La madre che vorrei

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di Nadia Ferrari

É la prima vacanza senza di te mamma, quanto l’ho sognata, desiderata, aspettata. Ricordo ancora con angoscia le fatiche ormai insostenibili degli ultimi tempi che mi hanno fatto rinunciare ad andare al mare ed ora che (finalmente!) sono in vacanza senza di te, quanto mi manchi! 

Torno da te una volta alla settimana per soli 15 minuti e in quei 15  minuti di agognata presenza arrediamo il nostro tempo di infinite dimensioni belle, tutte assurde. Domande stupide senza senso, risposte un po’ astruse a cavallo di molteplici tempi e diverse realtà. Ma siamo unite nel nostro comune destino di madre e figlia come non lo siamo mai state. 

Mentre raggiungo la RSA mi attraversa un’emozione così fisica per la voglia di vederti che mi irrigidisce un po’ il passo. Resto seduta al mio posto in trepida attesa e quando ti vedo sbucare dal centro sulla sedia a rotelle e sento che borbotti con chi ti accompagna perché tu non vuoi che si faccia qualcosa a tua insaputa, una gioia immensa mi pervade anima e corpo.  Mi vedi, ti rassereni, mi saluti, e comprendi finalmente perché sei lì. Mi chiami per nome. Che sollievo ti sono ancora presente! 

Mamma ciao! Come sei bella! Fai una smorfia e un gesto con le mani come a significare “non dire cazzate”. Non ti sono mai piaciute le smancerie. Allora mamma come stai? 

Eh Nadia sono qui … che cosa devo dire. Perché non vieni più a trovarmi? Te lo spiego ancora una volta cercando le parole più resistenti ma so che mentre te lo spiego l’hai già nuovamente dimenticato.  

Mamma hai mangiato? Mi raccomando mamma mangia sei un po’ dimagrita … Si Nadia mangio quando me lo danno eh!… ma solo quello che mi sento posso mica star male per fare un piacere a te! 

Ecco il tuo piglio di sempre. Di chi decide per sé senza mai farsi sottomettere… tu non ti sei mai fatta comandare da nessuno! Certo mamma mangia quello che ti senti. 

Poi mi chiedi di tuo nipote,  di tuo genero (se ti ricordi) e subito dopo di Fabio Bottero del tuo Massimotto ed infine non possono mancare i tuoi compagni della IVISC (la vetreria in cui hai lavorato come ultimo posto) Ecco la tua passione mamma: la politica. Anzi, meglio, il lavoro.

Si mamma tutti ti salutano il Paolo, l’Ermanno e il Bacchetta. Il tuo viso si illumina e il ricordo dei tuoi giovani compagni porta via il velo ombroso regalandomi uno dei tuoi più bei sorrisi. Il pensiero che “loro” (il tuo mondo, i tuoi ragazzi) non ti abbiano scordato ti fa felice. E allora racconti sempre entusiasta del piacere di lavorare. Se non sapessi il tuo passato da operaia in posti e turni faticosi penserei a lavori leggeri. Ma il lavoro ha rappresentato la tua realizzazione e libertà. 

Lo so mamma ci ho messo un po’ ma ora l’ho capito tu sei una donna libera. Lo sei sempre stata ed é forse questo che ti ha permesso di non sentirti mai seconda a nessuno, nemmeno a me. Per anni ho sofferto, giudicando questa tua interpretazione della libertà come una brutta forma di egoismo e forse é stato anche così, ma ora ti vedo determinata affrontare quel che ti tocca a testa alta, senza nessuna lamentela, facendoti rispettare, e mi piaci. Mi piaci proprio così come sei mamma. Finalmente senza alcuna vergogna! 

Mi sono massacrata nel cercare di comprendere quale madre e quale donna fossi cercando di trovare un nesso tra le due cose ma la logica, talvolta, non basta. La realtà è troppo complessa per essere rinchiusa all’interno di un sistema logico: nella vita, i conti non tornano quasi mai. La verità è al tempo stesso una e molteplice e quando si cercano le parole giuste per comunicare quello che si prova, che si é,  il pensiero balbetta e perde il filo. Gli opposti non si escludono l’un l’altro anche quando sono le proprietà di uno stesso oggetto. 

Per anni mi sono avventurata nell’oscuro mondo del passato, alla ricerca di quel momento particolare, di quel punto in cui tutto sarebbe cominciato ed ora mi rendo conto che sono sempre stata al cospetto di un mistero, a qualcosa che non scoprirò mai. Ecco mamma dopo tanto cercare é forse questa l’eredità che da te posso raccogliere?

Nella vita ci sono tante cose che non dipendono da noi e per le quali non ci sono risposte. Più conosciamo, più soffriamo perché la conoscenza ci obbliga ad accettare il limite che qualcosa ci sfuggirà per sempre.

Ma stavolta, questo, l’ho afferrato forte.

Camminare schivando

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di Igor Salomone

Camminare schivando. Stamattina sono uscito per una puntata furtiva sino alla farmacia più vicina e mi sono ritrovato a camminare schivando. Non di quello schivare i corpi per evitare di sbatterci contro come ho sempre fatto sino a un paio di settimane fa. No. Disegnavo sul terreno una traiettoria improbabile per cercare di passare tangente alle traiettorie altrui a distanza di almeno un metro o anche più, se era possibile. 

Mi sono più volte fermato per lasciare il cammino al mio prossimo non per cortesia, ma per tenere la distanza. Sono sceso dal marciapiede, tanto di auto non ce n’erano, per non passare tra due pedoni già troppo vicini. Al semaforo meno male che eravamo in pochi altrimenti avrei dovuto mettermi in fila all’incrocio precedente. Insomma, una bruttissima sensazione. 

Per non parlare degli sguardi. Di solito per strada non ci si guarda negli occhi e se accade il contatto non supera il mezzo secondo. Ma stamattina di sguardi non ne ho incrociato neppure uno. Testa bassa, bavero alzato, non ti curar di loro ma guarda e passa. Anzi, non guardare proprio.  Bruttissima sensazione.  La fiducia reciproca è il cemento della coesione sociale, che ne sarà quando ci saremo liberati dal virus?

Ho visto però persone, che probabilmente non si erano mai parlate in vita loro, discorrere amichevolmente da un balcone all’altro. A Milano. Non nei quartieri spagnoli di Napoli. E nella stessa Milano ho visto centinaia di persone che dal balcone cantavano, applaudivano tutte assieme, agitavano luci di vario tipo. C’ero anch’io.  E’ facile guardare con supponenza a queste manifestazioni emotive. Però dopo che stamattina ho camminato schivando, ne ho capito il senso. Affacciarsi al balcone o alla finestra di casa propria, il punto di maggior contatto con il mondo lì fuori, è come se volessimo dirci: guardate che non siamo quelli lì che si incontrano evitandosi per strada, o per lo meno non solo quelli. Siamo ancora noi e abbiamo ancora voglia di sentirci insieme. Anzi di più.  

Mi sono chiesto cosa avrei detto a un figlio bambino se mi fossi trovato per strada a camminare schivando insieme a lui. L’avessi fatto insieme a lui avrei sentito tutta la responsabilità del messaggio che stava raccogliendo.  Dunque qual è il messaggio che potrebbe raccogliere? che gli altri sono pericolosi, ovvio, e quindi dobbiamo tenerci alla larga. Un messaggio così vale per sempre, come lo facciamo decadere dopo i tempi del virus?

Ho pensato però, anzi sentito nel corpo, che c’era dell’altro. Cedere il passo, scendere dal marciapiede, tenere le distanze non sono solo un modo per proteggersi dall’altro, sono anche un modo per proteggere l’altro da noi. Perchè  siamo tutti in questo momento reciprocamente pericolosi, e ci tocca proteggerci a vicenda.

Quindi probabilmente direi questo a mio figlio bambino se ne avessi uno. Ma per poterlo fare occorre crederci e per crederci occorre sentirlo nel corpo mentre si cammina schivando.  Alla prima necessità uscirò di nuovo per esercitarmi. 

Distanze vicine

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di Irene Auletta

È sempre bello e importante prendere e andare, che sia per lavoro, studio o vacanza, è mettere distanza. Da un po’ lontano vedo la vita di ogni giorno con differenti sfumature di tanti toni. Provo a non lasciarne indietro nessuno, neppure quelli più difficili da guardare.

La mancanza può essere una possibilità per stare con emozioni intime che hanno bisogno di solitudine e poi, più invecchio e più la solitudine mi piace assai. Saranno anche queste le sfumature dei tramonti?

Intorno mi arrivano notizie di figli all’estero, che si laureano, si sposano, hanno a loro volta figli. È così, mie coetanee mi narrano di mondi per me lontanissimi e, in parte, incomprensibili. Che bello diventare nonna! E poi proprio ora che fra pochi anni sarò in pensione. Cosa? Ma scherziamo, come nonna? Come pensione? Aiuto!

Eccomi lì incatenata a un ruolo di madre che mi ha fatto perdere la trebisonda del tempo. Persa in un accudimento quotidiano con questa figlia un po’ sempre piccola che alla fine mi fa, paradossalmente, sentire una madre sempre “giovane”. Che scherzi bastardi sa fare la vita!

Prima che la malinconia e la tristezza occupino tutto lo spazio, tuo padre interrompe i miei pensieri, avvisandomi che mi state raggiungendo dove sono per farci una gita al lago e poi tornare a casa insieme.

Le distanze iniziano a sfumare e le foto, che immortalano le tue emozioni del viaggio, tra bus e treno,  mi fanno già pregustare quel nostro incontro che dopo qualche giorno di distanza mi fa sentire male in gola, tanto il desiderio di riabbracciarti.

Ed eccoci qui, mai uguali a chi ci circonda, diversamente distanti, tra poco saremo ancora lì a nutrirci occhi negli occhi, mani nelle mani, vita nella vita.

Anche per questa lezione, figlia mia, ti devo ringraziare. La vita è un bel casino, ma può scatenare sempre grandi e bellissime passioni pronte a nutrirne il senso.

Vi aspetto, miei preziosi.

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