Incontri di cuori

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Buongiorno signora, stamane appena Luna è arrivata al Centro è successo che … (il tempo si sospende nell’ascolto) … Non ci sembra nulla di grave ma abbiamo chiamato un’ambulanza. Lei o il padre potete raggiungerci? 

Certo, arriviamo subito. Mentre chiamo tuo padre penso che sono a oltre 200 km lontana da casa e non posso fare altro che guardare a distanza. Più tardi, tuo padre mi racconterà di essersi preoccupato del mio tono “non preoccupato” che è il mio risultato del sangue secco nelle vene.

Tum tutum tum tutum. Il cuore segue la sua via permettendo alla testa di non perdere l’attenzione nell’attesa. Posso solo aspettare. E respirare.

Non passa molto tempo dalla video chiamata in cui tuo padre, che adoro più che mai in queste occasioni, mi racconta provando a coinvolgerti. Vederti, al suono delle sue parole mi rassicura ma tu, al solito, fai di tutto per non incrociare il mio sguardo. Riesco solo a dire che per fortuna c’è babbo lì con te e che ci vedremo in serata, già immaginando un rientro un po’ anticipato.

Eccomi a casa e ritrovarsi è sempre così. Tu mi osservi a distanza e, appena possibile, dirigi lo sguardo in altre direzioni. Io aspetto ma stavolta il cuore mi batte forte più di altre. Tum tutum tum

Ti aspetto in cucina amore, vado a preparare qualcosa per cena. Vieni a salutarmi quando vuoi. A volte ci vogliono giorni ma stasera intuisco un clima differente.

Non passa molto e ti sento arrivare ma tieni la distanza. Mi guardi e ridi, come quando vuoi raccontare qualcosa. Se però provo ad avvicinarmi ti allontani e allora aspetto, dicendoti molto poco rispetto a quanto accaduto la mattina.

In questi casi, non mi ha mai convinto la facile spiegazione del comportamento che in qualche modo vuol “far pagare” l’assenza ma, oggi più che mai, sono convinta della necessità di un tempo di passaggio finalizzato a creare fili di collegamento con un vuoto di presenza per te poco pensabile. 

Aspettare non è sempre facile ma stavolta non devo essere troppo paziente perchè arrivi piano alle mie spalle e, con quella forza inspiegabile, mi stringi cingendomi con le braccia. Prima di girarmi verso di te lascio passare qualche secondo perchè non voglio farti scappare di nuovo e, solo quando mi sembri pronta, mi giro per avvolgerti nel mio abbraccio.

Dura parecchio e, nel nostro silenzio, ci raccontiamo. Io di sicuro, anche stavolta, ho imparato qualcosa di nuovo.

Solo alla fine guardandoti negli occhi e incontrando i tuoi che non mi mollano te lo dico.

Che paura Luna!

Mi riabbracci forte ma stavolta la danza è di coppia. Tum tutum tum tutum.

La cura in viaggio

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di Irene Auletta

In questi giorni il tema della cura mi segue, quasi come affettuoso compagno di viaggio. Ne sto parlando con educatori e insegnanti di vari ordini di scuola e ci sto pensando in relazione al prossimo evento del nostro gruppo Amazzone o Penelope.

In questo momento storico mi sembra un bel segnale riprenderlo e valorizzarlo come oggetto di interesse e curiosità, ancora da esplorare e scoprire, proprio pensando a quelle situazioni dove invece il valore della cura rischia di rimanere offuscato dalle corse della vita e da tutto ciò che finisce per diventare priorità.

Ci pensavo stamane alla trascuratezza come “omissione di determinate forme di attenzione” che ahimè coinvolgono proprio le persone più sensibili o diremmo oggi, più fragili. Mi piace pensare che la cura si possa identificare non solo con la fatica, il sacrificio e la dedizione, ma anche con la passione e la possibilità di riempire un incontro di significati inediti. 

Che poi, lo immaginate che la cura crea dipendenza?

Davanti al mio computer, lontana da casa, sistemo gli appunti per questo ultimo incontro di formazione che oggi pomeriggio mi farà incontrare un terzo gruppo di educatori e di insegnanti. Il tema della cura, intrecciato a quello dell’inclusione e della disabilità, volteggia nella mia mente quando mi arriva una tua foto.

Tuo padre immagina bene quanto proprio oggi mi costi essere distante mentre ti accingi al tuo primo fine settimana lontana da casa, con altri compagni di viaggio. 

Prima di partire ho fatto quello che fanno le madri. Ti ho sistemato il bagaglio, valorizzando quel nuovo trolley da signorina tutto tuo e ti ho abbracciato forte sussurrandoti all’orecchio di divertirti tanto.

Le pressioni di cura, come le ha chiamate Andrea Canevaro, sono una brutta bestia. Ti tolgono il respiro mentre le vivi e ti mancano appena ne prendi distanza. Io, negli anni, ho imparato che ciò che mi manca non è tanto la cura in sé, quanto la costellazione dei gesti che rendono noi due, madre e figlia, quello che siamo.

La cura parla di relazioni e di forme di attenzione che profumano d’amore e per me, oggi, amarti vuol dire imparare a lasciarti andare verso la cura altrui.

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