di Irene Auletta

Siamo solo a metà settembre ma sempre più spesso raccolgo commenti che sottolineano riprese già in affanno, settimane molto impegnative e periodi pieni.

Mi sono imposta lentezza al rientro dalle vacanze e forse per questo mi colpiscono questi commenti tanto orientati alla rincorsa di mille cose da fare, che poi, inevitabilmente, qualcuna ne rimane sempre fuori.

Qualche giorno fa, mentre ho rischiato per l’ennesima volta di perdere la coincidenza per ritardo del Freccia Rossa, complici i tacchi, mi sono imposta il mantra della mia maestra Feldenkrais, “velocemente ma senza fretta”. Forse sto invecchiando ma tutto questo affanno da tempo  lo sopporto poco e soprattutto ho maggiore consapevolezza del fatto che mi toglie, oltre al respiro, il piacere dei piccoli particolari di quanto mi circonda. 

Prima della partenza ci siamo guardate insieme il finale del film che ti sei gustata al rientro dal Centro. Mezz’ora tutta per noi, immerse in quel nulla pieno del tanto che ho messo in valigia come compagnia fino al giorno successivo. Il silenzio del nostro amore mi ha insegnato a rallentare per ascoltare e a tacere per sentire.

Ma secondo lei mia figlia, con questa grave disabilità, quando non ci sarò più sentirà la mia mancanza? mi ha chiesto qualche tempo fa una madre che probabilmente neppure immagina quanto la sua domanda mi riguardi.

Il ricordo di questo incontro riemerge, quando meno me l’aspetto, a pizzicarmi gli occhi e, mentre ragiono sulla lentezza, penso che forse la strada è proprio quella di non perdersi occasioni preziose per donarsi quel tempo che lascia segni nella carne e nel cuore. Mi piace pensare che il ricordo rimarrà in quelle sensazioni che l’esperienza ha reso possibili e questo, nella tristezza, come un magico unguento arriva a curare le ferite.

Poco dopo, un sorriso si affaccia a salvarmi da un attacco di malinconia quando ferma al semaforo sento un ragazzo dire: signori e signore aspettate un attimo a mettervi il cappotto, siamo ancora in estate! 

Si, andiamo piano penso, che le tracce della memoria, come i semi più sensibili, hanno bisogno di cure, calore e tempo. E, solo allora mi accorgo che, lentamente, ho ripreso a respirare.