizioni” di vita per la mia età e per coltivare una buona salute. Vabbè, lasciamo perdere.

Per reagire alla stanchezza deciso di accogliere la giornata con la musica e un po’ di ballo e nella ricerca incrocio sul mio iPhone questa bella canzone dei Negramaro proprio mentre cantano 

Ti è mai successo di voler tornare 

A tutto quello che credevi fosse da fuggire 

E non sapere proprio come fare 

Ci fosse almeno un modo uno per ricominciare

Pensare in fondo che non era così male 

Che amore è se non hai niente più da odiare 

Restare in bilico è meglio che cadere 

A me è successo amore e ora so restare

Quando si dice le coincidenze.

Balliamo un po’ e pian piano i nostri corpi provano a incontrare la nuova giornata meno massacrati avviandosi nel mondo, simulando false normalità.

Dai facciamo che ci salutiamo senza odiarci, mi viene da dirti con leggerezza ripensando alla canzone e osservando i tuoi occhi scuri. Forse è anche un invito a me a non odiare alcuni momenti di questa vita e a trovare la forza da continuare a darti e a darci.

Ci abbracciamo forte e prima di salire sul pulmino il tuo viso si illumina in un sorriso bellissimo. Anche per oggi amore, siamo salve. Ci amiamo.

Speriamo che sia bellezza

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di Irene Auletta

Questo racconto l’ho lasciato maturare un po’, l’ho raccontato qualche giorno fa in un corso di formazione e ora i tempi sono maturi per la scrittura.

Domenica sera. Dopo un pomeriggio in giro con tuo padre, a far cose assai belle, appena torni a casa ricompaiono quelle maledette stereotipie amiche nemiche di questi ultimi tempi.

Cosa ne dite di una pizza? E se invece di mangiarla a casa andassimo in pizzeria?

Poco dopo eccoci li, io e tuo padre, che non riusciamo a smettere di guardarti pieni d’orgoglio amoroso. Hai imparato a stare nelle situazioni pubbliche ed è evidente quanto ti danno gusto. Scompaiono proteste e gesti di chiusura e al tavolo con noi vediamo solo un’attenta e curiosa signorina.

L’emozione è palpabile negli sguardi che ci scambiamo e di sicuro io e tuo padre sappiamo bene di condividere lo stesso dolore quando, esattamente al contrario di ora, ti vediamo un po’ persa in un tuo mondo parallelo.

Così la serata diventa sempre più saporita, tra umori e cibo, sensazioni ed espressioni belle.

Un certo rumore segnala una comitiva che prende posto a un tavolo vicino. Ci sono adulti e ragazzi, presumibilmente genitori e figli.

Stai proprio facendo il mongoloide! commenta ad alta voce una signora del gruppo rivolta ad un ragazzino seduto allo stesso tavolo e, nel farlo, imita un verso tipo gorilla che evidentemente la signora associa al genere appena nominato. Non contenta, sempre con tono di voce alto, poco dopo aggiunge, eccolo lì, ora è passato a fare l’autistico.

Mi disturbano il tono, iI contenuto, l’invadenza e la volgarità che mi raggiungono nella nostra bolla magica. Ma, ancor di più, mi disturbano le risate degli altri adulti seduti al tavolo e l’ilarità della conversazione.

Penso a quanto sono differenti le storie. Noi che ci gustiamo ogni attimo come prezioso mentre lì vicino si sprecano occasioni. Saranno consapevoli questi adulti di cosa stanno insegnando con le loro battute? Si renderanno conto che educare alla bruttezza, alle prese in giro, alla denigrazione, lascia tracce profonde nella vita e nello sguardo dei figli? 

Sposto l’attenzione e la mente da quella scena perchè non voglio che questo episodio rovini il nostro piccolo idillio della sera. Mi rimane solo un eco di amarezza.

Nel silenzio del mio cuore, rinnovo il nostro patto segreto. Per te figlia, voglio trovare parole ed emozioni sempre più belle.

Al resto, ci pensa il mondo. 

Colori notturni

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di Irene Auletta

Comunque la disabilità è proprio così. 

Passi un sacco di tempo a dirti che quella determinata cosa non passerà mai, poi intravedi barlumi di speranza, poi ti illudi che finalmente è passata e alla fine scopri che puntualmente alcune cose ritornano. Sempre.

Tra gli evergreen non mancano i problemi alimentari, le intolleranze, le irritazioni o infezioni, i comportamenti ossessivi e i disturbi del sonno. Giusto per dirne solo qualcuno.

Da qualche settimana le nostre notti avevano assunto una parvenza di quasi normalità, fino a quando è tornato quell’andamento a onda che conosciamo, ahimè, benissimo. Sveglia che gradualmente passa dalle sei, alle cinque, alle quattro e stanotte alle tre e mezza eri lì che bussavi alla tua porta come fai sempre per segnalarci che la notte, per te, è finita.

Con grande sollievo penso al lungo percorso fatto insieme su tanti fronti e in particolare anche su questo. Me lo ha segnalato quel pensiero nato lì, spontaneamente, per primo. Accidenti e domattina c’è piscina! Solo dopo mi sono ricordata della giornata parecchio impegnativa che invece aspettava me, al varco dell’albeggiare tinto di quei meravigliosi colori che ogni cambio di stagione sa dipingere in cielo.

Mi sei mancata moltissimo in queste ultime settimane che mi hanno visto tanto spesso lontana da casa e allora decido di organizzare una postazione notturna che ci permetta di stare vicine, quasi a recupero del tempo perso.

Ogni tanto ridi, mi accarezzi, commenti le bizzarre vicende di quella serie  televisiva che riesce a fare compagnia alla tua insonnia. Santo Netflix! In questi casi, io raramente riesco ad appisolarmi, ma stavolta mi accorgo che la tua vicinanza mi fa riposare e mi ricarica di quella bellezza che quasi riesce a rendere meno opache le ombre della vita che, con il buio, tornano ad essere ingombranti.

Stasera, a conclusione di un incontro formativo con un gruppo di educatrici che conosco da anni,  mi ritrovo a invitare alla leggerezza dichiarando che il lavoro è un gioco. Lo dico consapevole del fatto che le mie interlocutrici comprendono bene cosa intendo, attribuendo alla dimensione ludica quella serietà che i bambini piccoli sanno insegnarci ogni giorno. Imparando giocando e giocando per imparare.

Chissà che un giorno io non riesca a dirlo anche della vita!

La cura in viaggio

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di Irene Auletta

In questi giorni il tema della cura mi segue, quasi come affettuoso compagno di viaggio. Ne sto parlando con educatori e insegnanti di vari ordini di scuola e ci sto pensando in relazione al prossimo evento del nostro gruppo Amazzone o Penelope.

In questo momento storico mi sembra un bel segnale riprenderlo e valorizzarlo come oggetto di interesse e curiosità, ancora da esplorare e scoprire, proprio pensando a quelle situazioni dove invece il valore della cura rischia di rimanere offuscato dalle corse della vita e da tutto ciò che finisce per diventare priorità.

Ci pensavo stamane alla trascuratezza come “omissione di determinate forme di attenzione” che ahimè coinvolgono proprio le persone più sensibili o diremmo oggi, più fragili. Mi piace pensare che la cura si possa identificare non solo con la fatica, il sacrificio e la dedizione, ma anche con la passione e la possibilità di riempire un incontro di significati inediti. 

Che poi, lo immaginate che la cura crea dipendenza?

Davanti al mio computer, lontana da casa, sistemo gli appunti per questo ultimo incontro di formazione che oggi pomeriggio mi farà incontrare un terzo gruppo di educatori e di insegnanti. Il tema della cura, intrecciato a quello dell’inclusione e della disabilità, volteggia nella mia mente quando mi arriva una tua foto.

Tuo padre immagina bene quanto proprio oggi mi costi essere distante mentre ti accingi al tuo primo fine settimana lontana da casa, con altri compagni di viaggio. 

Prima di partire ho fatto quello che fanno le madri. Ti ho sistemato il bagaglio, valorizzando quel nuovo trolley da signorina tutto tuo e ti ho abbracciato forte sussurrandoti all’orecchio di divertirti tanto.

Le pressioni di cura, come le ha chiamate Andrea Canevaro, sono una brutta bestia. Ti tolgono il respiro mentre le vivi e ti mancano appena ne prendi distanza. Io, negli anni, ho imparato che ciò che mi manca non è tanto la cura in sé, quanto la costellazione dei gesti che rendono noi due, madre e figlia, quello che siamo.

La cura parla di relazioni e di forme di attenzione che profumano d’amore e per me, oggi, amarti vuol dire imparare a lasciarti andare verso la cura altrui.

International Day

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di Irene Auletta

Ogni tanto me lo chiedo ancora. Ha senso scrivere e raccontare di te, di me, di quel nostro incontro così denso di meraviglia e fatica, di bellezza e ombre, di gioie e dolori? Ci rifletto soprattutto quando qualcuno, leggendo i miei scritti, mi restituisce l’idea di narrazioni private o di outing.

Per me non sono né l’uno e neppure l’altro. Non sono private, nel senso che scelgo ciò che voglio rendere pubblico e, ogni volta, ci penso con molta attenzione, soprattutto a quello che intendo continuare a proteggere dagli sguardi e dalle interferenze altrui. Neppure parlerei di outing perchè di sicuro l’idea di confessione pubblica è davvero tanto, ma tanto, lontana dalle mie intenzioni.

Ci penso proprio in questi giorni, in occasione della Giornata internazionale della Sindrome di Angelman e all’importante lavoro di informazione che sta facendo Orsa, Organizzazione sindrome di Angelman, insieme a tante famiglie che, anche attraverso un semplice post sui social, rilanciano immagini e iniziative. 

Ci unisce lo stesso intento. Far conoscere e promuovere una cultura della disabilità che ci faccia sentite, oltre che legati da un abbraccio di solidarietà collettivo, uniti nell’intento di essere noi stessi protagonisti di un cambiamento che ci permetta di guardare al futuro con maggiore speranza. Per noi, per i nostri figli e per una società capace di guardare alle differenze con più sensibilità e meno ipocrisia. La strada è lunga ma parecchia ne abbiamo già percorsa, anche grazie a chi ci ha preceduto e a chi ancora continua a camminarci accanto.

Ognuno trova la sua modalità. Chi riveste ruoli importanti nelle associazione, chi da vita a nuove organizzazioni nel suo territorio, chi attiva progetti nuovi, chi trova sponsor capaci di produrre echi sempre più virtuosi di cultura e conoscenza.

Io scrivo, ma non con l’intento di pubblicare saggi o diventare un’esperta di disabilità. Scrivo perchè occupandomi per professione di educazione non potrei farne a meno e perchè, nella ricerca continua dei nessi tra vita e professione, provo a narrare racconti che parlano di storie condivise, di emozioni intrecciate, di speranze respirate all’unisono.

Scrivo perchè le luci imparino a danzare con le ombre e perchè spero che le mie parole portino anche conforto e solidarietà, magari insieme ad un sorriso strappato oppure a una risata di gusto.

La disabilità è cosa seria e abbiamo bisogno di nutrirci di allegria e leggerezza, affinché la bellezza continui ad essere nostra preziosa alleata e compagna di viaggio. 

Abbiamo vicino vicino a noi, qualcuno che con il suo sorriso, può aiutarci. Ogni giorno.

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