Verità vere

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verità veredi Irene Auletta

Nel mio lavoro incontro adulti, bambini e ragazzi che, per motivi differenti, attraversano momenti di difficoltà che incrociano le loro storie di vita. I bambini sono quasi sempre una piacevole scoperta nelle loro incredibili possibilità di spiegarsi il mondo e di svelare le crepe di tante spiegazioni fornite dagli adulti.

Giacomo ha 9 anni e da oltre tre anni si misura con il racconto della sua mamma diventata un angelo perché chiamata a se’ da un certo signor Dio. Qualche giorno fa, in un momento di rabbia, esprime al padre il suo dissenso. “Sono proprio arrabbiato con questo Dio perché della mamma ne ho di certo più bisogno io di lui”.

Come dargli torto? Ma si sa che la rabbia fa paura perché esprime un dolore forte, che scotta e che mal si accompagna con il bisogno dominante di relazioni tiepide.

Francesca 10 di anni vive con il papà e non vede la mamma da circa tre anni. La sorella grande, in un recente incontro fatto insieme, le racconta che la mamma e’ fatta così perché lei stessa si comporta come una ragazzina e forse proprio non riesce ad assumersi la responsabilità delle sue figlie. Mentre disquisiamo di realtà e desideri, la piccola chiede fogli e matite e accompagna le nostre parole con il suo disegno. Dopo aver piegato il foglio a metà disegna da un lato una regina e dall’altra una donna in lacrime riflessa in una pozza d’acqua. “Guardate bene cosa ho scritto perché è importante!” ci dice, indicando le frasi che danno il titolo alle sue due immagini. La regina e’ ricca perché ci sono le sue figlie e l’altra donna è povera per la loro mancanza.

Federica 10 anni parla con apparente disinvoltura del padre in carcere di cui in pratica non ha alcun ricordo. Ha capito che un certo signor giudice ha deciso che lui ha fatto cose molto brutte e che quindi lei non può incontrarlo finché non sarà grande. Sollecitata a portare delle domande per capire meglio la questione riesce a dire che lei ha una curiosità da oltre un anno e che non l’ha mai detta a nessuno. “Mi piacerebbe sapere che papa’ e’”.

E così, mentre gli adulti parlano, parlano, parlano, i bambini si trovano le loro spiegazioni per incontrare il mondo, quelle per loro possibili da accettare.

I bambini che vogliono la mamma non si fanno incantare da un angelo e anche quando non c’è sanno trasformarla in una regina. Ascoltano attenti i racconti del giudice dei bambini che tiene lontano i loro genitori ma, in segreto, non smettono di chiedersi chi sono e che padri o madri potrebbero essere.

I bambini fanno la loro parte con coraggio e curiosità, imparando nonostante noi. Ci lanciano di continuo la palla fiduciosi che, prima o poi, riusciremo a prenderla insegnandogli ciò che non possono imparare, senza il nostro aiuto.

Autodifesa dall’integralismo

1 commento

labirinto

 

Non credo a chi dice che la verità è semplice, ma c’è qualcuno che fa di tutto per nasconderla. La verità non è mai semplice, occorre cercarla con impegno e delicatezza. Se ne trovo una senza fatica, vuol dire che non è una verità.

Vegano? buon per te

20 commenti

Ieri ho seguito con molta attenzione questo video, consigliatomi da un caro amico. Un’ora e venti minuti di conferenza tenuta da un simpatico vegano. Ho del buon tempo da perdere direte voi. Può darsi, ma è stato molto istruttivo. Non nel senso dell’aver imparato come si diventa vegani, ma dell’aver capito come si diventa integralisti.

Il ragionamento è un po’ lungo per un post, armatevi di santa pazienza se volete seguirlo sino in fondo…

Per uno di quegli strani incroci astrali che di tanto in tanto rendono un periodo della tua vita particolarmente denso di incontri simili, succede che io abbia a che fare da più lati con ideologie, metodi, pratiche, stili di vita che oggi, grazie al simpatico vegano, posso definire tutti sostanzialmente integralisti. Ci sono molte ragioni per arrivare a questa conclusione, ma la prima e più sconcertante è  una caratteristica di fondo inaspettatamente comune: mi fanno sentire tutti una merda.

Proprio così, si tratti dell’ultimo movimento politico salito alla ribalta, di un maestro di arti marziali o di un simpatico vegano, il punto non è che loro hanno ragione e tu torto: il punto è che siccome loro hanno ragione, tu hai sbagliato e stai ancora sbagliando tutto. Ne consegue che ti resti una e una sola via: la redenzione. Che significa, in sostanza: pentimento, rinuncia, purificazione e, finalmente, la vita nella Verità.

Consiglio caldamente di seguire passo passo il ragionamento del nostro amico niente-proteine-animali-di-qualsiasi-tipo. E’ convincente, simpatico, accattivante, per nulla supponente, in apparenza. A tratti addirittura umile. A dire che l’integralismo non si insedia nello stile comunicativo, ma nella struttura stessa del ragionamento. E che, di conseguenza, il simpatico vegano, affabile e alla mano, è dieci, cento volte più pericoloso di un vegano arrogante.

In ogni discorso, naturalmente, c’è un pezzo di verità. Dunque anche in quello del simpatico vegano c’è della verità, anche tanta tutto sommato. Il problema non è se quello che dice sia vero o meno, ma se nell’insieme sia coerente oppure contraddittorio.

Per ogni argomento addotto in un ragionamento, esiste sempre almeno un controargomento con lo stesso valore di verità. Il simpatico vegano mostra foto di maialini cucciolosi chiedendo alla platea se sarebbero disposti a ucciderli per mangiarli. La risposta ovviamente è no, visto che il contesto non era un congresso di salumieri. Per estensione il simpatico vegano sostiene che la nostra cultura ammette che ognuno goda dei frutti di atti che non commetterebbe mai in prima persona ma che lascia fare agli altri. Il simpatico vegano chiama questo: ipocrisia. Può essere. Io la chiamo divisione del lavoro.

Ce n’é un bel po’ di cose che io non farei mai in prima persona, che altri fanno e grazie a ciò io posso avere e/o fare cose che non potrei avere e/o fare se non ci fosse qualcuno che le fa. Prendiamo gli assicuratori, i contabili, gli stilisti, gli incursori, persino i politici: i lavori sporchi qualcuno li deve pur fare e sono contento quando altri lo fanno al posto mio. Per altro è una cosa che non è mica iniziata ieri, diciamo così grosso modo, che stiamo parlando di un processo avviatosi qualche decina di millenni orsono. Poi si può continuare a considerarla ipocrisia, io preferisco chiamarla “civiltà”. Persino l’estendersi del numero dei vegani rientra in questo processo: meno gente c’è che mangia carne, più ne posso mangiare io con relativa serenità.

Poi ci sono le deduzioni improprie. Non quelle fiscali, quelle della ragione. Le condizioni di allevamento degli animali per la produzione di alimenti sono disumane, ci ricorda con dovizia di particolari raccapriccianti, il nostro simpatico vegano. Vero, a parte l’uso del termine “disumane” perchè solo gli umani allevano altri animali per mangiarseli, dunque sono sin troppo umane, non disumane. Diciamo dunque che le sofferenze inferte agli animali allevati per alimentazione sono terribili e negli ultimi decenni con gli allevamenti intensivi sono peggiorate esponenzialmente. Questo è un dato di fatto. Terribile quanto si vuole. Ma concludere che di conseguenza bisognerebbe rinunciare all’allevamento degli animali a scopo alimentare, ovvero a una delle strutture antropologiche più antiche che risale ad almeno a ventimila anni fa, è per lo meno azzardato. E’ pur sempre una via e magari ci arriveremo prima o poi perchè le strutture antropologiche sono in evoluzione. Ma al momento quello stesso dato di fatto ammette almeno un’altra conclusione: cambiamo i sistemi di allevamento. E un grazie anche ai vegani che mettono all’ordine del giorno il problema. Due secoli fa l’introduzione delle macchine a vapore nell’industria tessile ha creato condizioni “disumane” di lavoro per milioni di persone, bambini compresi. Io sono contento che la strada scelta sia stata quella di migliorare progressivamente le condizioni di lavoro e non quella di rinunciare alle macchine a vapore. Mi ci vedrei malissimo nei campi a falciare il grano a mani nude o nei boschi a far legna con l’ascia. Del resto se qualcuno vuol falciare il grano a mani nude o tirar giù alberi nel più puro stile boscaiolo del Klondyke, può sempre farlo e, infatti, molti stanno tornando a farlo. Buona vita a loro.

Infine, ogni discorso poggia sul linguaggio che utilizza ed è nel linguaggio che si cela la maggior parte delle trappole integraliste. Non è necessario, ripete più volte il simpatico vegano, “It’ no necessary”. Ma non spiega mai cosa intenda per “necessario”. Dice anche, sin dall’inizio, che il nostro comportamento alimentare dipende dalla cultura di appartenenza. Cosa del tutto ovvia, ma la connotazione che ne fornisce è negativa. La “cultura” viene paragonata a Matrix, metafora felice di ogni paranoia complottista (dopo la Spectre di James Bond) secondo la quale c’è “qualcuno”, spesso non identificato ma in questo caso sarebbe l’industria alimentare, che condiziona le nostre fragili menti a comportarsi secondo i suoi interessi. Saremmo tutti ipnotizzati insomma, dormienti, inconsapevoli strumenti nella mani del Male e il simpatico vegano si presenta nei panni di Morfeus con le pillole rossa e blu d’ordinanza. La scelta è chiara, ora che sai, perchè ora sai: puoi prendere quella blu e continuare il tuo sonno inconsapevole, oppure prendere quella rossa e vivere finalmente fuori da Matrix, libero e nella Verità. Ma se Matrix è la cultura, caro simpatico vegano, non c’è modo di uscirne, perchè la “verità” di noi umani E’ la cultura. Noi adottiamo sempre comportamenti culturalmente determinati, anche quando eventualmente decidessimo di diventare vegani. Provate a proporre il veganesimo a uno dei rifugiati negli immensi campi profughi dell’Africa centrale o a un Inuit della Groenlandia. Oppure, immaginate di proporlo al vostro bisnonno nato e cresciuto in una valle alpina o nelle campagne intorno ad Agrigento. Quello che manca in Matrix è la pillola verde, quella che permette di restarvi dentro, ma in modo consapevole. Questa è l’unica strada che ci sia data, oltre a quella blu, naturalmente. La rossa è la vera illusione, vedasi Into the wild per intenderci.

Dunque “non è necessario” è un’affermazione che per sostenere la propria verità dovrebbe chiarire cosa intenda per “necessario”. Ma appena ci provasse si dissolverebbe. Perchè alla fine non è “necessario”  praticamente nulla di quello che noi umani facciamo. Non era necessario neppure imparare a controllare il fuoco: nessuno altro animale, dopotutto lo fa e ci sono specie che durano da centinaia di milioni di anni facendone a meno.

Caro simpatico vegano, io rispetto la tua scelta. Non vuoi mangiare carne, pesce, uova, latticini e miele? liberissimo. Vuoi convincere altri a fare la stessa cosa? altrettanto libero. Vuoi  sostenere questa scelta con argomentazioni razionali? non solo libero, ma benvenuto: servono a ragionare. Ma piantala di darmi dell’idiota, dell’ipocrita o del senza pietà, per favore. Questo non posso accettarlo, come non posso accettarlo da nessuno degli integralismi che tendono a fiorire in ogni periodo di crisi. Sembra proprio che la crisi di Verità porti un sacco di gente a costruirsi la propria e dichiararla unica.

E a proposito di Verità Uniche, bella l’idea di una “alimentazione compassionevole”. Ma, francamente, trovo sì ipocrita chi abbia più compassione per gli animali che per i suoi simili. Io, per lo meno, me ne aspetto in eguale quantità. Dunque perchè il tuo ragionamento sia coerente sino in fondo, simpatico vegano, occorre che tu sia altrettanto compassionevole nei confronti della mia intelligenza e della mia dignità.

Valga, ovviamente, per tutti gli integralismi in corso che si portano appresso il medesimo difetto: credere d’esser nel Giusto, mettendo gli altri, senza possibilità d’appello, dalla parte dell’Errore, con l’unica possibilità di scegliere tra l’essere stupidi oppure complici.