Tra sogni e pensieri

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tra sogni e pensieridi Irene Auletta

E poi ci sono quei periodi in cui ti sembra di essere intrappolata in un frullatore che, nell’impossibilità di distinguere giorno e notte, conferisce alle giornate quei toni onirici che ti raggiungono come ovattati. Problemi con il sonno ne hai sempre avuti e sicuramente abbiamo passato anni davvero difficili, ma stavolta pensavamo di averla scampata e invece, da diverse settimane, eccoci ancora qui a darci il turno di notte, io e tuo padre.

Eppure, proprio mentre ti sto aspettando di ritorno dal Centro, mi accorgo che il mio stato d’animo è completamente diverso da quel passato che mi ha visto tante volte disperata. Con i nostri altri e bassi, mi pare di essere sempre alle prese con qualche problema o qualche difficoltà nuova che, negli anni, sembrano essere diventati la nostra normalità. Vuoi dire che è per questo che tutto sommato mi sento serena?

Certo la stanchezza ogni tanto aggiunge nuove bandierine al tabellone delle fatiche a segnalare che urgono nuove soluzioni, ma lo stato d’animo è assai differente da quando mi pareva che non sarei sopravvissuta ai ritmi che hai imposto alla mia vita, quando sei arrivata.

Mamma … Mamma…. Mamma… Mentre sto sistemando il tuo balcone sento in strada il pianto forte di un bambino piccolo che il probabile nonno sta cercando di consolare mentre la madre si allontana voltandosi più volte per fare un cenno di saluto con la mano. Quel pianto e quel richiamo mi raggiungono nel cuore e mi collegano subito a te che in queste ultime settimane stai affrontando tanti cambiamenti. Vorresti ogni tanto urlare mamma, mamma pure tu, anche se sei una ragazza? Vorresti protestare perché non ti stanno bene alcune cose? Vorresti esprimere la gioia per una bella esperienza e nuovi incontri? Chi lo sa.

Io impazzirei a non capire, mi dice una collega che non sa di trovarsi difronte a qualcuno che ha imparato a ingoiare pietre e che tante volte ha avuto l’impressione di “uscire pazza”.

E poi ripenso alle nostre ultime notti insonni, alle domande nuove, ai dubbi, alla tua e alla nostra stanchezza. Ci sono genitori che si sentono quasi degli eroi quando raccontano di essere sopravvissuti alle notti insonni dei primi tre anni di vita dei loro figli e ce ne sono altri che in una chat privata la mattina si raccontano con ironia, leggerezza e affetto della notte dei loro figli di diciotto, diciannove, trentatré e trentasette anni. Ognuno a suo modo affronta la propria avventura.

Noi abbiamo dovuto imparare che la notte svela misteri e, a volte, rivela incontri inattesi e sorprendenti tra cuori alla ricerca.

Compiti tecnologici

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compiti

Di Igor Salomone

L’altro giorno su Fb il tema erano le chat-genitori e i registri elettronici, grazie a questo post che ho condiviso. Di condivisione in condivisione il succo del dibattito è stato: il problema non è la tecnologia, ma l’uso che se ne fa. Tesi piuttosto diffusa che voglio confutare.

Un fucile è un fucile. Puoi farne molteplici usi, ma resta sempre uno strumento costruito per lanciare proiettili a gran velocità contro un bersaglio che il più delle volte è un essere vivente. Stesso discorso per un’automobile, un ferro da stiro, una penna stilografica. Nessun strumento è neutro rispetto all’uso che se ne può fare, per definizione. Infatti nella nostra lingua si dice sempre “strumento per”.

Dunque, prima di dire che l’uso di una chat tra genitori di una stessa classe o l’uso di un registro elettronico in una scuola “dipendono dall’uso che se ne fa”, occorre chiedersi quale sia la funzione di una chat o di un registro scolastico.

Una chat è uno strumento di condivisione. Comunque la usi e qualsiasi contenuto trasmetti, resta uno strumento di condivisione. Dunque la domanda corretta è: cosa è legittimo che i genitori di una stessa classe scolastica condividano tra loro? Quindi non “come”, ma “perché”. Che è esattamente il tipo di domanda che l’autrice di quel post poneva a proposito dei compiti dei figli.

I “compiti” sono per definizione uno strumento pedagogico a disposizione dell’insegnante per stimolare l’allievo a esercitarsi e ad apprendere. Quindi sono sostanzialmente un rapporto tra il singolo insegnante e il singolo allievo. Trattandosi di compiti comuni, poi, il “compito” diventa anche una questione che riguarda il gruppo degli allievi nel suo assieme.

Nel tempo, anche i genitori sono stati progressivamente tirati dentro questo cerchio e stiamo ancora cercando di capire sino a che punto sia giusto. Il rischio era ed è che una questione che riguarda squisitamente il rapporto insegnante-allievi, subisca un processo di delega nei confronti dei genitori. Facendo progressivamente smarrire il senso stesso del “compito”.

Se questo è lo stato dell’arte, la domanda da porsi è: come trasforma il senso stesso di ciò che chiamiamo “compito”, il fatto che diventi oggetto di condivisione collettiva tramite chat da parte dei genitori? Non ho una risposta, ma questa mi sembra una domanda sensata sull’uso della tecnologia che chiamiamo “chat” in ordine al problema compiti scolastici.

Ovviamente per il registro elettronico, occorre fare il medesimo percorso.

Il gusto dei pensieri

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Edu-gusto CARTOLINA ultima

di Irene Auletta

Pronti per iniziare. I bambini portano con sé aria frizzante, in quella loro impazienza di scoprire cosa si cela dietro quella porta chiusa. Gli adulti, più prudentemente, cercano di capire cosa accadrà, visto che hanno appena compreso che oggi la nostra proposta di laboratori prevede adulti e bambini separati nel loro percorso di ricerca.

Mentre i bambini si affidano, con fiducia e curiosità, alle colleghe che vestono i loro speciali panni di scienza-chief , a me il compito di condurre il gruppo di adulti nel loro laboratorio delle scoperte. Si, perché il nostro progetto Edu-gusto, vuole focalizzare proprio l’attenzione su aspetti diversi, con la finalità di far emergere quel complesso dialogo tra leggerezza e profondità, tra divertimento e apprendimento, tra sapori e saperi.

A disposizione dei genitori ingredienti semplici come pane, frutta fresca e secca e biscotti, affinché la riflessione sia accompagnata dalla preparazione di una piccola merenda per i loro bambini. Le mani si orientano subito al lavoro, mentre invito a raccogliere pensieri sparsi. Cosa vi immaginate stiano facendo i vostri figli nell’altra stanza? Cosa vuol dire per voi ritrovarvi insieme a preparare qualcosa per loro e come li pensate in questo momento? Cosa ne dite se mentre un gruppo prepara la merenda l’altro raccoglie i fili di ciò che accade per costruire una storia da raccontare dopo ai bambini?

Il cibo viene subito trasformato e compaiono immagini che invito a nominare, per quelli che potrebbero essere alcuni dei personaggi della nostra storia per i bambini. L’atmosfera è di gioco e, mentre alcuni adulti si fanno guidare nelle scoperte/riflessioni che pian piano prendono forma ed emergono, altri rimangono scettici ad osservare la scena. Sollecitati, rispondono che forse si aspettavano di lasciare i bambini e andare a bere un caffè, forse avevano immaginato di fare qualcosa insieme o forse ancora di aspettarli senza fare nulla. Vuoi dire che è più semplice manipolare cibo che pensieri?

Come dico anche a loro sarà molto interessante vedere cosa accadrà poco dopo quando, come previsto dal nostro progetto, adulti e bambini si incontreranno nuovamente per raccontarsi cosa è accaduto nei singoli laboratori. Gli ingredienti che metto a loro disposizione sono le domande, le curiosità, gli stimoli per alcune riflessioni intorno al tema “educare al gusto” e la possibilità di scoprire insieme che l’incontro con il cibo può essere un modo per approcciare il gusto nelle sue molteplici sfumature.

Nella scena successiva ci ritroviamo insieme, adulti e bambini, uniti dal racconto dell’esperienza, dall’esibizione di quanto i bambini hanno sperimentato e dall’offerta del cibo preparato dai genitori, insieme alla loro storia. I bambini sono seri, emozionati e desiderosi di raccontare le loro molteplici scoperte trattenute, dopo la sperimentazione, sui tanti disegni appesi al muro e che, al termine, potranno portare a casa per continuare a raccontarle ai loro genitori. I genitori, nel clima festoso, sono di fronte alla possibilità di scoprire qualcosa di nuovo. A loro la scelta di coglierla o meno.

Mentre la sala è vuota e siamo rimaste sole nell’opera della raccolta, del riordino e dello scambio delle prime positive impressioni sulla giornata, lo sguardo rivolto al muro ci rivela che metà dei disegni sono rimasti lì.

Onde di sguardi

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imagedi Irene Auletta

Lo ricordo ancora molto bene quel sentimento di anni fa. Primo convegno organizzato dall’organizzazione sindrome di Angelman, primo incontro con altri genitori e primo confronto con altri bambini e ragazzi che sulle spalle si portavano quella tua stessa diagnosi a noi nota solo da pochi anni.

Lo ricordo bene il mio sguardo che posandosi su ciascuno di loro si misurava con un rinnovato tuffo al cuore. Ma tu assomigli davvero a quel bambino? Diventerai così crescendo? Dietro al sorriso a volte un po’ forzato di quei genitori si cela lo stesso batticuore e quella morsa alla gola che ora sembra impedirmi di respirare? Mi vedo ancora muovermi negli spazi, quasi attaccata alle pareti, con gli occhi abbassati per celare le onde delle lacrime.

Sono passati tanti anni e da allora la madre che sono diventata ha fatto parecchia strada, tra salite e discese. Oggi sono qui senza di te ma, con un emozione quieta dolceamara, ti ritrovo in quella camminata, nella risata di una bambina, negli occhi attenti di un ragazzo. Il dolore, anni fa aspro e quasi insopportabile, mi pare addolcito dal tempo e mostra tinte tenui che quasi mi fanno tenerezza.

Vedo te in tanti bambini e ragazzi presenti e vedo me negli occhi di molte madri che incrocio. Tante mi salutano parlando dei miei post, di quanto si ritrovano nei miei scritti e di come vi intravedano ogni volta il riflesso dei loro pensieri e delle loro emozioni.

Ma quante cose sono cambiate in questi anni? Allora è proprio vero che il tempo cura le ferite? Il dolore può essere addolcito dalle carezze dei giorni?

In incontri come questi si viene di certo per ascoltare e cogliere i nuovi progressi della scienza ma, ancora di più, mi pare si partecipi alla ricerca di nuove alleanze emotive, sintonie di cuore e comuni fili di speranza.

Insieme, fianco a fianco, occhi negli occhi, sembra di farcela un po’ di più e i cuori che battono all’unisono ci regalano una musica …. degli angeli.

 

Fitte di libertà

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fitte di libertàdi Irene Auletta

La cosa interessante e quasi sempre stupefacente dei momenti di pausa è la loro possibilità di svelare quello che, nel frenetico snodarsi della vita quotidiana, finisce col diventare una routine normalizzata.

Per chi si trova impegnato da anni in relazioni di cura è spesso difficile ricordare come era prima o immaginare come potrebbe essere altrimenti.

Ed ecco che una vacanza, anche di pochi giorni, può venire in soccorso per restituire vista e nuovi sensi.

Ti sei divertita in vacanza? Rispondo di si con poca convinzione e non perché in realtà non mi sia divertita ma perché, quello che vivo nella distanza, è talmente altro e differente che quasi mi ritrovo immersa in un clima onirico che può raccontare poco o nulla al momento del risveglio.

Io ci ho messo un sacco di anni a sentire, riconoscere e nominare le pressioni di cura che una figlia disabile impongono e richiedono. In questo i padri hanno visuali decisamente differenti e forse ci arrivano prima. Per le madri mi sembra qualcosa difficile da dire quasi che ciò possa in qualche modo scalfire quell’amore straordinario che molto più facilmente si esprime e condivide. Anche in questo però il passare degli anni gioca il jolly e alcune consapevolezze per emergere e, soprattutto per dichiararsi legittime e sane, trovano pertugi da cui uscire per respirare aria nuova, mentre i figli crescono.

Vedrai, vedrai … I figli ti cambiano la vita! Chi, ancora nel momento della gravidanza, non si è sentito rivolgere questa affermazione con accenni tra il dolce e l’ironico?

Da molti anni incontro per professione genitori e il tema della libertà non è certo tra quelli più richiesti. Eppure è la prima esperienza forte che ogni genitore si ritrova a vivere di fronte a quella nuova presenza che, nell’incontro con un’inedita esperienza di amore, pone da subito limiti e condizioni. Forse la paura del giudizio è ancora troppo dominante o può essere che l’idea di cura e dedizione siano divenuti sinonimi.

Riflettere sul valore della libertà osservando il proprio ruolo genitoriale può essere un’interessante occasione per estendere lo stesso sguardo anche alla relazione con i figli. Quante volte bisogna essere capaci di lasciarli andare nella conquista di quelle piccole e grandi libertà che segnano il loro percorso di crescita?

A volte è più semplice, a volte meno. Proprio dove è più complesso, sono i jolly che cambiano la vita, anche quando ti arrivano come un pizzico improvviso.

Amico vento

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Mi ci abituerò mai? Allora signora, partendo da quell’episodio di grave crisi del duemilauno ci racconta un po’ come sono andate le cose?

Ecco. Ci risiamo a ripercorrere una narrazione da via crucis nonostante l’accoglienza dei medici e l’immediato senso di fiducia che mi trasmettono. In certe situazioni il cuore va per i fatti suoi e io cerco di non perdere di vista mia figlia che rischia di rimanere sempre più sullo sfondo, quasi sbiadita rispetto a tutte quelle parole difficili e complesse.

Le diagnosi, i sintomi e le terapie, quando si parla di malattie serie, tolgono il fiato soprattutto se ad ascoltarle c’è un genitore.

In quel momento quasi mi dimentico della disabilità e rammento che sempre più di frequente mi ritrovo ad incrociare esperienze che le mettono entrambe in scena. La disabilità appunto e la malattia. Problemi diversi che insieme, ancora dopo tanti anni, mi provocano una forte vertigine. E poi, proprio in certi momenti, chissà come ti vengono in mente quelle frasi sentite tante e tante volte. “No, no, non l’ho fatta l’amniocentesi perché comunque non avrei mai interrotto la gravidanza!”.  “La madre è  un’ansiosa e lo tratta troppo da piccolo”. “Si è vero, avrà anche delle difficoltà, però è furbo e ci marcia”.

Proprio voi, cari signori con tutte queste belle certezze, provate a sbirciare in questo ambulatorio, ad ascoltare cosa i medici stanno commentando in presenza dei genitori e come descrivono lo stato di salute di questa ragazzina. Lo sentite? Tum. Tutum. Tum. Tutum. Non è un’eccezione in occasione di un qualche imprevisto. È un battito amico che non ti lascia mai e, se non impari a volergli un po’ di bene, è un vero casino. Solo dopo aver fatto questo, posso ascoltare e rispettare tutte le vostre “indiscutibili” affermazioni che forse neppure immaginano di cosa stanno parlando.

Già che ci siamo facciamo una rivalutazione a trecentosessanta gradi. Ancora? Ma quanti cavolo di giri intorno al mondo abbiamo fatto in poco meno di diciotto anni? Davvero non mi aspettavo di vederla così bene, dice il tuo medico storico che, ora in età da pensione, sta facendo il passaggio del testimone ad una nuova equipe. Solita storia anche questa. I tuoi esami dicono alcune cose e la tua persona, le tue espressioni, la tua tenace seppur lenta crescita ne raccontano altre. E vabbè, vorrà dire che vorremo bene pure all’ambivalenza eterna.

Mentre ci dirigiamo verso la nostra auto il vento forte ti fa ridere con quella tua risata infantile irresistibile. Vento, vento forte, porta via la preoccupazione e le paure!

Il cielo è blu e il cuore più quieto. Il vento non si smentisce mai.

Eco di fiducia

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principessa ranocchiodi Irene Auletta

Delle stereotipie non ne parla nessuno. O meglio. Ne parlano le diagnosi, i manuali e i dizionari. “Qualcosa che viene ripetuto allo stesso modo e sempre uguale”. Un comportamento, un gesto, un verso, un movimento.

Però in pochissimi si spingono a parlarne nei termini relazionali e vale a dire interrogando quanto, come genitori o operatori, ci si ritrova quotidianamente ad affrontare e a vivere nella gestione di tali comportamenti. Temo ci sia del pudore perché, al di là di tutte le comprensioni e interpretazioni possibili, bisognerebbe premettere che ti mandano al manicomio. O almeno, questo accade a me.

La cosa che salva ci disse una mamma conosciuta parecchi anni fa, è che si alternano e, quando ti sembra di non riuscire più a sopportarne uno, ecco che ne arriva un altro diverso a darti tregua! Allora mi sembrò una descrizione terribile e qualcosa di tanto lontano da quel fiorellino di poco più di due anni che avevo di fronte.

Negli anni, io e tuo padre ci abbiamo ripensato tante volte e altrettante la fiducia in quel cambiamento preannunciato ci ha permesso di sopportare momenti molto difficili, quasi insostenibili.

Il mondo non ti aiuta. Ma come, così grande ancora con il dito in bocca? Ma non si fa quel verso! Oggi Luna ha continuato a fare la sciocchina. E via di questo passo commettendo sempre lo stesso errore e cioè quello di banalizzare e attribuire intenzione a qualcosa che va ben oltre e che, sovente, porta con sé tutta la sofferenza legata a quel gesto o comportamento che tende a sopraffarti.

Secondo me le stereotipie sono contagiose perché inducono in chi le incontra, non come diretto interessato, un bisogno incontrollato di ripetere continuamente e insistentemente le medesime cose. Una stereotipia, appunto.

E allora ci provo ogni volta a fare qualcosa di diverso e a inventarmi nuove strategie ma molto spesso mi ritrovo a misurarmi con la frustrazione di un insuccesso. Chissà perché mi viene in mente proprio mentre sto scrivendo quella scena vista tante volte nei cartoni animati. La ragazzina che guarda il cielo e le stelle per esprimere un desiderio ripetendo ti prego, ti prego, ti prego.

Forse anche stavolta ho sbagliato la mia risposta stereotipata. Devo provare con questa.

Passerà, passerà, passerà.

Fiori al tramonto

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fiori al tramontodi Irene Auletta

Che fai ci vieni a prendere in stazione? Solo se puoi però … va bene?
Arrivare alle sette di mattina a Milano potrebbe voler dire per tanti scegliere di prendere un taxi per raggiungere la propria destinazione. Ma non per voi che appartenete a quella generazione che viaggia un po’ sfasata tra ieri e oggi.

Quando arrivo vi vedo subito li in attesa. Due anziani e mamma un po’ di più. Mi fate lo stesso effetto ogni volta che vi incontro dopo una pausa di tempo e forse accade lo stesso a tutti i figli adulti con i loro genitori, sempre più maturi.

Mi pare ogni volta che sfilino a confronto diverse immagini e quella del presente ci mette spesso qualche secondo per mettersi a fuoco. Siete i miei genitori e dentro di me le vostre espressioni e i vostri visi scorrono nel tempo, soffermandosi su alcuni più radicati nella memoria e che non sempre corrispondono esattamente alla fotografia del presente.

Avete fatto un buon viaggio? Siete stanchi? Iniziano i racconti che si alternano alle domande e subito quelle sulla nipote occupano la scena, riuscendo ogni volta a scaldarmi il cuore. Fate quello che riuscite nei confronti di questa vostra unica nipote un po’ ufo che spesso comprendete più di quanto appare nelle vostre relazioni con lei, a prima vista goffe. Siete la conferma che l’amore colma ogni lacuna e fa lo sgambetto alle incertezze.

Guardo mio padre dallo specchietto retrovisore. Vedo quegli occhi verdi che non ha lasciato in eredità a nessuno di noi brillare di quella luce celata per tanti anni dagli affanni della vita e da quell’espressione austera che oggi viene sostituita tante volte da una dolcezza inattesa.

Ti sei alzata presto? Sei stanca? Grazie per essere venuta a prenderci.

Giunti a destinazione, vi guardo allontanarvi verso quella vostra casa milanese che abitate a mesi alterni e che vi vede ancora viaggiatori tra nord e sud.

Prima di correre alla mia vita di madre che mi aspetta a casa, trattengo negli occhi di figlia il vostro saluto e il sorriso stanco pensando che avrei attraversato la città anche di notte per non perdere questo momento.

Gli anni sono volati nella nostra storia e questi sono i giorni del tramonto. La loro luce e la dolce malinconia che li accompagna non hanno prezzo.

Torno a casa cantando.

Coraggio tenace

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prove di coraggio

di Irene Auletta

Ma quanto ti piace guardare i nostri filmini? Babbo, da intenditore, non perde occasione per fare riprese che possano raccontare delle nostre esperienze, lasciandone traccia nelle nostre menti, nel cuore e nei tuoi occhi sempre attenti. Proprio in questi giorni ne abbiamo ripescati alcuni dei tuoi primi sei, sette anni di vita e, come segni indelebili, ogni volta mi pare di veder riemergere stati d’animo, emozioni, pensieri e preoccupazioni.

Ti ricordi quell’anno? E quando siamo andati a fare quella gita? Oddio, e quella scenata che ha fatto nel ristorante? E quanto rideva mentre avete fatto quello scivolo dentro ai gommoni?

Quello che mi piace di più, guardandoli, è la visione bonificata che riesco a farne ogni volta, lasciando sullo sfondo le tue proteste, le urla, le volte che ti sei buttata per terra e via discorrendo. Le immagini ti vedono protagonista, con me e il tuo babbo mentre provi, sperimenti, scopri e curiosi. Quasi sempre sei divertita come se l’idea stessa della ripresa ponesse in luce solo i lati più gioiosi e leggeri di quel momento. Raramente posso fare a meno di far convivere dentro di me il contrasto delle emozioni. Gioie e dolori, preoccupazione e leggerezza, malinconia e speranza.

Ti osservo intorno ai cinque anni, ancora incapace di camminare da sola, barcollante e aggrappata alla mia mano mentre ti dirigi con tenacia e decisione verso una piscinetta che ti attende nel giardino di quella nostra casa di vacanza. In altre immagini, mi commuove vederti alle prese con quei gradini che sembrano la scalata dell’Everest mentre provi a salire solo per il desiderio di raggiungere qualcosa che, poco più in là, ha catturato la tua attenzione. Ogni volta sembra di assistere ad un’impresa e tu, insisti.

Mi torna in mente un post scritto da una madre in cui parla della testardaggine del figlio che ha la tua stessa disabilità. Già, ancora la testardaggine, quel carattere ricorrente di cui mi è capitato di scrivere più volte.

Ma quanta fatica hai già fatto tesoro nella tua vita? Quanta tenacia ti ci è voluta per arrivare fin qui e quanta incomprensione hai dovuto accettare in un mondo che non ti capisce?

La tua risata cristallina mi riporta alle scene sullo schermo e a noi. Cantiamo allegri mentre stiamo percorrendo un sentiero di montagna, inventandoci uno dei nostri mille giochi per permetterti di andare e di provare, nonostante la fatica evidente ad ogni passo. Giuro che la prossima volta che ne scrivo, partirò da un’altra domanda.

Ma quanto coraggio ci vuole?

Rimembranze

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maestra - rimembranzedi Nadia Ferrari

Riunione dei genitori nuovi iscritti alla scuola dell’infanzia e come di consueto da oramai un po’ di anni presento la parte educativo-didattica, cioè le fondamenta pedagogiche sui cui si basa il nostro intento d’insegnanti e i vari laboratori ed attività a sostegno dei traguardi formativi.

Mentre parlo di fronte a me c’è un signore di mezza età, capelli ricci brizzolati, attento che mi ascolta interessatissimo e quando la parola passa ai genitori ingaggia un dialogo corollato da domande molto puntuali che ci permettono di mettere a punto aspetti formativi importanti rimasti sullo sfondo.

Dentro di me penso con soddisfazione quanto sia importante che nel primo momento d’incontro tra scuola e famiglia si configuri uno scambio e che pure i genitori, che di solito assumono passivamente un ruolo d’ascolto, intervengano con le loro esigenze e richieste anche se, allo stesso tempo, l’incalzare delle domande tra sconosciuti alla lunga “stanca” ed impaurisce. La paura che sovviene é quella poi di creare troppe attese e di non essere all’altezza di sostenerle e così preferirei lasciare il passo alla conoscenza diretta. Paura spesso infondata ma che in me ancora vive dopo trentotto anni d’insegnamento.

La riunione si conclude, salutiamo con un arrivederci i genitori e mi dedico a sistemare gli strumenti (altoparlante, microfono ecc…).
 Il signore brizzolato mi si avvicina e attende che io mi accorga di lui. Quando alzo lo sguardo dal mio daffare lui mi dice: 
ma lei?


Io un po’ provocatoriamente pensando dentro di me: ancora domande? La riunione é finita! Rispondo sfidandolo dritto negli occhi con un sorrisetto sarcastico: si io?

Lei trentasette anni fa lavorava a Trezzano? 
Io incuriosita e di nuovo incerta rispondo affermativamente, mentre lui aggiunge nell’asilo di Rimembranze, dai verdi?


A quel punto d’impeto e inconsapevolmente passo al tu. Ma tu sei un mio allievo?

Si, risponde, sono F. A.

In quel momento mi é balenato dentro agli occhi il bambino che era e gli sono saltata al collo in un abbraccio affettuoso mentre lui pure emozionato sussurrava Nadia non sei cambiata per niente!

Dentro di me penso alla grande soddisfazione specifica degli insegnanti di lasciare segni positivi nella memoria dei bambini che incontrano. E anche di aver contribuito degnamente a farlo diventare uomo che non ha timore a porgere domande.

 

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