Occhi lontani

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occhi lontanidi Irene Auletta

“Ho detto alla signora che sono tua madre e lei mi ha riposto che non era neppure necessario dirlo …. Si vede da lontano che sei mia figlia!”.

Ogni volta che sottolinei la nostra somiglianza mostri un atteggiamento che non nasconde la fierezza di questo filo che ci unisce e io mi ritrovo a collegare immagini e volti. Il tuo odierno di donna anziana e quello trattenuto nella memoria che, sorridente, mi appare più volte al giorno sulla schermata del mio iPad.

Una vecchia foto in bianco e nero ti ritrae mentre disponi fiori in un vaso sotto lo sguardo attento delle tue due figlie.

Chi si misura prematuramente con la perdita dei propri genitori si ritrova esposto ad un dolore fortissimo che, inevitabilmente, ne preclude altri. L’invecchiamento dei propri cari, lo stillicidio di malattie senili, le perdite di energie vitali e di memoria. Non posso fare a meno di pensarci ogni volta che mi soffermo a guardarti. Forse per quella somiglianza che ci unisce e che, quasi per un destino beffardo, ci ha portato ad attraversare strade esistenziali molto simili, soprattutto rispetto alla nostra esperienza di maternità.

Per fortuna io avevo voi, mi dici spesso riferendoti al figlio salutato troppo presto. E io, mamma, chi avrò a comprendermi così profondamente quando tu non ci sarai più?

Nel tempo hai portato sulle spalle pesi enormi, esibendo sempre una bella grinta e il sorriso sulle labbra. Poi gli ultimi anni hanno iniziato a portarti lontano, in un luogo dove sembri già pregustarti un po’ di riposo. Sempre tu, ma sfocata e spesso persa nei tuoi pensieri con lo sguardo oltre il presente.

Che brutto diventare vecchia, mi dici mentre ci gustiamo un momento di riposo sedute su una panchina di ritorno da una piccola passeggiata. Forse tutti noi abbiamo ancora bisogno di imparare qualcosa sul modo di attraversare le nostre differenti età della vita, assaporando fino alla fine le possibilità offerte da una vita lunga.

Vedo intorno a me storie differenti di figli con genitori anziani. Pochi mi sembrano sereni in una posizione di accompagnamento verso gli ultimi anni della vita. Alcuni sembrano remare controsenso, nel bel mezzo di rapide, smarrendo momenti preziosi.

Vorrei imparare ancora qualcosa da questo nostro incontro. Rimanerti a fianco per quello che sei ora senza smarrire quel collage di tutte le nostre immagini raccolte nel tempo, tenendo insieme tutto, pregi e difetti, gioie e dolori. Vorrei smetterla di lottare per ciò che non è più o che non può più essere. Vorrei gustarmi ancora le possibilità offerte dal presente imparando a gestire quella rabbia che ogni tanto prende il sopravvento per nascondere il dolore.

Dammi ancora un po’ di tempo mamma, sono sulla buona strada, imparo in fretta.

Pizzichi d’amore

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pizzichi d'amoredi Irene Auletta

Qualche tempo fa, un amico di fb alle prese con un figlio che dovrà sempre misurarsi con seri limiti nella sua autonomia, scriveva di come per lui i viaggi sono sovente fonte di pensieri malinconici.

Mi guardo intorno nel terminal dell’aeroporto e vedo comitive di giovani ragazze alle prese con i loro primi viaggi.

Solo a quell’età si può essere così meravigliose e anche tu avresti potuto essere tra loro, in una vita diversa. In anni ancora recenti, il dolore mi avrebbe colto all’improvviso facendomi quasi piegare mentre oggi sorrido in compagnia di quel piccolo pizzico al cuore.

Il tempo, fa davvero la differenza. Sempre.

Ricordo molto bene il momento in cui ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un bivio decisivo. Passare la vita a disperarmi per ciò che non avrebbe potuto mai essere oppure ingegnarmi per trovare soluzioni creative di fronte a quell’impossibile quasi urlato dalla vita, ogni giorno.

Tua zia mi ha aiutato offrendomi l’occasione di quei nostri viaggi annuali che, nel tempo, mi hanno portata lontana da te creando quello spazio magico che offre ogni volta la possibilità di andare e ritornare. Spetta a me perchè tu, da sola, non lo potrai mai fare, ma il nostro momento non ce lo può rubare nessuno e, anche se sei tu ad aspettarmi e poi riaccogliermi, la nostra danza d’amore ha trovato la sua insostituibile rarità.

Non è forse questa la scommessa di ogni relazione tra genitori e figli?

Io nel frattempo ho imparato a smettere di chiedermi se ti sarei mancata, forte del bisogno di lasciarti per scoprire come va senza di te e certa che il problema della separazione è sempre stato più mio che tuo. In fondo, un figlio con scarse autonomie rischia di generare genitori con altrettanti limiti e provare a non soccombere è sempre stato il mio modo di essere tua madre. Viaggiare, andare e separarsi, sono modi per prendere distanza e guardare le relazioni da differenti prospettive. Ogni volta imparo qualcosa su di me e su di te, condito da sentimenti molto variegati.

Proprio oggi, durante una supervisione, parlavo con un gruppo di educatori della responsabilità dei genitori e dello smarrimento odierno dell’adultità di fronte a situazioni di dolore o difficoltà. Andare e ritornare, può essere anche un modo per ritrovarsi, recuperando al tempo stesso quella forza necessaria per affrontare momenti a volte più faticosi di altri.

Ed eccomi di nuovo qui a raccontarti, in quel silenzio dei nostri incontri. In valigia, stavolta, c’è stato poco spazio per la malinconia. Guarda cosa ti ha portato mamma … Ci basterà di certo per i prossimi mesi!

Notizie da accarezzare

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notizie da accarezzaredi Irene Auletta

Per qualche giorno ho lasciato decantare la notizia soprattutto per darmi il tempo di non gettare avanti troppo frettolosamente una riflessione che invece merita tutta la delicatezza e il rispetto del caso.

Mi riferisco alla triste vicenda del bambino soffocato dal cibo in un noto centro commerciale e a cui le pagine dei quotidiani e del web hanno dedicato ampio spazio. Ma per dire cosa? Ancora una volta, accade qualcosa di drammatico e parte immediatamente la caccia al colpevole come unica possibilità per trattare la questione e per porre in evidenza ciò che comunque poteva essere evitato. Se fossi al posto di quei genitori di certo non ne trarrei alcun aiuto e, al contrario, mi sentirei aggredito oltre che dalla sorte anche da questa cavolo di cultura che, come ha detto di recente un amico, ci sta davvero uccidendo tutti.

Colpa della società che non istruisce le giovani madri attraverso un corso di disostruzione delle vie aree (non lo sapevate che esiste un corso simile?) che dovrebbe essere reso obbligatorio insieme a quello di preparazione al parto. E ancora, com’è possibile che in un grande centro commerciale così popolato non sia presente un’ambulanza o del personale sanitario? Com’è possibile che l’ambulanza impieghi così tanto tempo per rispondere ad un’emergenza?

Ovviamente in ciascuno di tali quesiti ci sarà di certo verità ma non ho potuto fare a meno di chiedermi se a qualcuno è venuto anche in mente di paragonare il numero di incidenti analoghi che avvengono, non in altri centri commerciali, ma all’interno delle mura domestiche e che, ogni anno fanno registrare percentuali inquietanti di epiloghi altrettanto gravi o comunque certo da non sottovalutare. E sei poi non si parla di soffocamento quali altri corsi dovremmo rendere obbligatori per i neo genitori al fine di evitare che ai loro figli accada qualcosa?

Non so, ma ho proprio l’impressione che manchino altri sguardi. Senza nulla togliere a quanto alcune voci autorevoli hanno già sottolineato, mi chiedo che fine hanno fatto nelle nostre vite gli imprevisti, gli accidenti, gli eventi inevitabili, i limiti umani. Insomma, mi chiedo che fine ha fatto la vita.

E soprattutto mi chiedo come possiamo farla rientrare nelle nostre riflessioni educative quando andiamo ad incontrare bambini, ragazzi e genitori. Perchè, pur attivando al massimo azioni preventive e di tutela, la vita ci attende dietro l’angolo con qualcosa di imprevedibile e l’unico modo di sopravviverci è di non trasformarlo in un nemico o nella malvagità di un fato bastardo.

Episodi come questi possono insegnarci a non fuggire sempre e solo alla ricerca di quello che avrebbe potuto essere differente e permetterci di cogliere occasioni nuove, anche tra le pieghe delle tragedie. Sono già in tanti quelli che sanno solo urlare, aggredire e puntare il dito contro qualcosa o qualcuno.

Rendiamo onore al dolore di quei genitori e di quanti attraversano tragedie analoghe imparando qualcosa di nuovo. Di certo i nostri pensieri arriveranno così non solo come schiaffi, ma come leggere carezze per tutti loro e per le fragilità dell’esistenza.

Pietre nel cuore

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pietre nel cuoredi Irene Auletta

Ci sono giorni che vanno guardati a distanza per permettere al respiro di restituire leggerezza al corpo e alla vita.

A volte ci si trova a fianco di genitori che stanno affrontando prove molto dure che loro stessi faticano a comprendere.

Se a modo tuo ami tuo figlio, chi sono queste persone che si permettono di prendere decisioni al tuo posto, magari decidendo come scelta migliore la distanza tra voi?

Solo se si riesce ad andare oltre le notizie pettegole di operatori sociali che portano via i bambini alle loro famiglie, si può intravedere e afferrare il dilemma etico e umano che, ogni volta, e’ necessario incontrare e attraversare in queste situazioni. In ogni caso, al di la di torti e ragioni, ci sono relazioni d’amore che, loro malgrado, risultano poco sane soprattutto per i più deboli che sovente sono proprio i bambini.

Negli anni mi pare di aver sviluppato una maggiore chiarezza rispetto alla difficoltà o scarsa professionalità di tutti quei colleghi che in modo molto assertivo sembrano avere sempre la risposta giusta di fronte a situazioni che incontrano le svariate fragilità dei genitori. E se qualcuno si intromettesse nella storia della vostra famiglia, esprimendo valutazioni e giudizi suoi vostri figli o sul vostro modo di essere genitori o coppia?

Questa domanda, se non viene bloccata da una stizza impulsiva, può aprire a significati nuovi e importanti, svelando le molteplici sfumature della parola empatia, troppo bella per essere abusata e banalmente semplificata.

Lei non può capire cosa provo in questo momento!

Me lo sono sentita dire tante volte e altrettante ho risposto che forse era vero perchè di fronte a situazione importanti, mi piace mettere prima di tutto il rispetto delle emozioni e dei sentimenti altrui. Mettersi a fare una gara su chi capisce cosa sovente non porta da nessuna parte.

Io so che ogni volta cerco di ascoltare, di dare spazio e valore alle reazioni  possibili perchè questo mi piacerebbe si facesse anche con me, in caso di necessità.

Come madre so bene cosa vuol dire portarsi ogni giorno pietre nel cuore. Anche nel mio lavoro cerco di non dimenticarlo mai e, soprattutto, di non averne paura. Ognuno si porta le sue e a volte, anche solo guardandosi negli occhi, è possibile  riconoscerle e sentirne il peso.

Poi, le strade si separano, ognuna con il suo fardello e io ogni volta imparo qualcosa, su di me e sull’altro che ho appena incontrato. Di sicuro ho imparato che aspettarsi sempre che l’altro capisca sposta l’attenzione da ciò che forse è veramente più importante.

Capire qualcosa di nuovo su di sè.

 

Verità vere

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verità veredi Irene Auletta

Nel mio lavoro incontro adulti, bambini e ragazzi che, per motivi differenti, attraversano momenti di difficoltà che incrociano le loro storie di vita. I bambini sono quasi sempre una piacevole scoperta nelle loro incredibili possibilità di spiegarsi il mondo e di svelare le crepe di tante spiegazioni fornite dagli adulti.

Giacomo ha 9 anni e da oltre tre anni si misura con il racconto della sua mamma diventata un angelo perché chiamata a se’ da un certo signor Dio. Qualche giorno fa, in un momento di rabbia, esprime al padre il suo dissenso. “Sono proprio arrabbiato con questo Dio perché della mamma ne ho di certo più bisogno io di lui”.

Come dargli torto? Ma si sa che la rabbia fa paura perché esprime un dolore forte, che scotta e che mal si accompagna con il bisogno dominante di relazioni tiepide.

Francesca 10 di anni vive con il papà e non vede la mamma da circa tre anni. La sorella grande, in un recente incontro fatto insieme, le racconta che la mamma e’ fatta così perché lei stessa si comporta come una ragazzina e forse proprio non riesce ad assumersi la responsabilità delle sue figlie. Mentre disquisiamo di realtà e desideri, la piccola chiede fogli e matite e accompagna le nostre parole con il suo disegno. Dopo aver piegato il foglio a metà disegna da un lato una regina e dall’altra una donna in lacrime riflessa in una pozza d’acqua. “Guardate bene cosa ho scritto perché è importante!” ci dice, indicando le frasi che danno il titolo alle sue due immagini. La regina e’ ricca perché ci sono le sue figlie e l’altra donna è povera per la loro mancanza.

Federica 10 anni parla con apparente disinvoltura del padre in carcere di cui in pratica non ha alcun ricordo. Ha capito che un certo signor giudice ha deciso che lui ha fatto cose molto brutte e che quindi lei non può incontrarlo finché non sarà grande. Sollecitata a portare delle domande per capire meglio la questione riesce a dire che lei ha una curiosità da oltre un anno e che non l’ha mai detta a nessuno. “Mi piacerebbe sapere che papa’ e’”.

E così, mentre gli adulti parlano, parlano, parlano, i bambini si trovano le loro spiegazioni per incontrare il mondo, quelle per loro possibili da accettare.

I bambini che vogliono la mamma non si fanno incantare da un angelo e anche quando non c’è sanno trasformarla in una regina. Ascoltano attenti i racconti del giudice dei bambini che tiene lontano i loro genitori ma, in segreto, non smettono di chiedersi chi sono e che padri o madri potrebbero essere.

I bambini fanno la loro parte con coraggio e curiosità, imparando nonostante noi. Ci lanciano di continuo la palla fiduciosi che, prima o poi, riusciremo a prenderla insegnandogli ciò che non possono imparare, senza il nostro aiuto.

E poi la notte è diventata giorno

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di Irene Auletta

luci al mattinoStanotte ci siamo incontrate ancora, in uno dei nostri incontri che negli anni siamo riuscite a trasformare nella nostra speciale possibilità. Mentre intorno alle quattro di mattina sperimentavi assai curiosa un’interessante colazione fatta di biscotti che galleggiavano nel bicchiere del the, pensavo ad una recente conversazione avuta proprio a proposito dei problemi legati alla gestione del sonno da parte di genitori con bambini piccoli.

Non vedo l’ora che finisca. So che poi passa, ma mentre la vivo mi sembra di essere in un incubo!

Così mi dice una madre che, al terzo figlio, si ritrova immersa nella gestione di un momento che finora non le era ancora capitato di dover affrontare. Forse, in questo caso, la consapevolezza del cambiamento anziché essere di aiuto finisce con l’essere come un piede schiacciato sull’accelerazione della crescita, mostrando la fatica di sostare nei passaggi, anche gustandone e scoprendone sfumature inattese.

Un figlio che cresce molto lentamente e fa intravedere un orizzonte molto simile al presente, se non trascina in una crisi depressiva e di malinconia perenne, può essere un’interessante occasione per permettere al genitore di crescere insieme, lentamente, trovando nuove possibilità anche in quelle scene che sembrano ripetersi da anni sempre uguali.

Nell’ultima lezione Feldenkrais, l’insegnante ci ha guidato ad eseguire un movimento offrendoci l’immagine di una lentezza che sa aspettare. 

Attendere i tempi dell’altro, quando la crescita assume l’andamento a lumaca in un mondo di sfreccianti Ferrari, non vuol dire rimanere pietrificati nell’immobilismo o colludere con stereotipie patologiche, ma trovare nel valore di ciò che evolve pian piano, nuove possibilità creative.

Spesso, ragionando anche per professione sui temi della genitorialità, mi perdo a pensare a quanto i genitori potrebbero reciprocamente insegnarsi a seconda delle differenti esperienze che stanno attraversando e del peculiare rapporto con il tempo. Figli piccoli o grandi, sani o malati, abili o disabili, naturali o adottati, maschi o femmine e via discorrendo.

Lo slogan della differenza come possibilità è uno di quelli che trovo ad oggi tra i più stucchevoli ma non ho perso la speranza di cercare nuovi significati da esplorare e nuove pratiche da sperimentare ogni giorno.

Adda passà ‘a nuttata è una famosa frase contenuta nella commedia Napoli milionaria! di Edoardo De Filippo, divenuta nel tempo celeberrima. 

Mi piace condividerne la vena ottimista perchè, oltre a prefigurarsi l’alternanza di luce e ombra, invita al movimento e alla fiducia della ricerca, anche se si muove al buio.

E così sono arrivate le sei e mezza … seconda colazione o sonno?

Quella giusta

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eclissidi Irene Auletta

A volte ritornano. Quelle citazioni che sotto forme diverse sembrano tenersi tutte a braccetto anche quando hanno tonalità differenti. Chissà quante volte abbiamo sentito dire che le cose accadono a chi è in grado di sopportarle, che Giobbe è stato un grande esempio per molti di noi, che le persone travolte da grandi dolori si trasformano in qualche modo in adulti o bambini “speciali”.

Mio padre mi osserva ridere e scherzare con mia madre e mia sorella e nei suoi occhi mi sembra di scorgere un punto di domanda legato a quello che sa preoccuparmi molto, proprio in questi giorni. Non poteva che capitare a te, con quella voglia di ridere che hai sempre! mi dice. Poi, quasi stupito dalla sua stessa affermazione aggiunge la storia dell’eclissi che va bene per tutte le stagioni.

Si, mi porto appresso questa storia praticamente da sempre. Sono nata in una mattina di eclissi totale e così come mia madre non finisce mai di raccontarmi il buio improvviso alle nove di mattina in sala parto, mio padre giustifica quelle che per lui sono mie stranezze o doti particolari, citando questo evento.

Chissà. Certo che a proposito di luci e ombre l’eclissi totale si presta a parecchie interpretazioni e spiegazioni possibili.

Giorni fa mentre chiacchiero con una mia cara zia ad un certo punto capisco che non riesce a trattenersi quando mi dice che le dispiace molto di alcune cose che devo affrontare aggiungendo che proprio io, non me le meritavo.

Ed eccole che ritornano. Quelle frasi un po’ senza senso che però, proprio quando sono espresse da persone care a cui vuoi bene, ti permettono di andare oltre per afferrarne altri significati di cui sono portatrici.

Essere dispiaciuti per le difficltà che una persona sta affrontando è una cosa ma parlare di merito o demerito introduce chiavi interpretative che riecheggiano di una  resistente cultura cattoqualchecosa che ancora una volta fa riemergere la categoria dei peccatori, con tutti gli annessi e i connessi di punizioni e perdoni.

Mi colpisce sempre leggere di come molti genitori sono riusciti ad affrontare una bastardissima sindrome genetica manipolando il nome dello scienziato che l’ha scoperta al punto da farne diventare tutti i bambini che ne sono affetti degli angeli. Il pediatra che per primo l’ha riscontrata si chiamava Harry Angelman.

Capisco che alcune spiegazioni fanno ancora la parte della copertina di Linus e se tengono al caldo e rassicurano, vanno benissimo e forse ognuno, quando affronta qualche difficoltà o dolore, deve imparare a trovare quelle giuste per sè.

Se però penso all’educazione e al ruolo dei genitori ho bisogno di esplorare anche altre strade, perchè credo profondamente che si possa sempre insegnare qualcosa ma solo  a partire da quello che sta accadendo nella realtà.

Quindi per te, ragazza mia, niente ali e per me, nessuna croce o medaglia. Attraversiamo insieme luci e ombre tenendoci strette e chissà che l’effetto eclissi non ci dia una mano.

Sorprese di Natale

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sorprese di Nataledi Irene Auletta

Non sono un’amante delle feste scolastiche e in genere questo è il momento che finora mi ha sorpreso più a disagio sia come genitore che come operatore. In verità mi è capito spesso di confrontarmi anche con molti altri genitori perplessi e può essere che il bisogno di certi rituali di festeggiamento abbia talmente preso la mano da far un po’ smarrire i reali destinatari e il senso della proposta stessa. Parlo di ciò che accade dall’asilo nido in poi e di certo, in una struttura che accoglie bambini e ragazzini disabili, la questione si pone allo stesso modo e forse con qualche accento interrogativo in più.

Con questo spirito e stato d’animo ho accolto la comunicazione del festeggiamento odierno a cui per fortuna i genitori non erano invitati e così arrivo a prenderti al Centro che frequenti da pochi mesi e che ancora mi interroga sul senso della tua presenza lì.

Mi accoglie un’atmosfera giocosa, rumorosa, frizzante e caotica. I ragazzi eccitati ciondolano nella stanza, accennando balli e strani minuetti accompagnati da quel chiacchiericcio e da quelle risate da adolescenti che in più occasioni mi hanno fatto chiedere se quello è il posto giusto per te. Tu mi sembri sempre un altro pianeta tra diversi pianeti ma questo pomeriggio ti trovo perfettamente a tuo agio nella scena che mi si presenta appena apro la porta.

Mi vedi e mi saluti subito ma è chiaro che non intendi lasciare quella situazione di festa e che neppure desideri coinvolgermi in modo particolare nei preparativi in atto. Come dire, rimani pure qui ma stai al tuo posto!

Mi faccio da parte e ti osservo mentre non perdi neppure un frammento di ciò che ti accade intorno e cerco un continuo equilibrio tra emozioni assai differenti che viaggiano tra la gola e lo stomaco. Vieni coinvolta in una danza e mentre ti sorrido provando a nascondere alcuni pensieri, mi accorgo che il tuo sguardo inizia a rassicurarmi.

Mentre io ho paura che inciampi, che gli altri non riescano a seguire il tuo ritmo, che per te sia troppo, mi guardi felice e perfettamente a tuo agio in quella scena per me nuova e quando incroci i miei occhi il tuo divertimento per me diviene inconfondibile tanto da farmi dimenticare tutti i timori.

Quando dopo un po’ per te è il momento di andare, me lo chiedi senza alcuna esitazione e solo quando siamo vicine alla nostra auto mi abbracci in un modo parecchio diverso dal solito. Cosa vuoi dirmi tesoro? Che sei contenta, che ti sei divertita, che posso stare tranquilla? Oggi pomeriggio mi hai dato una bella lezione. Stavolta, io sono decisamente indietro.

Abbi pazienza figlia mia, la mamma è davvero lenta!

 

Onde vicino al cuore

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onde vicino al cuore

 

di Irene Auletta

Spesso mi interrogo sull’opportunità’ di pubblicare quello che scrivo e ogni volta che un post appare sul blog e’ come se avesse superato un test. Scrivere di cose che accadono nella vita non e’ facile soprattutto se si ambisce ad intrecciarle con una professione che nel suo oggetto di studio ha proprio l’educazione e quindi la vita stessa. Eppure ogni volta mi accorgo che c’entra soprattutto quando la fatica e il dolore urlano una ricerca di senso che sembra smarrita.

Secondo lei per questi figli il bene non è più grande? La dottoressa che ti sta facendo l’ecografia non nasconde la sua espressione seria di fronte alla tua cartella clinica e agli ultimi esami che da un reparto all’altro si sono rincorsi in una frenetica settimana di ricovero ospedaliero.  E aggiunge, ma ha solo lei? Anche tale domanda in questi ultimi giorni mi e’ stata rivolta in diverse occasioni e la immagino ricorrente nella storia di molti genitori con figli disabili o malati. Tante volte di fronte alla mia risposta affermativa l’espressione e a volte le parole non trattengono un dispiaciuto  … peccato!

Io spero sempre che tu, proprio in quel momento, sia distratta con la mente e le orecchie rivolte altrove. E così, raccolgo e accumulo rabbia e dolore che mischiate in modo indissolubile in questi giorni mi fanno sentire come una tigre in gabbia. La fiera delle banalità che riesce a raccogliere la malattia grave mi sorprende ogni volta e cerco nel silenzio e nelle voci amiche,  un nuovo equilibrio possibile. Ripenso alla domanda della dottoressa e provo a fantasticare su risposte raccolte da altri genitori in situazioni analoghe. Ci penso anche perché detesto le generalizzazioni vuote e i luoghi comuni.

L’accompagnare un qualsiasi figlio nella crescita ha di certo tanti punti in comune anche  tra esperienze molto diverse tra loro. Ma un figlio che ogni giorno incontra una fatica, una sofferenza, una nuova prova da affrontare, fa la differenza tra le differenze. Un figlio che va e viene tra le onde della vita e’ come se ogni volta ti chiedesse di sceglierlo ancora e ancora, per quello che e’. Se accade, ogni volta l’amore segna un nuovo punto di profondità nella gioia e in quelle fitte vicino al cuore che non ti lasciano mai.

E’ troppo superficiale  e frettoloso  dire che chi e’ genitore può capire, anche perché a volte la più grande vicinanza si può raccogliere proprio da chi non ha figli forse perché meno tentato dal bisogno impellente di omologare tutto e di schivare la sofferenza. La differenza a mio parere la fanno sempre la disponibilità ad ascoltare seriamente ciò che accade e  la forza di trasformarla in una nuova possibilità’ accogliendo, anche in assenza di parole, i giorni di mare mosso.

Ti potrei volere più bene di così? Se non fossi tu sarebbe differente l’amore che mi brucia in gola?

Il cuore in tabella in questi giorni si e’ guadagnato nuove ferite ma, mentre distese a letto guardiamo i filmini del mare, ridiamo delle onde e delle nostre facce buffe.

Ti tengo forte amore! Questo e’ il mio bene.

L’allegria è cosa seria

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l'allegria è cosa seria

di Irene Auletta

Quello dell’intreccio tra educazione e allegria è un tema che mi gira in testa da tempo ma, nonostante il consenso che questa mia proposta ha raccolto in svariate occasioni di iniziative culturali, l’argomento è sempre rimasto tra quelli un po’ in fondo alla lista e rinviato a successive occasioni.

Platee di genitori, insegnanti ed educatori mi sono apparse negli anni sempre più interessate ad altre tematiche come se, parlare di regole, di premi o punizioni, di rapporto scuola e famiglia o, ultima moda, del rapporto con il mondo del web, fosse di gran lunga sempre più urgente, attuale o interessante.

Poi, in questi giorni ho incrociato una recente intervista in cui una famosa attrice, pur non nascondendo i segni inconfondibili di una grave malattia con cui convive da anni, racconta della sua vita con un’indicibile e contagiosa allegria, dichiarando “sono ghiotta, sono obesa di vita … sono così interessata alla vita, che me ne interessa anche la morte.

La ascolto accompagnata da un profondo respiro perchè in questa sua frase sento la bellezza vibrante della vita e del modo di guardarla e attraversarla. Esattamente il contrario di quanto accade negli scambi in cui predomina il lamento insieme al dettaglio, sovente esasperante, delle proprie fatiche. Avete presente no?

Sia ben chiaro. Una cosa è raccontarsi, condividere e scambiarsi storie ed emozioni, diverso è rovesciare addosso all’altro quello che affronti e ti accade. Forse la differenza la fa proprio l’atteggiamento verso la vita, le cose che accadono, che è necessario affrontare. Tutto questo non ha a che fare anche con l’educazione?

Quando incontro i genitori spesso mi ritrovo a fare paralleli tra ciò che raccontano del loro rapporto con i figli e le caratteristiche dei figli stessi. All’inizio sono fili invisibili e delicati che pian piano si fanno sempre più evidenti e, quando riesco a farli vedere anche ai protagonisti del racconto, so che è accaduto qualcosa di molto importante.

Ciascuno di noi si porta appresso un bagaglio di storie, esperienze e modelli educativi. Alcuni, più fortunati, nella loro educazione hanno incontrato anche l’allegria e quel modo gioioso di guardare alla vita, sempre. I figli sono una bella occasione per continuare a insegnare quello che ci pare importante e anche per scoprire qualcosa di nuovo che vale la pena non trascurare e magari imparare.

Penso al racconto di un’amica che mi descrive un figlio, giovane uomo, molto arrabbiato perchè sta facendo da qualche mese una dieta particolare. Penso a quello che affronti tu da una vita, al tuo sorriso sempre presente, alla grinta che ogni volta metti in campo di fronte alla nuova difficoltà.

Tu neppure lo immagini, ma tempo fa mi sono impegnata ad insegnarti l’allegria  perchè il modo in cui incontriamo la vita, fa la differenza.

Impegno d’amore o impegno educativo? Probabilmente entrambi.

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