Essenze

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Dalle-profondità-del-Mediterraneo-l-organismo-più-antico-della-Terra-638x425di Irene Auletta

Bellissima lezione quella di ieri sera al gruppo Feldenkrais. L’insegnante ci presenta il lavoro annunciandoci un’esplorazione alla ricerca delle sensazioni legate alla coscienza dello scheletro. Mi sembra un enunciato assai interessante e siccome arrivo all’incontro molto stanca già mi pregusto il piacere della nuova scoperta, assaporandomi questa pausa preziosa che mi regalo una volta alla settimana.

Oggi mi ritorna spesso in mente, nelle parole e nelle sensazioni provate. E riemerge proprio in quel preciso momento lì.

Incontro tanti genitori con figli disabili, sto dicendo ad una madre, e molto spesso sento tanta rabbia nelle loro parole. La signora, madre di un figlio disabile adulto, da anni impegnata in progetti sociali e culturali sul tema, mi guarda dritto negli occhi. La mia non è rabbia, e’ disprezzo!

Sembra stupita quando le restituisco che si vede, perché la mimica e il tono della sua voce mi arrivano allo scheletro, intrecciandosi con le parole di Angela, la nostra insegnante Feldenkrais. Sentire lo scheletro parla di un ascolto molto profondo e delicato, perché parla del contatto con la propria essenza.

Mentre la nostra conversazione prosegue, dico qualcosa che evidentemente il mio interlocutore non gradisce o non condivide, interpretando forse in modo non corretto una mia dichiarazione di dispiacere. Io continuo così come genitore, dice sempre la signora con una punta di stizza, tu prosegui pure a fare il formatore!

Eppure, lei è la stessa persona che un paio di settimane fa ci ha tenuto a dirmi che aveva saputo che ero la “moglie di”, facendo ben comprendere quindi di sapere anche che sono la “mamma di”. E allora cosa e’ successo? Incontrandomi nei panni di un operatore mi ha trasformata immediatamente in qualcuno verso cui andare contro? Qualcuno che di sicuro non può capire?

Mi torna in aiuto l’ascolto dello scheletro di ieri sera, quel contatto con un se’ troppe volte trascurato e travolto dalle contingenze di un frenetico quotidiano. So bene quanta rabbia si incontra come genitore di un figlio disabile o malato e ogni volta mi ricordo che è l’altra faccia di quel dolore, che ogni giorno si cerca di far maturare, in una ricerca di significati che aiuti a non soffocare nella malinconia.

Stasera, mentre ti sono sdraiata vicino, giochiamo a sentirci lo scheletro e tu, forse direbbe Angela, da sempre anche tua insegnante, sei più brava di me a farlo anche se non puoi raccontarmelo. Io ci provo e mi auguro di incontrarlo senza rabbia e tantomeno disprezzo.

Lo spero non per salvaguardare gli altri o fingermi la buonista che non sono, ma per me e per te.

Lo spero per curare le nostre essenze, nutrirle di bellezza e proteggerle, al di la’ di quello che gli altri riescono a fare, con il calore dei nostri incontri che mi auguro non smetteremo mai di cercare.

Cuoricini

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cuoricinidi Irene Auletta

Nel mio lavoro incontro spesso genitori che attraversano impegnativi guadi dell’esistenza ma, quando ad essere coinvolti sono direttamente i bambini, le sfumature delle difficoltà si colorano di tinte ancora più intense. Bambini chiamati ad affrontare prove più grandi di loro che mentre hanno ancora il magone ti canticchiano il ritornello di un cartone animato stupendosi del fatto che anche tu lo conosca.

Bambini capaci di tutto, capaci di parlare di fiori gialli mentre stanno attraversando un’esperienza che per molti adulti sarebbe ai confini del sostenibile.

E’ così che ti faccio vedere la mia foto del profilo Facebook con tanti fiori gialli. Che ne dici di questi? Li osservi attento e poi ne cogli uno nella moltitudine di splendenti. “Questo però è appassito … Sembra stanco”.

Io non interpreto, ma sento. Ascolto in silenzio un piccolo cuore che batte forte, incapace di rallentare e travolto dai quesiti impossibili della vita. Ti sorrido mentre continuiamo a parlare e credo che la vita ti debba, seppur ancora così piccolo, una seconda opportunità. Ci sono adulti fragili che hanno figli fragili e non credo sia giusto puntare il dito accusatorio verso genitori che proprio non ce la fanno. Però i bambini, mi colpiscono nelle emozioni più profonde, lasciandomi spesso stordita e incredula non nella testa, ma nella pancia.

Durante la mia lezione Feldenkrais della settimana, l’insegnante ci accompagna in una lavoro di ascolto e ricerca di nuovi equilibri possibili. Le vedete le cinque linee del vostro corpo? Quella della colonna vertebrale e le altre della braccia e delle gambe?

Il pensiero mi scappa ancora a te e ai bambini che, come te, alternano le loro riflessioni sofisticate ad una camminata in punta di piedi che richiama alla memoria quella dei bambini piccoli alle prese con i loro primi passi. Fenomeno in aumento che proprio durante la lezione vedo chiaro nella sua espressione di squilibrio.

Ma lo sai che possiamo sentire e percepire cinque linee nel nostro corpo? Mi immagino la tua faccia attenta, alla ricerca del mistero. Come sarà per te il tuo nuovo equilibrio?

Quasi a destinazione ci raggiunge la pioggia di una nuvola isolata. Forse il cielo piange … ma forse ci sono anche degli angeli. Dici con il naso all’insù.

I bambini caduti sono capaci di guardare oltre e magari, proprio da là, un angelo li sta osservando.

Stabilmente instabili

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stabilmente instabili jpgdi Irene Auletta

Da quanto seguo le lezioni Feldenkrais la questione dell’equilibrio è tra quelle che ricorre sovente e ciò mi intriga parecchio.  Ne avevo già scritto qualche anno fa, ma ogni volta mi sembra di aggiungere nuovi livelli di ascolto, comprensione e consapevolezza.

Rispetto a questo percorso è forte il legame, sempre più chiaro, che tiene per mano dimensioni della mia vita privata e altre legate alla mia professione. Quando penso ad Angela, la nostra insegnante, ne sento sempre la doppia relazione che mi lega a lei come madre, che da anni le affida la figlia e come allieva, che da meno tempo le affida anche la cura del proprio corpo. Un filo leggero, che brilla di poche parole e che trattiene sedici anni di storia con moltissime sfumature di emozioni.

Allo stesso modo gli apprendimenti legati al corpo hanno assunto nel tempo uno spessore sempre più consistente che, con grande fluidità, incontra e attraversa anche le riflessioni che accompagnano le mie pratiche professionali nell’incontro con operatori e genitori dei servizi socioeducativi.

Mettetevi in questa posizione, ascoltate i punti di appoggio, immaginate che linee ideali formino figure …. Trattenete le immagini. Provate a fare questi movimenti dandovi la possibilità di sperimentare e provare forme di movimento non abituali, concedendovi la possibilità di perdere l’equilibrio, fidandovi della vostra capacità di riacquistarlo, trattenendo un’esperienza di apprendimento organico.

Ma è poi così differente con quanto accade circa le altre dimensioni dell’apprendimento? Quando Angela dice che la vera stabilità è quella che sa misurarsi con la perdita dell’equilibrio, con l’errore e con la possibilità di ritrovarsi, penso istintivamente a quante volte nel mondo dei servizi educativi, nominando l’esigenza di autorevolezza, si fatica a delinearne i confini. Viene più facile dire cosa non è scartando gli opposti di istanze autoritarie piuttosto che quelli di un lassismo permissivo.

Oggi penso che essere figure adulte autorevoli forse vuol dire proprio questo. Esibire una stabilità capace di rassicurare per gli aspetti di forza e di fermezza, non nascondendo al tempo stesso le dimensioni di perdita di equilibrio che permettono movimento, scoperte e nuove possibilità.

Camminate sentendo forte il contatto con la terra e al tempo stesso non dimenticate di volgere lo sguardo all’orizzonte e di guardare il cielo e le stelle.

Ancora una volta mi penso e ti penso. Noi pellegrine alla ricerca costante di modi per essere e per attraversare la vita. Alcuni ingredienti non possono mancare.

Sole e vento, lacrime e sorrisi, radici e ali.

 

 

A volare si impara

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a volare si impara 1di Irene Auletta

Respirare e’ movimento. Così Angela, la nostra insegnante Feldenkrais, ci introduce all’incontro della sera.

Le lezioni che, nello specifico, concentrano l’attenzione sul respiro, permettono di attraversare cambiamenti e apprendimenti che ogni volta riescono a stupirmi piacevolmente.

E’ importante sperimentare diverse possibilità non tanto per andare alla ricerca di quella giusta ma per mettersi in un atteggiamento di scoperta che consenta di esplorare diverse opzioni e nuove esperienze”.

Verrebbe quasi da chiedersi in che senso e’ possibile respirare con differenti modalità e come questo movimento può così tanto influenzare il nostro modo di essere e di stare al mondo. Eppure, provando, emergono sempre nuove possibilità e ogni volta il corpo impara qualcosa.

E ancora una volta mi ritrovo a dar senso al valore dell’esperienza, qualunque essa sia, provando a fare intrecci con quanto mi piace ricercare anche nel mio lavoro educativo.

Spesso con i genitori provo a recuperare le dimensioni legate alle prove possibili, alle sperimentazioni di quanto accade nella relazioni con i figli, uscendo dalle logiche del giusto/sbagliato o della ricetta pedagogica da vero chef per intravederne altre capaci di valorizzare ciò che è sempre possibile imparare, anche da adulti.

Da quando ti ho incontrata ho scoperto che anche i corpi, pur in assenza di parola, possono dirsi e raccontarsi.

Ogni giorno la tua fatica nel movimento mi ricorda di non sottovalutare quello che molto spesso finisce per essere pensato normale, scontato e quindi poco curato. Ogni giorno la tua sfida alla forza di gravità mi dice qualcosa della tenacia che può esserci anche in un piccolo corpo che tanti dall’esterno giudicherebbero fragile.

Ogni giorno, quando sperimenti quella che più nel tuo desiderio che nel tuo corpo vuole essere una corsa, scopro che anche volare può essere uno stato dell’anima.

E poi di nuovo il cielo

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e poi di nuovo il cielodi Irene Auletta

Ieri sera ero davvero stanchissima e ho dovuto ricordarmi diverse volte il benessere che provo al termine di ogni lezione Feldenkrais, per spingermi a vincere la fatica di uscire di casa e andarci.

Angela, la nostra insegnante, anticipa il lavoro che ci stiamo accingendo a fare dicendoci che la serata sarà l’avvio di una serie di incontri dedicati al camminare e ai diversi modi di farlo. Ci chiede di fare particolare attenzione alla posizione della testa e i primi movimenti incontrano una tensione nel collo che, nei giorni peggiori, mi provoca quei classici giramenti di testa che conoscono bene quanti soffrono di problemi di cervicale.

Non ho voglia di avere nausea anche stasera, come la volta scorsa e così mi accorgo che resisto un po’ a eseguire i primi movimenti e le indicazioni dell’insegnante. Chissà quante volte nel mio lavoro di formatore ho tematizzato le resistenze al cambiamento e, soprattutto, ad una proposta che chiede in prima battuta di misurarsi con quella che, almeno in apparenza, risulta più come un’ulteriore fatica che una ritrovata leggerezza.

Il mio bisogno di coerenza tra ciò che dico e quanto pratico mi spinge a provare, avvicinandomi alla tensione del collo, piano piano. Sono giorni in cui mi ritrovo spesso a pensare alle fatiche, al modo di viverle e dargli forma.

Proprio qualche giorno fa in un seminario rivolto alle educatrici dei servizi per la prima infanzia ho avuto modo di restituire loro un aspetto che negli anni ha preso una forma per me sempre più chiara. E’ vero che per le educatrici con tanti anni di esperienza alle spalle sono necessari alcuni correttivi per affrontare al meglio il loro lavoro con i bambini molto piccoli, rispetto alle fatiche fisiche e psicologiche che ogni giorni si ritrovano ad affrontare. Però lo è altrettanto l’innegabile carica di energia e vitalità che gli stessi rendono possibile con il loro essere. Ti ricordi di come è invecchiata di colpo quella collega che dopo anni di lavoro al nido ha chiesto di essere trasferita in biblioteca? mi dice un’educatrice che conosco da tempo. E di certo non si riferisce solo all’aspetto fisico.

Racconto di come qualche giorno prima in occasione di un’incontro presso una scuola per l’infanzia, ho incrociato nel corridoio una bambina che canticchiava tra sè e che mi ha rallegrato l’intera giornata.

E così torno a sentire il mio collo, la testa e il suo essere allineata con la colonna. Me ne rammento stamane mentre mi concedo una piccola passeggiata. Che strana sensazione. La posizione della testa è davvero diversa, lo sguardo spazia davanti a me e intorno a quanto mi circonda.

Per oggi basta asfalto, mi regalo solo cielo.

 

E poi la notte è diventata giorno

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di Irene Auletta

luci al mattinoStanotte ci siamo incontrate ancora, in uno dei nostri incontri che negli anni siamo riuscite a trasformare nella nostra speciale possibilità. Mentre intorno alle quattro di mattina sperimentavi assai curiosa un’interessante colazione fatta di biscotti che galleggiavano nel bicchiere del the, pensavo ad una recente conversazione avuta proprio a proposito dei problemi legati alla gestione del sonno da parte di genitori con bambini piccoli.

Non vedo l’ora che finisca. So che poi passa, ma mentre la vivo mi sembra di essere in un incubo!

Così mi dice una madre che, al terzo figlio, si ritrova immersa nella gestione di un momento che finora non le era ancora capitato di dover affrontare. Forse, in questo caso, la consapevolezza del cambiamento anziché essere di aiuto finisce con l’essere come un piede schiacciato sull’accelerazione della crescita, mostrando la fatica di sostare nei passaggi, anche gustandone e scoprendone sfumature inattese.

Un figlio che cresce molto lentamente e fa intravedere un orizzonte molto simile al presente, se non trascina in una crisi depressiva e di malinconia perenne, può essere un’interessante occasione per permettere al genitore di crescere insieme, lentamente, trovando nuove possibilità anche in quelle scene che sembrano ripetersi da anni sempre uguali.

Nell’ultima lezione Feldenkrais, l’insegnante ci ha guidato ad eseguire un movimento offrendoci l’immagine di una lentezza che sa aspettare. 

Attendere i tempi dell’altro, quando la crescita assume l’andamento a lumaca in un mondo di sfreccianti Ferrari, non vuol dire rimanere pietrificati nell’immobilismo o colludere con stereotipie patologiche, ma trovare nel valore di ciò che evolve pian piano, nuove possibilità creative.

Spesso, ragionando anche per professione sui temi della genitorialità, mi perdo a pensare a quanto i genitori potrebbero reciprocamente insegnarsi a seconda delle differenti esperienze che stanno attraversando e del peculiare rapporto con il tempo. Figli piccoli o grandi, sani o malati, abili o disabili, naturali o adottati, maschi o femmine e via discorrendo.

Lo slogan della differenza come possibilità è uno di quelli che trovo ad oggi tra i più stucchevoli ma non ho perso la speranza di cercare nuovi significati da esplorare e nuove pratiche da sperimentare ogni giorno.

Adda passà ‘a nuttata è una famosa frase contenuta nella commedia Napoli milionaria! di Edoardo De Filippo, divenuta nel tempo celeberrima. 

Mi piace condividerne la vena ottimista perchè, oltre a prefigurarsi l’alternanza di luce e ombra, invita al movimento e alla fiducia della ricerca, anche se si muove al buio.

E così sono arrivate le sei e mezza … seconda colazione o sonno?

Aggiustiamoci

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aggiustiamocidi Irene Auletta

Bella e intensa la lezione Feldenkrais di ieri sera. Angela, la nostra insegnante, ci anticipa un lavoro di ascolto profondo aggiungendo che “ognuno farà quello che sente di poter fare sperimentando movimenti e cambiamenti che riuscirà a percepire e a modificare solo affinando la propria capacità di ascolto”.

Regola generale che però ogni volta per me assume tinte peculiari come predisposizione a quella lezione e all’occasione per dedicarsi tempo e attenzione.

Nel corso dell’incontro Angela invita a sistemarsi alla ricerca della posizione più giusta per noi e per compiere quegli aggiustamenti che solo l’ascolto del nostro corpo può suggerirci con maggiore precisione. Qui ci si può liberare dei timori di essere poco adeguati, di non fare subito la cosa giusta e di rispondere, in qualche modo alle attese altrui. Ci si può aggiustare per capire come stare meglio, per trovare una posizione più comoda, per sperimentare, provare e riprovare, solo per il gusto di farlo e di scoprire le sorprese che il nostro stesso corpo ci riserva e rivela ogni volta.

In fondo, in incontri come questo, è possibile sperimentare quasi il contrario di quello che molti di noi attraversano altrove e che invece richiede immediatezza, prestanza, capacità di essere subito “operativi”. Parole d’ordine della nostra epoca che ormai sono diventate un must di cui sovente è difficile liberarsi.

Eppure mi giunge davvero potente l’idea di aggiustarsi perchè sembra restituire valore anche alla possibilità di partire un po’ sgangherati, incerti, goffi, non solo a livello fisico ma anche rispetto al nostro modo di incontrare e conoscere il mondo. Fa immaginare percorsi di apprendimento, scoperte e modifiche. Insomma, fa pensare che imparare può essere divertente anche per farci ridere della nostra goffaggine.

Durante la lezione riconosco miei diversi stati d’animo che assumono le tinte di quello che in questo momento attraversa la mia vita e, pensando in particolare a come hanno lavorato e si sono mosse le mie spalle, mi viene da restituire una doppia immagine. Un’ala libera e potente pronta a volare e una piccola sporgenza insicura, anche parecchio dolorante. Corpo e anima, abbracciati stretti stretti, a volte si possono raccontare storie incantevoli.

Uscendo la spalla dolente mi fa un po’ meno male e mi piace immaginare che sia perchè l’altra le ha fatto intravedere i voli possibili. In fondo è così anche la vita … basta solo aggiustarsi un pochino.

La confusione che insegna

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la cunfusione che insegnadi Irene Auletta

Durante le lezioni Feldenkrais  Angela, la nostra insegnante, spesso ci accompagna attraverso configurazioni mirate a differenziare.

Girate la testa a destra e gli occhi a sinistra. Ora invertite la direzione. Ruotate un braccio in una direzione e l’altro in quella contraria. Ricordate che differenziare è importante per rompere gli schemi di molti movimenti strutturati e per creare nuove occasioni di apprendimento.

Una delle partecipanti, durante l’ultima lezione, esprime un senso di confusione che l’insegnante accoglie e rilancia con valutazione positiva dichiarando proprio la sua intenzione di creare disorientamento.

Se attraversate lo stato della confusione nel movimento, potete sperimentare e trovare nuove forme di ordine e quindi raggiungere nuovi apprendimenti.

Penso a quanto le stereotipie del corpo possono insegnarci rispetto a quelle dei ragionamenti e dello sguardo gettato sui problemi quotidiani e mi diverto a fare un elenco di quelle appartenenti a queste ultime categorie. Chiunque può farlo spaziando tra gli ambienti di lavoro o quelli della propria vita personale, anche per sdrammatizzare la pesantezza che caratterizza molti scambi comunicativi.

Attraversando luoghi di formazione mi colpisce sempre la ritualità di alcune affermazioni, l’esibizione di molti luoghi comuni, la povertà di ragionamenti pieni di punti esclamativi. Allo stesso modo però mi giunge piacevole e stimolante il movimento creato dalle domande, dai ragionamenti capovolti, dalle provocazioni intelligenti e da quello stato di confusione che accompagna una riflessione che si sta riorganizzando per esplorare nuove forme possibili.

Con Monica, collega e amica, abbiamo fantasticato di educatori, assistenti sociali, insegnanti, psicologi e pedagogisti, sdraiati a terra a sperimentare ciò che accade attraverso il lavoro sul corpo per poi provare a trasferirlo, analogicamente, alle proprie pratiche professionali.

Qualcuno sta già intraprendendo percorsi simili, vuoi dire che è giunto il momento anche per noi? Le iscrizioni sono aperte!

Lasciar andare

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lasciar andaredi Irene Auletta

I due protagonisti della scena appaiono particolarmente vicini e nitidi per effetto della visione in 3D. Momento clou del film Gravity dove i due sono costretti a separarsi affinchè almeno uno di loro possa sopravvivere. E’ lui che prende la decisione di sganciarsi dalla  compagna di viaggio dicendole con dolcezza che non dipende da lei, mentre la sente ripetere ostinatamente non ti lascio, non ti lascio.

Delicata faccenda quella del lasciare andare e ripensandoci mi accorgo che questo è stato un po’ il tema della settimana.

Durante la lezione Feldenkrais del martedì la nostra insegnante avvia l’incontro, come spesso accade, invitandoci ad ascoltare il nostro essere distesi a terra sulla schiena. Ci anticipa che durante la serata scopriremo quanti muscoli proseguono in uno sforzo involontario togliendo energia e non permettendo al corpo un completo riposo. Ogni volta mi sembra di intraprendere un’avventura di conoscenza del corpo e so bene che tra l’inizio della lezione e la sua conclusione avrò percezioni e sensazioni molto differenti.

Quasi a sentire i pensieri nelle teste di ciascuno Angela, l’insegnante, chiarisce subito che non si tratta di agire uno sforzo di volontà, che al contrario contribuirebbe a moltiplicare la tensione, ma di scoprire e ricercare altri modi per attraversare alcuni movimenti, producendo nuovi apprendimenti.

In fondo i movimenti del corpo e quelli della psiche o dell’anima li sappiamo procedere a braccetto e così, mentre mi accingo a ripensare alla seduta, non posso fare a meno di pensare che la faccenda mi tocca anche come madre.

Difficile lasciarti andare in un luogo poco familiare, dove ancora non ti conoscono e non ti capiscono. Difficile non sostituirsi alle affermazioni stonate che ti dipingono con molta superficialità. Difficile rispettare l’orario e non farsi travolgere dall’impulso di mollare tutto e correre a prenderti.

Quando i muscoli rimangono contratti la colonna fatica ad estendersi naturalmente in tutta la sua lunghezza e il corpo, contraendosi, si accorcia chiudendosi su sè stesso.

Quando la voce di Angela mi raggiunge facendosi spazio tra i pensieri, rallento, respiro più profondamente e quasi mi pare di percepire quella sottile tensione che fatica a lasciar andare alcuni muscoli al loro completo riposo.

Provo ad andare oltre la volontà e mi concentro sull’ascolto. D’improvviso prende spazio il battito del cuore e mi travolge una forte emozione.

Ecco, ora la colonna distesa a terra può finalmente riposare un po’.

Sette millimetri di gioia

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sette millimetri di gioiadi Irene Auletta

Sono dal parrucchiere con la tinta in posa, in completo ozio, accomodata sulla poltrona e persa nei miei pensieri. Alle mie spalle mi raggiunge una voce maschile e subito il saluto di una signora lì presente che accoglie suo figlio, evidentemente contenta di poterlo presentare. Rivolta al personale del negozio esordisce con un “ve lo ricordate quando lo portavo qui piccino per tagliargli i capelli? Ora è un uomo”.

Seguono le solite frasi che in queste occasioni non possono mancare, sottolineando in particolare l’altezza del giovane uomo. La madre finge austerità mentre gongola per il suo figliolo, felice della combinazione genetica che ha unito la sua corporatura all’altezza del marito. Peccato per mia figlia, prosegue, lei invece è più bassa, non è stata fortunata come lui. Certo la cosa importante è la salute ma se anche lei avesse preso qualche centimetro in più sarebbe stata perfetta.

Mi sento lontana anni luce da questi commenti ma comprendo bene la soddisfazione di questa madre e mi piace la luce che brilla nei suoi occhi mentre parla dei suoi figli.

Non posso fare a meno di pensare a me, a te e al fatto che spesso qualcuno ti definisce alta, probabilmente per la fatica a riconoscere la tua età o forse per il confronto fatto più con una bambina piccola che con una ragazzina quasi sedicenne.

Anche noi ogni tanto ti guardiamo e non possiamo fare a meno di commentare non ti sembra un pochino più alta? 

Anche stamane quello che è ormai diventato il nostro gioco segue il rituale di prassi. Muro di riferimento con precedente segnetto, scatola da mettere sulla testa e tutti pronti per la prova altezza con te che un po’ ridi e un po’ sfuggi perchè stare ferma non è proprio il tuo punto forte.

Attenzione, attenzione in effetti il segno precedente si è spostato e noi esultiamo con te che ci guardi senza capire.  Amore sei più alta di ben sette millimetri, evviva!

Sei veramente una pulce ma noi ti guardiamo sorridendo perchè siamo fieri del tuo portamento e del fatto che quando recuperi una postura più corretta anche il tuo modo di camminare migliora notevolmente.

Settimana prossima seduta da Angela, la tua terapista Feldenkrais.

Vedrai, quando la mamma verrà a prenderti le sembrerai un gigante!

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