Per qualche giorno ho lasciato decantare la notizia soprattutto per darmi il tempo di non gettare avanti troppo frettolosamente una riflessione che invece merita tutta la delicatezza e il rispetto del caso.
Mi riferisco alla triste vicenda del bambino soffocato dal cibo in un noto centro commerciale e a cui le pagine dei quotidiani e del web hanno dedicato ampio spazio. Ma per dire cosa? Ancora una volta, accade qualcosa di drammatico e parte immediatamente la caccia al colpevole come unica possibilità per trattare la questione e per porre in evidenza ciò che comunque poteva essere evitato. Se fossi al posto di quei genitori di certo non ne trarrei alcun aiuto e, al contrario, mi sentirei aggredito oltre che dalla sorte anche da questa cavolo di cultura che, come ha detto di recente un amico, ci sta davvero uccidendo tutti.
Colpa della società che non istruisce le giovani madri attraverso un corso di disostruzione delle vie aree (non lo sapevate che esiste un corso simile?) che dovrebbe essere reso obbligatorio insieme a quello di preparazione al parto. E ancora, com’è possibile che in un grande centro commerciale così popolato non sia presente un’ambulanza o del personale sanitario? Com’è possibile che l’ambulanza impieghi così tanto tempo per rispondere ad un’emergenza?
Ovviamente in ciascuno di tali quesiti ci sarà di certo verità ma non ho potuto fare a meno di chiedermi se a qualcuno è venuto anche in mente di paragonare il numero di incidenti analoghi che avvengono, non in altri centri commerciali, ma all’interno delle mura domestiche e che, ogni anno fanno registrare percentuali inquietanti di epiloghi altrettanto gravi o comunque certo da non sottovalutare. E sei poi non si parla di soffocamento quali altri corsi dovremmo rendere obbligatori per i neo genitori al fine di evitare che ai loro figli accada qualcosa?
Non so, ma ho proprio l’impressione che manchino altri sguardi. Senza nulla togliere a quanto alcune voci autorevoli hanno già sottolineato, mi chiedo che fine hanno fatto nelle nostre vite gli imprevisti, gli accidenti, gli eventi inevitabili, i limiti umani. Insomma, mi chiedo che fine ha fatto la vita.
E soprattutto mi chiedo come possiamo farla rientrare nelle nostre riflessioni educative quando andiamo ad incontrare bambini, ragazzi e genitori. Perchè, pur attivando al massimo azioni preventive e di tutela, la vita ci attende dietro l’angolo con qualcosa di imprevedibile e l’unico modo di sopravviverci è di non trasformarlo in un nemico o nella malvagità di un fato bastardo.
Episodi come questi possono insegnarci a non fuggire sempre e solo alla ricerca di quello che avrebbe potuto essere differente e permetterci di cogliere occasioni nuove, anche tra le pieghe delle tragedie. Sono già in tanti quelli che sanno solo urlare, aggredire e puntare il dito contro qualcosa o qualcuno.
Rendiamo onore al dolore di quei genitori e di quanti attraversano tragedie analoghe imparando qualcosa di nuovo. Di certo i nostri pensieri arriveranno così non solo come schiaffi, ma come leggere carezze per tutti loro e per le fragilità dell’esistenza.