Dalle-profondità-del-Mediterraneo-l-organismo-più-antico-della-Terra-638x425di Irene Auletta

Bellissima lezione quella di ieri sera al gruppo Feldenkrais. L’insegnante ci presenta il lavoro annunciandoci un’esplorazione alla ricerca delle sensazioni legate alla coscienza dello scheletro. Mi sembra un enunciato assai interessante e siccome arrivo all’incontro molto stanca già mi pregusto il piacere della nuova scoperta, assaporandomi questa pausa preziosa che mi regalo una volta alla settimana.

Oggi mi ritorna spesso in mente, nelle parole e nelle sensazioni provate. E riemerge proprio in quel preciso momento lì.

Incontro tanti genitori con figli disabili, sto dicendo ad una madre, e molto spesso sento tanta rabbia nelle loro parole. La signora, madre di un figlio disabile adulto, da anni impegnata in progetti sociali e culturali sul tema, mi guarda dritto negli occhi. La mia non è rabbia, e’ disprezzo!

Sembra stupita quando le restituisco che si vede, perché la mimica e il tono della sua voce mi arrivano allo scheletro, intrecciandosi con le parole di Angela, la nostra insegnante Feldenkrais. Sentire lo scheletro parla di un ascolto molto profondo e delicato, perché parla del contatto con la propria essenza.

Mentre la nostra conversazione prosegue, dico qualcosa che evidentemente il mio interlocutore non gradisce o non condivide, interpretando forse in modo non corretto una mia dichiarazione di dispiacere. Io continuo così come genitore, dice sempre la signora con una punta di stizza, tu prosegui pure a fare il formatore!

Eppure, lei è la stessa persona che un paio di settimane fa ci ha tenuto a dirmi che aveva saputo che ero la “moglie di”, facendo ben comprendere quindi di sapere anche che sono la “mamma di”. E allora cosa e’ successo? Incontrandomi nei panni di un operatore mi ha trasformata immediatamente in qualcuno verso cui andare contro? Qualcuno che di sicuro non può capire?

Mi torna in aiuto l’ascolto dello scheletro di ieri sera, quel contatto con un se’ troppe volte trascurato e travolto dalle contingenze di un frenetico quotidiano. So bene quanta rabbia si incontra come genitore di un figlio disabile o malato e ogni volta mi ricordo che è l’altra faccia di quel dolore, che ogni giorno si cerca di far maturare, in una ricerca di significati che aiuti a non soffocare nella malinconia.

Stasera, mentre ti sono sdraiata vicino, giochiamo a sentirci lo scheletro e tu, forse direbbe Angela, da sempre anche tua insegnante, sei più brava di me a farlo anche se non puoi raccontarmelo. Io ci provo e mi auguro di incontrarlo senza rabbia e tantomeno disprezzo.

Lo spero non per salvaguardare gli altri o fingermi la buonista che non sono, ma per me e per te.

Lo spero per curare le nostre essenze, nutrirle di bellezza e proteggerle, al di la’ di quello che gli altri riescono a fare, con il calore dei nostri incontri che mi auguro non smetteremo mai di cercare.