Fitte di libertà

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fitte di libertàdi Irene Auletta

La cosa interessante e quasi sempre stupefacente dei momenti di pausa è la loro possibilità di svelare quello che, nel frenetico snodarsi della vita quotidiana, finisce col diventare una routine normalizzata.

Per chi si trova impegnato da anni in relazioni di cura è spesso difficile ricordare come era prima o immaginare come potrebbe essere altrimenti.

Ed ecco che una vacanza, anche di pochi giorni, può venire in soccorso per restituire vista e nuovi sensi.

Ti sei divertita in vacanza? Rispondo di si con poca convinzione e non perché in realtà non mi sia divertita ma perché, quello che vivo nella distanza, è talmente altro e differente che quasi mi ritrovo immersa in un clima onirico che può raccontare poco o nulla al momento del risveglio.

Io ci ho messo un sacco di anni a sentire, riconoscere e nominare le pressioni di cura che una figlia disabile impongono e richiedono. In questo i padri hanno visuali decisamente differenti e forse ci arrivano prima. Per le madri mi sembra qualcosa difficile da dire quasi che ciò possa in qualche modo scalfire quell’amore straordinario che molto più facilmente si esprime e condivide. Anche in questo però il passare degli anni gioca il jolly e alcune consapevolezze per emergere e, soprattutto per dichiararsi legittime e sane, trovano pertugi da cui uscire per respirare aria nuova, mentre i figli crescono.

Vedrai, vedrai … I figli ti cambiano la vita! Chi, ancora nel momento della gravidanza, non si è sentito rivolgere questa affermazione con accenni tra il dolce e l’ironico?

Da molti anni incontro per professione genitori e il tema della libertà non è certo tra quelli più richiesti. Eppure è la prima esperienza forte che ogni genitore si ritrova a vivere di fronte a quella nuova presenza che, nell’incontro con un’inedita esperienza di amore, pone da subito limiti e condizioni. Forse la paura del giudizio è ancora troppo dominante o può essere che l’idea di cura e dedizione siano divenuti sinonimi.

Riflettere sul valore della libertà osservando il proprio ruolo genitoriale può essere un’interessante occasione per estendere lo stesso sguardo anche alla relazione con i figli. Quante volte bisogna essere capaci di lasciarli andare nella conquista di quelle piccole e grandi libertà che segnano il loro percorso di crescita?

A volte è più semplice, a volte meno. Proprio dove è più complesso, sono i jolly che cambiano la vita, anche quando ti arrivano come un pizzico improvviso.

Amico vento

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Moon-and-Star-ornaments-doors-decorated-metal-font-b-tube-b-font-font-b-wind-bdi Irene Auletta

Mi ci abituerò mai? Allora signora, partendo da quell’episodio di grave crisi del duemilauno ci racconta un po’ come sono andate le cose?

Ecco. Ci risiamo a ripercorrere una narrazione da via crucis nonostante l’accoglienza dei medici e l’immediato senso di fiducia che mi trasmettono. In certe situazioni il cuore va per i fatti suoi e io cerco di non perdere di vista mia figlia che rischia di rimanere sempre più sullo sfondo, quasi sbiadita rispetto a tutte quelle parole difficili e complesse.

Le diagnosi, i sintomi e le terapie, quando si parla di malattie serie, tolgono il fiato soprattutto se ad ascoltarle c’è un genitore.

In quel momento quasi mi dimentico della disabilità e rammento che sempre più di frequente mi ritrovo ad incrociare esperienze che le mettono entrambe in scena. La disabilità appunto e la malattia. Problemi diversi che insieme, ancora dopo tanti anni, mi provocano una forte vertigine. E poi, proprio in certi momenti, chissà come ti vengono in mente quelle frasi sentite tante e tante volte. “No, no, non l’ho fatta l’amniocentesi perché comunque non avrei mai interrotto la gravidanza!”.  “La madre è  un’ansiosa e lo tratta troppo da piccolo”. “Si è vero, avrà anche delle difficoltà, però è furbo e ci marcia”.

Proprio voi, cari signori con tutte queste belle certezze, provate a sbirciare in questo ambulatorio, ad ascoltare cosa i medici stanno commentando in presenza dei genitori e come descrivono lo stato di salute di questa ragazzina. Lo sentite? Tum. Tutum. Tum. Tutum. Non è un’eccezione in occasione di un qualche imprevisto. È un battito amico che non ti lascia mai e, se non impari a volergli un po’ di bene, è un vero casino. Solo dopo aver fatto questo, posso ascoltare e rispettare tutte le vostre “indiscutibili” affermazioni che forse neppure immaginano di cosa stanno parlando.

Già che ci siamo facciamo una rivalutazione a trecentosessanta gradi. Ancora? Ma quanti cavolo di giri intorno al mondo abbiamo fatto in poco meno di diciotto anni? Davvero non mi aspettavo di vederla così bene, dice il tuo medico storico che, ora in età da pensione, sta facendo il passaggio del testimone ad una nuova equipe. Solita storia anche questa. I tuoi esami dicono alcune cose e la tua persona, le tue espressioni, la tua tenace seppur lenta crescita ne raccontano altre. E vabbè, vorrà dire che vorremo bene pure all’ambivalenza eterna.

Mentre ci dirigiamo verso la nostra auto il vento forte ti fa ridere con quella tua risata infantile irresistibile. Vento, vento forte, porta via la preoccupazione e le paure!

Il cielo è blu e il cuore più quieto. Il vento non si smentisce mai.

Coraggio tenace

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prove di coraggio

di Irene Auletta

Ma quanto ti piace guardare i nostri filmini? Babbo, da intenditore, non perde occasione per fare riprese che possano raccontare delle nostre esperienze, lasciandone traccia nelle nostre menti, nel cuore e nei tuoi occhi sempre attenti. Proprio in questi giorni ne abbiamo ripescati alcuni dei tuoi primi sei, sette anni di vita e, come segni indelebili, ogni volta mi pare di veder riemergere stati d’animo, emozioni, pensieri e preoccupazioni.

Ti ricordi quell’anno? E quando siamo andati a fare quella gita? Oddio, e quella scenata che ha fatto nel ristorante? E quanto rideva mentre avete fatto quello scivolo dentro ai gommoni?

Quello che mi piace di più, guardandoli, è la visione bonificata che riesco a farne ogni volta, lasciando sullo sfondo le tue proteste, le urla, le volte che ti sei buttata per terra e via discorrendo. Le immagini ti vedono protagonista, con me e il tuo babbo mentre provi, sperimenti, scopri e curiosi. Quasi sempre sei divertita come se l’idea stessa della ripresa ponesse in luce solo i lati più gioiosi e leggeri di quel momento. Raramente posso fare a meno di far convivere dentro di me il contrasto delle emozioni. Gioie e dolori, preoccupazione e leggerezza, malinconia e speranza.

Ti osservo intorno ai cinque anni, ancora incapace di camminare da sola, barcollante e aggrappata alla mia mano mentre ti dirigi con tenacia e decisione verso una piscinetta che ti attende nel giardino di quella nostra casa di vacanza. In altre immagini, mi commuove vederti alle prese con quei gradini che sembrano la scalata dell’Everest mentre provi a salire solo per il desiderio di raggiungere qualcosa che, poco più in là, ha catturato la tua attenzione. Ogni volta sembra di assistere ad un’impresa e tu, insisti.

Mi torna in mente un post scritto da una madre in cui parla della testardaggine del figlio che ha la tua stessa disabilità. Già, ancora la testardaggine, quel carattere ricorrente di cui mi è capitato di scrivere più volte.

Ma quanta fatica hai già fatto tesoro nella tua vita? Quanta tenacia ti ci è voluta per arrivare fin qui e quanta incomprensione hai dovuto accettare in un mondo che non ti capisce?

La tua risata cristallina mi riporta alle scene sullo schermo e a noi. Cantiamo allegri mentre stiamo percorrendo un sentiero di montagna, inventandoci uno dei nostri mille giochi per permetterti di andare e di provare, nonostante la fatica evidente ad ogni passo. Giuro che la prossima volta che ne scrivo, partirò da un’altra domanda.

Ma quanto coraggio ci vuole?

Battiti all’unisono

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arcobaleno

(15 Febbraio – Giornata internazionale Sindrome di Angelman).

Per Matteo e Angela. In memoria del loro piccolo Davide

 

 

 

 

di Irene Auletta

A volte le emozioni occupano tutto lo spazio e le parole sembrano non riuscire a trovare uno pertugio per potersi intrufolare e dire. E’ stato un po’ così quando Paola mi ha chiesto di scrivere qualcosa per oggi, giornata di incontri e di ricordi. Difficile perché le parole possono essere mattoni o piume e oggi ne vorrei scegliere qualcuna leggera leggera, bianca e soffice come neve, tiepida come una carezza discreta.

Mi piacerebbe trovare parole per salutare e per dedicare pensieri a chi è vicino e a chi la vita l’ha portato altrove. Guardo mia figlia Luna nella speranza che lei possa ispirarmi grazie a quel silenzio fatto di mondi e di un mondo fatto dal nostro incontro. Saremo capaci noi parlanti a dire in silenzio dei nostri pensieri del cuore?

Mi viene in aiuto un racconto.

Qualche giorno fa una madre conosciuta tramite Facebook mi ha invitata a scrivere una prefazione a un suo scritto. Non ci siamo mai incontrate, abitiamo in città e regioni diverse, ma le nostre storie hanno qualcosa in comune che ci fa sentire intime estranee. Ci siamo scambiate mail ricche di un calore che non è facile trovare altrove, condividendo gioie e lacrime.

Accade così in queste storie a distanza che riescono a farci sentire la mano dell’altro nella nostra, i suoi timori, le sue gioie e quel respiro sospeso dagli eventi della vita. Sono incontri che posso riempirsi di un significato denso e leggero al tempo stesso come quel cielo carico di nubi che dopo un temporale sa donare agli spettatori i magici colori di un arcobaleno.

Luci e colori in cielo e in terra. Negli occhi di chi guarda e nel cuore di chi ascolta.

Nei pensieri che si fanno realtà nel ricordo e in quell’amore che ogni giorno ci rammenta il senso importante della vita e di ciò che è stato.

Ali tutte tue

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A fairy flying over a field with a palace in the background

di Irene Auletta

Ne parlavo qualche giorno fa con tua zia, di come vivendo con te scopro ogni giorno che quello che sovente viene definito normale, istintivo, naturale, è lontano anni luce dall’esperienza di vita tua e di tanti ragazzi come te, che la vita la affrontate a modo vostro.

Il fatto è che siete proprio voi a coglierci tante volte in castagna, lasciandoci lì ebeti a farci le solite domante. Ma come è possibile che non capisca questa cosa? Perchè sceglie sempre la strada più complicata per fare qualsiasi cosa? Se a volte sembra comprendere perfettamente come mai altre qualsiasi parola viene respinta come su un muro di gomma?

E noi lì a chiederci, cercare di capire, interrogare, esplorare. Noi lì, a dannarci l’anima. Almeno, questo vale sicuramente per me che in quel girone mi ci trovo particolarmente a mio agio e molto spesso anche in ottima compagnia.

Il bello del mio lavoro è che attraverso le parole degli altri, operatori e genitori, posso continuare a riflettere e a crescere, offrendo ogni giorno il contributo del mio apprendimento insieme a quello della mia competenza. Educatori di un centro per disabili mi raccontano della fatica di vedere l’adulto negli uomini e nelle donne, più o meno giovani, che ogni giorno incontrano nel loro servizio.

Difficile di certo per i genitori dicono ma poi, piano piano, scopriamo che lo è altrettanto anche per loro. Età anagrafiche, corpi, storie fanno a pugni con gesti, espressioni e comportamenti che, si sa, prendono maldestramente il sopravvento. E’ la croce del ritardo mentale o del deficit acquisito, come accade sovente anche con gli anziani. Ed ecco lì, uno dei tanti motivi che spinge a quel continuo infantilizzare persone di venti, trenta, cinquanta, sessant’anni.

Vuoi la merendina? Ti metto il cerottino? Sbucciamo la melina? Andiamo a fare la pipì? Aiuto, mi manca l’aria. Datemi anche l’ossigenino purchè mi permetta di respirare.

L’educazione ci trasforma mentre attraversiamo forme differenti di cultura. Per qualcuno stare in questo processo di crescita è più difficile, perchè di normale, istintivo, naturale, quando si ha qualche disabilità o deficit, non c’è proprio nulla. Ognuno trova il suo modo per sopravvivere e il mio è quello di continuare a imparare, insieme a te.

Stamane siamo ancora lì. Tu sei felice e provi a saltare, in quel modo tutto tuo che a vederti risulti proprio buffa. Tutto il corpo appare in elevazione tanto che ci si aspetta da un momento all’altro che il salto arrivi davvero. Invece i piedi rimango dove sono, bloccati a terra, dando al tuo movimento più l’immagine di un elastico che di un salto. Dai proviamoci ancora, ti aiuta la mamma … ci sei quasi!

Tu ridi e mi accorgo che a te, di alzare i piedi da terra, non importa nulla. Ancora una volta mi hai messo a tacere. Tra noi due, quella che vola davvero, sei sempre tu.

Madri all’antica

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madri antichedi Irene Auletta

Conosco questa signora da circa quattordici anni e già all’epoca del nostro primo incontro suo figlio era morto da molti anni. Mi ha sempre colpito, nel suo racconto di ieri e di oggi, quella memoria che riemerge ogni volta emozionata come se la perdita di quel suo primogenito fosse avvenuta solo poco tempo prima.

Quando un figlio ha male a un dente la madre sente male al cuore … o almeno per me è così. Dici che per le altre madri e’ diverso? Sarà che ho perso un figlio ma il dolore e’ sempre li come il suo posto nel mio cuore che nessun altro può invadere. Per voi madri moderne e’ diverso? Dico male tesoro?

Con quella esse aspra tipica dell’accento abruzzese che rende speciale il suo “tesoro” la signora Wanda mi commuove sempre perché so che mi guarda con occhi speciali ogni volta che si rivolge a me esclamando eh … noi mamme!

Parliamo mentre lei si dedica ad impastare le sue impareggiabili frittele, commentando il coraggio di una giovane madre che lei conosce da quando era bambina e che, dopo una difficile infanzia, ha avuto il primo figlio gravemente disabile senza rinunciare ad altre due successive gravidanze che le hanno fatto incontrare due splendidi bambini sani. Da qualche anno questa donna la conosco anch’io. Ci salutiamo timidamente, incrociandoci in spiaggia, a volte solo un un sorriso complice che ci sa vicine in un destino simile.

Mi sembra però che noi mamme, quando attraversiamo certi dispiaceri, rimaniamo per sempre tristi, al di là delle altre gioie che possiamo incontrare nella vita.

Non lo so Wanda come sono le altri madri ma io, che potrei essere tua figlia, mi sento molto vicina al tuo sentire, alla tua rinnovata commozione dopo anni dalla perdita e ai tuoi occhi sempre pieni di lacrime quando nomini il tuo figlio adorato scomparso. Ogni madre può vivere in modo diverso il rapporto con i propri figli e, ogni madre con un figlio malato o disabile, può trovare le sue vie per incontrare la vita e ciò che le ha riservato.

Luce e ombra, zucchero e sale, tristezza e speranza. Io sono così, forse decisamente all’antica.

Ci sono padri

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ci sono padridi Igor Salomone

Ci sono padri che scrutano nei figli ciò che i figli non hanno e non riescono a riconoscerli

Ci sono padri che si riconoscono in ciò che i figli non hanno e per questo li riconoscono come figli

 

Ci sono padri che dedicano la vita ai figli chiedendogli in cambio la vita

Ci sono padri che danno la vita per lasciare ai figli una vita da vivere

 

Ci sono padri che mandano i figli incontro alla morte e poi chiedono vendetta per la morte che li ha portati via

Ci sono padri che non sottraggono i figli alla morte quando la morte viene loro incontro e chiedono silenzio per il proprio dolore

 

Ci sono padri che uccidono le figlie perché hanno osato esprimere la loro volontà

Ci sono padri che lasciano morire le figlie, per rispettare le loro volontà

 

Ci sono padri che sottraggono alla morte i propri figli decidendo della vita

Ci sono padri che insegnano ai figli l’amore per la vita anche accettando la morte

 

Ci sono padri che fanno figli per una felicità fugace

Ci sono padri che nei figli trovano una “perdurante” felicità

 

“Nella vita di un uomo le condanne più dure sono due: dover dar voce a chi non ne ha e decidere per chi non è in grado” (Beppino Englaro)

Specchio genetico

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specchi geneticidi Irene Auletta

Erano anni che non partecipavamo più al pranzo organizzato da un gruppo di famiglie lombarde, unite dalla stessa sindrome genetica responsabile di quel tocco peculiare nella nostra storia di genitori e in quella dei nostri figli.

Ci identifichiamo subito a distanza perchè i figli che ci accompagnano non solo sono riconoscibili, ma mostrano anche diverse somiglianze tra loro. Mi ha sempre fatto un certo effetto questo aspetto. Estranei, spesso molto somiglianti ai loro genitori, eppure legati da un invisibile filo cromosomico che, diversamente per ciascuno, ha definito destino e vita.

In questi incontri, nel corso degli anni, ho attraversato parecchie tappe e forse più delle famose cinque fasi del dolore ormai recitate, oltre che nei testi specializzati, in tante di quelle serie televisive che hanno riempito le nostre case di conoscenze di tutti i generi.

Nello scambio di chiacchiere leggere che, finalmente dopo tanto tempo, riesco a concedermi, non mancano quegli incroci di sguardi che fanno intravedere profondità condivise senza alcuna esplicitazione. Sono evidenti molte fatiche osservando questi genitori che hanno trascorso anni nella ricerca di un delicato equilibrio. Si riconoscono a distanza quelli che hanno figli più grandi, o forse anche più gravi, perchè riescono a trasmettere una serenità che ad occhi estranei può apparire incomprensibile.

Che immagine passerà di noi tre pellegrini nel nostro cammino continuo? Di certo io mi sento in movimento e finalmente un po’ distante dall’argine di quel baratro che anni fa sembrava sempre in procinto di risucchiarmi per sempre. Mi sembra, proprio a partire da questo mio personale attraversamento non mascherato nè negato, di sentire sulla pelle diverse temperature delle emozioni di chi incrocio.

Per una delle prime volte, mi sono sentita nel posto giusto al momento perfetto e spero di aver regalato, insieme ai sorrisi distribuiti e ricevuti, qualche parola di conforto a chi ancora porta negli occhi il colore di un dolore rovente.

Nel tempo, ho imparato che ognuno vive la disabilità del proprio figlio come può e come riesce, muovendosi di conseguenza tra sentimenti sovente difficili da esprimere e nominare. Per me è stato come incontrare di nuovo quel mare che tanto amo tra dolci onde e burrasche inattese, sale bruciante in bocca e culla del mio corpo stanco.

Forse è questo la disabilità. Come quei temporali improvvisi che ogni volta ti colgono stupita di fronte a splendidi arcobaleni.

Pizzichi d’amore

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pizzichi d'amoredi Irene Auletta

Qualche tempo fa, un amico di fb alle prese con un figlio che dovrà sempre misurarsi con seri limiti nella sua autonomia, scriveva di come per lui i viaggi sono sovente fonte di pensieri malinconici.

Mi guardo intorno nel terminal dell’aeroporto e vedo comitive di giovani ragazze alle prese con i loro primi viaggi.

Solo a quell’età si può essere così meravigliose e anche tu avresti potuto essere tra loro, in una vita diversa. In anni ancora recenti, il dolore mi avrebbe colto all’improvviso facendomi quasi piegare mentre oggi sorrido in compagnia di quel piccolo pizzico al cuore.

Il tempo, fa davvero la differenza. Sempre.

Ricordo molto bene il momento in cui ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un bivio decisivo. Passare la vita a disperarmi per ciò che non avrebbe potuto mai essere oppure ingegnarmi per trovare soluzioni creative di fronte a quell’impossibile quasi urlato dalla vita, ogni giorno.

Tua zia mi ha aiutato offrendomi l’occasione di quei nostri viaggi annuali che, nel tempo, mi hanno portata lontana da te creando quello spazio magico che offre ogni volta la possibilità di andare e ritornare. Spetta a me perchè tu, da sola, non lo potrai mai fare, ma il nostro momento non ce lo può rubare nessuno e, anche se sei tu ad aspettarmi e poi riaccogliermi, la nostra danza d’amore ha trovato la sua insostituibile rarità.

Non è forse questa la scommessa di ogni relazione tra genitori e figli?

Io nel frattempo ho imparato a smettere di chiedermi se ti sarei mancata, forte del bisogno di lasciarti per scoprire come va senza di te e certa che il problema della separazione è sempre stato più mio che tuo. In fondo, un figlio con scarse autonomie rischia di generare genitori con altrettanti limiti e provare a non soccombere è sempre stato il mio modo di essere tua madre. Viaggiare, andare e separarsi, sono modi per prendere distanza e guardare le relazioni da differenti prospettive. Ogni volta imparo qualcosa su di me e su di te, condito da sentimenti molto variegati.

Proprio oggi, durante una supervisione, parlavo con un gruppo di educatori della responsabilità dei genitori e dello smarrimento odierno dell’adultità di fronte a situazioni di dolore o difficoltà. Andare e ritornare, può essere anche un modo per ritrovarsi, recuperando al tempo stesso quella forza necessaria per affrontare momenti a volte più faticosi di altri.

Ed eccomi di nuovo qui a raccontarti, in quel silenzio dei nostri incontri. In valigia, stavolta, c’è stato poco spazio per la malinconia. Guarda cosa ti ha portato mamma … Ci basterà di certo per i prossimi mesi!

E poi la notte è diventata giorno

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di Irene Auletta

luci al mattinoStanotte ci siamo incontrate ancora, in uno dei nostri incontri che negli anni siamo riuscite a trasformare nella nostra speciale possibilità. Mentre intorno alle quattro di mattina sperimentavi assai curiosa un’interessante colazione fatta di biscotti che galleggiavano nel bicchiere del the, pensavo ad una recente conversazione avuta proprio a proposito dei problemi legati alla gestione del sonno da parte di genitori con bambini piccoli.

Non vedo l’ora che finisca. So che poi passa, ma mentre la vivo mi sembra di essere in un incubo!

Così mi dice una madre che, al terzo figlio, si ritrova immersa nella gestione di un momento che finora non le era ancora capitato di dover affrontare. Forse, in questo caso, la consapevolezza del cambiamento anziché essere di aiuto finisce con l’essere come un piede schiacciato sull’accelerazione della crescita, mostrando la fatica di sostare nei passaggi, anche gustandone e scoprendone sfumature inattese.

Un figlio che cresce molto lentamente e fa intravedere un orizzonte molto simile al presente, se non trascina in una crisi depressiva e di malinconia perenne, può essere un’interessante occasione per permettere al genitore di crescere insieme, lentamente, trovando nuove possibilità anche in quelle scene che sembrano ripetersi da anni sempre uguali.

Nell’ultima lezione Feldenkrais, l’insegnante ci ha guidato ad eseguire un movimento offrendoci l’immagine di una lentezza che sa aspettare. 

Attendere i tempi dell’altro, quando la crescita assume l’andamento a lumaca in un mondo di sfreccianti Ferrari, non vuol dire rimanere pietrificati nell’immobilismo o colludere con stereotipie patologiche, ma trovare nel valore di ciò che evolve pian piano, nuove possibilità creative.

Spesso, ragionando anche per professione sui temi della genitorialità, mi perdo a pensare a quanto i genitori potrebbero reciprocamente insegnarsi a seconda delle differenti esperienze che stanno attraversando e del peculiare rapporto con il tempo. Figli piccoli o grandi, sani o malati, abili o disabili, naturali o adottati, maschi o femmine e via discorrendo.

Lo slogan della differenza come possibilità è uno di quelli che trovo ad oggi tra i più stucchevoli ma non ho perso la speranza di cercare nuovi significati da esplorare e nuove pratiche da sperimentare ogni giorno.

Adda passà ‘a nuttata è una famosa frase contenuta nella commedia Napoli milionaria! di Edoardo De Filippo, divenuta nel tempo celeberrima. 

Mi piace condividerne la vena ottimista perchè, oltre a prefigurarsi l’alternanza di luce e ombra, invita al movimento e alla fiducia della ricerca, anche se si muove al buio.

E così sono arrivate le sei e mezza … seconda colazione o sonno?

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