Significati puliti

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di Irene Auletta

Pensandoci bene, noi genitori con figli disabili, insieme a chi sceglie di farlo per professione, siamo chiamati ogni giorno a fare cultura sui temi relativi alla disabilità e alle culture che vi ruotano intorno. 

Lo facciamo (o dovremmo farlo appena possibile!) assumendoci un ulteriore carico che sovente si traduce in una sorta di pulizia e riordino dei gesti e delle parole. Io, non senza costi aggiunti, ho scelto questa via da anni.

Le persone con disabilità sono bambini, ragazzi, uomini e donne e hanno il diritto di essere allegri, tristi, insopportabili, curiosi, annoiati, incavolati, amorevoli, intelligenti, straordinari, antipatici, motivati, simpatici.  Hanno il diritto di non essere imbrogliati, banalizzati e infantilizzati.

Come noi tutti. 

E qui farei subito una bella pulizia raccogliendo in un cestino gran parte di quelle parole stereotipate che abitano tante culture della disabilità e tanti servizi. Solo per fare un esempio mi vengono subito in mente: adeguato, collaborativo, ragazzi (per sempre), oppositivo, testardo, capriccioso, sfortunato, gravissimo, povero … naturalmente il tutto declinato indifferentemente anche al femminile!

Sulla cura dei gesti invece non mi stanco mai di ricordare il rispetto dell’altro, della sua volontà, del suo limite, del suo corpo, del tuo ritmo. Esattamente come lo stesso vale per i bambini piccoli e per gli anziani. Facile a dirsi, a fare proclami e a sostenere bandiere, ma nella realtà vera, ogni giorno, si incontrano contraddizioni, sbavature, comportamenti e culture emergenti che, in modo più o meno consapevole, negano ciò che viene sostenuto.

Forse dovremmo con più onesta’ nominare le difficoltà che si incontrano nell’incontro con la diversità, nelle sue molteplici forme, e farci allievi desiderosi di imparare sbagliando piuttosto che assertori di fragili verità.

Il fatto di avere una figlia disabile non mi apre tutte le strade e neppure mi rende capace di essere sempre così attenta, disponibile e capace di fronte all’altrui diversità. Mi sento tante volte a disagio, incapace, timorosa e conosco bene la voglia di scappare, voltare la faccia e anche di pensare che in fondo poteva anche andarmi peggio … o meglio.

La fragilità può essere contagiosa e, ogni volta che ci abita vicino, o corriamo il rischio di farci sommergere oppure riusciamo ad assaporarne inedite occasioni per trasformarla in forza. Una ricerca che non finisce mai, perlomeno, così è per me.

In questi giorni sei particolarmente dolce e affettuosa, in quel modo e con quella grazia che con pazienza e tenacia, hanno raggiunto anche le corde più severe del mio cuore. Il dono, figlia mia, per me non sarà mai la tua disabilità e non smetterò mai di soffrire per tutto ciò che la vita  ti ha negato.

Il vero dono è quello che, ogni giorno, mi permetti di imparare e che, come madre, provo a restituirti grata, tra gioia e dolore, rabbia e stupore, orgoglio e sconfitte, meraviglia e disincanto.

Mentre guido verso casa la tua mano innocente mi sfiora e per un attimo ciò che più conta è li, al mio fianco. E così riemerge la parola dono. Odiosa, ambivalente, fiduciosa, insopportabile, auspicabile. 

Vuoi dire che la ricerca, tra le mille pieghe dei significati, non finisce mai? Allora te lo prometto in silenzio, ancora e ancora. 

Andrò avanti Luna, continuerò a spazzare parole e a riordinare i gesti. 

Fino alla fine.

Oltre le parole

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di Irene Auletta

E poi ci sono delle volte in cui le nostre comunicazioni sono intensamente simpatiche e divertenti.

Sul pulmino che ti riporta a casa siete solo due ragazze e il posto a fianco all’autista e’ molto ambito … i ragazzi sembrano non mostrare alcun interesse. Più volte, quest’anno, ho dato voce a questo tuo desidero ma ieri l’ho fatto coinvolgendo la tua “rivale”. 

Sai che Luna non lo sa chiedere con le parole ma anche a lei ogni tanto piace stare davanti. Che ne dici di fare un giorno a testa?

Oggi arrivi seduta davanti, fiera e sorridente. Io ringrazio l’altra ragazza e tu, con tono di voce parecchio sostenuto, esprimi la tua volontà con forza, in un dialogo senza parole che non lascia alcun equivoco sui contenuti. 

Poi sembri volerlo raccontare a tutti e ridi tantissimo quando ti dico che puoi contare sempre sul mio aiuto ma anche sulle tue intenzioni che sai esprimere anche ai sordi! 

E così il tuo tono di voce sale quasi a confermare quello che stiamo condividendo. In questo momento non abbiamo bisogno di nessun traduttore. Le mie parole e i tuoi commenti danzano in perfetta armonia e io mi gusto l’attimo felice.

Devi proprio insistere quando vuoi qualcosa Luna e per tutta la sera ti alleni, mettendo alla prova i miei timpani!

Da anni mi misuro con quelle che penso essere anche le conseguenze della nostra direzione educativa e sono certa che la tua tenacia sia frutto di quel non arrendersi che ti fa persona attiva e non esecutrice delle indicazioni altrui. 

Certamente con la disabilità è facile, e decisamente più gestibile, cedere alla tentazione di orientare molto le scelte altrui, ma io non farei che aggiungere altra inutile sofferenza e quindi preferisco il duello alla resa.

Vederti cosi felice nel poter affermare la tua volontà, mi riempie il cuore di allegria e ancora una volta non ho dubbi sulla scelta. Esistere con dignità vuol dire comunicare, scegliere e … insistere.

Lezione della sera appresa.

Coniglietto disabile

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di Irene Auletta

In una delle mie recenti camminate nel parco vicino casa incrocio un signore che, mentre ci stiamo avvicinando, rallenta fissando qualcosa sul nostro sentiero che attira anche il mio sguardo.

E’ un cucciolo di coniglio, ultimamente nel parco ce ne sono parecchi, che nonostante il nostro avvicinarci rimane immobile, anche se un po’ tremante.

Ha qualcosa che non va, dice il signore, e osservando un particolare strano di una delle orecchie aggiunge, credo sia un coniglietto disabile.

Ecco, penso con una punta di sano cinismo, stamane mi mancava pure il coniglietto disabile!

Proseguendo penso alla tenerezza che attivano sempre i cuccioli e che sembra amplificarsi di fronte alla fragilità.

Per le persone in condizione di disabilità sarebbe bello incontrare quello sguardo più maturo, trasformato in gentilezza e capace di guardarle senza infantilismo ma con accoglienza.

Non sempre accade e con gli anni che passano si incrociano sempre più sguardi sfuggenti, pieni di curiosità, di compassione, di paura e pieni di quella frase  indicibile a voce alta. Per fortuna non e’ successo a me.

Forse sarebbe accaduto anche a me se la disabilità non mi avesse coinvolta come compagna di viaggio. Forse, proprio per questo, noi che ci abitiamo così vicino, non dobbiamo mai smettere di esibire e pretendere sguardi e gesti gentili.

Sempre.

Giorni dei ricordi

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di Irene Auletta

Sistemando alcuni cassetti a casa dei nonni ho trovato questa foto. 

Erano già giorni di sospetto e di paure ma nulla poteva farci presagire quello che sarebbe accaduto e che, negli anni a venire, ci saremmo trovati ad affrontare.  Eri una piccola gnoma già allora, degna del successivo nomignolo e perfetto per te, di signorina Minu

Ci hai regalato una gamma di sentimenti che non hanno lesinato in tutte le possibili sfumature e oggi siamo qui a festeggiare una piccola donnina che ogni giorno ci rende fieri. Sempre tra gioie e dolori, tra luci e ombre, tra paure e speranze. Ma sempre qui, al tuo fianco

Ci sono stati anni in cui il numero ventiquattro pareva un orizzonte irraggiungibile e ora mi sento di festeggiarlo con gratitudine.

Insieme ai regali che pian pian scarteremo, fatti come sempre di esperienze che speriamo possano donarti felicità, come ogni anno mi piace regalarti pensieri che mi auguro, in qualche modo e attraverso incomprensibili energie, arrivino al tuo cuore.

Che dici se ti regalo qualcosa di ciò che ho imparato?

Con te ho imparato che la “lista delle cose fare” rischia di essere infinita se non si ha il coraggio di fermarsi per guardare insieme un film.

Ho imparato che l’assenza delle parole, nella loro continua mancanza, possono farci cercare strade sempre nuove per raccontarci la nostra storia

Ho imparato che i limiti fanno male ma che, aiutando a cambiare prospettiva, possono offrire spettacoli inediti.

E così, ho imparato a dirti buon compleanno, anche in silenzio, ma senza rinunciare all’allegria

Auguri a te, mia preziosa e figlia delle scoperte, che la vita continui a farti brillare gli occhi di meraviglia

Auguri Luna mia 

Esploratori di significati

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di Irene Auletta

Non smetterò mai di parlare dell’importanza delle parole che utilizziamo come educatori e, più in generale, come operatori impegnati in relazioni educative o di aiuto alla persona. Naturalmente vale lo stesso per i genitori, ma quella è una storia che osservo da un altro punto di vista e con differenti valutazioni.

In particolare, pensando al mio lavoro con gli educatori, mi risuonano espressioni come capriccioso, testardo, pigro, oppositivo, demotivato, aggressivo. Ognuno può arricchire la sua personale lista. Ma io, ogni volta, mi chiedo cosa vuol dire?

Mi sembrano etichette vuote, che non parlano di nulla e che invece ci spingono a cercare puntualità e profondità, prima di tutto nel rispetto delle persone a cui ci rivolgiamo e subito dopo in quello della nostra professionalità.

Più volte mi è capitato di sottolineare il ricorrere di alcune parole, e dei significati correlati, a seconda del destinatario dei vari servizi educativi.

Avete presente è intelligente ma non si applica, potrebbe fare di più? Come potrebbero non risuonarci echi sentiti tante volte negli incontri scolastici? Ma non meno frequenti e ricorrenti le altre parole nominate, sovente rivolte sia a bambini piccoli che a bambini o ragazzi con disabilità. 

Proprio pensando a questi ultimi sento sempre più forte l’esigenza di mettere a fianco dei bisogni i diritti e di introdurre parole, quasi rivoluzionarie, come sogni, desideri, interessi, possibilità, fantasia. 

Ci sono parole che creano gabbie, che bloccano, che banalizzano l’altro e l’incontro. Oggi più che mai abbiamo bisogno di aperture, di nuove possibilità e orizzonti inediti e originali, di creatività nel senso più nobile e artistico del termine, anche nelle relazioni umane.

Vorrei sentirmi raccontare sempre meno dell’opposizione di mia figlia, per sentire valorizzata la sua possibilità di scegliere e di esprimere la sua volontà. Mi piacerebbe che non venisse più etichettata come non verbale, per intravedere, insieme agli operatori, nuove vie per comunicare. 

Dopo l’ultima seduta con la tua maestra Angela hai indicato a tuo padre il punto del tuo corpo su cui avete lavorato e quando lui ti ha chiesto di raccontarmelo hai toccato lo stesso punto sul mio viso. In quei momenti il silenzio si riempie di meraviglia e di un’intensità che fa scintille.

Ah giusto! …. Possiamo aggiungere anche queste ultime due parole?

Così, tanto per cominciare.

Dialoghi muti

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di Irene Auletta

All’uscita di scuola:

Amore che hai fatto oggi a scuola?

Mamma … ma che cazzo!

L’amica di Facebook che ha postato questo scambio si riconoscerà subito e forse sorriderà di fronte alla citazione. Lei ancora non lo sa ma l’ho anche già citata nel corso di una supervisione con operatori di un servizio diurno per disabili.

Lo scambio, che potrebbe facilmente ricondursi a quello con un figlio adolescente, di quelli disegnati bene dal film Gli sdraiati, in realtà riguarda il saluto con un bambino disabile che probabilmente non sarà mai in grado di rispondere, almeno a parole, a questo quesito.

Quante volte con mia figlia, soprattutto quando era più piccola, mi sono trovata di fronte alla medesima situazione? E quante ne osservo di analoghe, quasi quotidianamente, tra genitori e bambini anche molto piccoli?

Com’è andata la giornata? Cosa avete fatto? Cosa hai mangiato? Avete giocato? Molti bambini non amano questa sorta di affettuoso interrogatorio e sovente rimangono in silenzio o perchè sono troppo piccoli per poter realisticamente stare in quella comunicazione o comunque, semplicemente, perchè non hanno voglia di rispondere. Pensate se appena rincasati, ogni giorno, ci trovassimo di fronte a tanti punti interrogativi!

Spesso di fronte al silenzio di mia figlia, dello stesso colore del bambino citato nel dialogo iniziale, mi sono sentita dire che molti bambini o ragazzi comunque non amano rispondere. Ora però, con molta calma e senza la stizza che avrei espresso in passato, ci tengo a sottolineare la diversità tra chi sceglie di non rispondere, chi non è ancora in grado di farlo per età e chi invece, per sorte, non lo sarà mai.

Capisco tanto quella tentazione, sempre in agguato, di riempire lo spazio silenzioso con le nostre parole. Solo da pochi anni mi piace stare nel silenzio con mia figlia e metterci dentro tutto il mio amore muto. E’ stata una strada molto lunga, dura e ancora oggi inciampo.

D’altronde, se ci pensate, proprio i genitori dei bambini piccoli, citando continuamente le prime parole dei loro figli, le loro espressioni buffe e i loro primi discorsetti, sembrano ribadire che proprio attraverso quel primo scambio di parole nasce e si definisce un’identità, della persona e di quella storia di incontro.

Abituarsi a muoversi nel silenzio è difficilissimo e ogni tanto, proprio in quell’incontro con il figlio silente, sembra sparire l’ossigeno vitale. Riuscire a trovare nuove fonti di respiro, anche attraverso l’ironia di quella mamma che si racconta su Facebook, è uno dei modi possibili.

Ricordo spesso le parole della tua nonna paterna, che purtroppo non ha potuto conoscerti, quando suggeriva di non chiedere mai ai bambini se ci vogliono bene ma di diteglielo noi per primi. Grazie nonna Franca. Lo ricordo spesso e mi riaffiora alla memoria quando, quasi sussurrandoti un segreto, ti saluto al tuo rientro a casa.

Ti voglio bene amore, mi sei mancata. 

Altro

Parole in volo

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di Irene Auletta

Accade di scoprirsi coinvolti in conversazioni che fanno sentire fuori luogo e fuori tempo e quando questo mi accade con persone di cui ho stima è ancora più difficile capirne l’origine e la forma del disagio. Così mi ritrovo coinvolta nelle preoccupazioni di una madre che ricorda con forte emozione la sua angoscia e il suo dolore di fronte alla possibilità di avere un figlio con una qualche malattia o disabilità. Ricorda che per fortuna tutte le paure si sono dissipate ma che, anche a distanza di anni ha ancora negli occhi le situazioni tragiche incontrate in occasione di alcuni ricoveri ospedalieri dove ha incrociato bambini con gravi sindromi genetiche. Da paura.

L’altra persona presente allo scambio, da anni vicina alla mamma che racconta, arricchisce il ricordo sia dando voce alla fatica di quei giorni passati che, rivolgendosi direttamente a me, sottolineando che ora il bambino non ha alcun problema e che lei ha fatto di tutto per aiutarla e rassicurarla. Sono passati un po’ di anni da quelle paure ma il ricordo sembra far riemerge ancora le tinte forti e cupe di quei giorni lontani.

Cosa c’è di strano in tutto questo? A parte il fatto che entrambe le persone mi conosco da anni e sanno benissimo di te figlia adorata? Nulla.

Al momento raccolgo solo un po’ di domande acerbe e mute che mi rimangono a girovagare tra lo stomaco e altre zone vicino ma ora ripenso all’accaduto di qualche giorno fa con uno sguardo differente. Le domande rimangono aperte e forse va bene anche così. Quello che però sta prendendo una nuova forma è la peculiare sensazione di essere diventata una madre, non una persona, ma una madre trasparente e mentre lo penso mi accorgo che questa per me non è un’esperienza nuova. Anzi.

Io che di certo non sono una persona che passa inosservata per carattere, atteggiamento, scelte e modi di attraversare la vita, sono sovente una madre trasparente. Ecco. L’ho detto. Sarà per timore, disagio, difficoltà o incapacità di avvicinare una storia come la nostra? Oggi le possibili risposte non mi interessano più perché ho ben chiaro che questo non può, e non vuole, essere un mio problema.

E allora cosa? Un tarlino mi gratta il cuore e prende la forma di quel pensiero sentito tante volte e mai detto. Per fortuna non è successo a me! Per fortuna, per fortuna, per fortuna. Eccole lì, le parole che scottano.

Le prendo tra le mani e le tengo strette accorgendomi che mi bruciano un po’ meno. Apro il finestrino del treno, ti penso, ti mando un bacio a distanza e le butto via.

Morsi di parole

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di Irene Auletta

Ci sono mattine così. Di quelle che iniziano con piccole lotte difficili da far rientrare e che sovente sfociano in un saluto condito con un po’ di dispiacere, da parte di entrambe.

Sei nella tua modalità non mi va bene niente e mi oppongo a tutto e siccome io insisto in una delle infinite pratiche mattutine che purtroppo non ti possiamo risparmiare insieme a quei nostri e continui gesti di interferenza, alla fine tu rispondi con chiarezza morsicandomi.

Ecco, alla faccia di tutti quelli che abusano della parola accettazione, da me ormai detestata cordialmente, ci sono rimasta male e ogni volta questi tuoi comportamenti mi fanno scontrare con alcune parti di te e di quello che sei che fatico assai a digerire.

Non è bello quando accade da parte di un figlio piccolo ma quando la protagonista è una ragazza di diciannove anni, la faccenda si fa complessa. So benissimo interpretare il tuo comportamento come una reazione chiara ad un mio gesto di invasione e, tante volte, sono io stessa a stimolare le tue risposte piuttosto che vederti rinunciare all’affermazione della tua volontà. E, in tali casi casi, non so cosa mi fa più male. Tuttavia, il pensiero razionale, non toglie nulla a quella mia reazione della pancia che ogni volta mi lascia con una sensazione di amaro in bocca e di profondo dispiacere.

Così, cerco vie di mezzo evitando un eccesso di parole che tanto non servono a nulla. Ti dico però che mi dispiace del morso e che, pur capendo il perché del tuo comportamento, quello rimane un brutto gesto. Ai tuoi tentativi di risate e di abbracci, che frequentemente utilizzi come risposta a discorsi seri o quando sei in una situazione di disagio, rispondo con fermezza a conferma della mia posizione.

Ti saluto guardandoti attraverso il vetro del pulmino mentre ti allontani e mi sembri assorta e pensierosa. Sarà stata una mia impressione o un mio desiderio? In questi momenti non so bene cosa pensare. Non mi aiutano quelli che di fronte a certe reazioni mi ricordano il tuo essere adolescente (che poi, parliamone!) e neppure quelli che fanno le faccine tra il pietistico e lo sdolcinato come a dire ma dai non essere così severa!

Insomma, su una cosa oggi ci assomigliamo senza alcun dubbio. Anch’io mi sento parecchio oppositiva e con una gran voglia di prendere a mozzichi le parole.

‘O famo strano?

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'O famo strano?

di Irene Auletta

Ma secondo te, lei capisce quando le parli?

Domanda per nulla originale che molte volte mi è stata rivolta personalmente e altrettante è comparsa nei racconti di tanti genitori. Nulla di strano quindi fin qui se non fosse che, stavolta,  la protagonista dell’interrogativo è una ragazza tua coetanea che frequenta il tuo stesso centro. Una di quelle che a vederle ti chiedi cosa ci fanno in un centro per disabili ma che, evidentemente, si porta sulle spalle qualche piccola fatica trasparente.

Tu cosa ne pensi? Le rispondo un po’ sorpresa e, di fronte alla sua espressione dubbiosa, non posso fare a meno di pensare alla diffusione di quei tanti luoghi comuni che definiscono le culture. Eppure, proprio non molto tempo fa, proprio tu hai sorpreso per l’attenzione espressa in occasione di una visita al museo snobbata da parecchi ragazzi definiti certamente più “alti” di te dalle moderne diagnosi funzionali. Ancora una volta prevale l’idea che le persone sono ciò che sanno fare è su questo tu, figlia mia, non sei messa affatto bene.

Eppure ti incanti davanti ad alcuni panorami, esprimi una grande curiosità e sorpresa durante una salita in funivia, ti perdi ad ascoltare il suono di un ruscello come se fosse la più bella delle melodie. Ma questo cosa vuol dire?

Gli occhi della nostra interlocutrice mi ricordano che attende una risposta. Sono certa di si, le dico, solo che forse bisogna trovare modi diversi per parlarsi e dirsi delle cose. Chissà se avrà fatto la medesima domanda anche agli educatori e cosa avranno risposto?

E pensare che quando sono con te sono io a sentirmi tante volte sorda e incapace di comprendere! Mi tornano in mente le parole di Angela, la tua insegnate Feldenkrais, quando descrive le tue raffinate capacità di ascolto del corpo. In fondo figlia, noi due stiamo provando a insegnarci reciprocamente qualcosa, tra le parole del corpo e le parole della testa. Vuoi dire che potrebbe essere questo un bello scambio tra mente e anima?

In macchina canto stonata una delle “nostre” canzone in inglese di cui mi invento un po’ le parole mentre ridi a crepapelle.

Ma secondo te, io ti capisco qualche volta?

Parole sporche

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parole sporchedi Irene Auletta

Gita fuori porta, di quelle che sperimentiamo spesso e che grazie alla curiosità e perseveranza di tuo padre ci fanno scoprire ed esplorare luoghi sempre nuovi e a tua misura.

Oasi naturalistica, tra percorsi nel verde e con la presenza di vari animali. Mentre vicino ad un recinto osserviamo delle piccole tartarughe ci troviamo a fianco di un ragazzino intorno ai dieci anni che saltellando finisce inavvertitamente sui piedi della madre.

Lo vedi che sei proprio uno stupido! Tu non sei normale, dice di scatto la signora. In quel momento mi guarda, ti guarda e con un po’ di imbarazzo si scusa dicendo che ha reagito d’istinto. Vorrei dirle che dovrebbe scusarsi con suo figlio e non con me ma abbozzo un mezzo sorriso intenta a osservare i movimenti delle piccole tartarughe e provando a non farmi disturbare dall’interferenza.

Appena ti allontani in direzione di tuo padre mi raggiunge un altro frammento di conversazione che vede protagonisti sempre la stessa coppia madre e figlio. Lo vedi che davvero non sei normale! Per colpa tua ho fatto una figuraccia con la signora e con quella poverina.

Ricordo di quando ancora bambina ho rischiato una punizione per essermi rivolta a mia sorella dandole  dell’oca. Non ti voglio più sentire parlare a tua sorella in questo modo, tuonò il mio babbo. Sembrano passati secoli.

L’eccesso di parole ormai ci travolge ogni giorno insieme ad un sacco di stupidaggini, non sensi e bizzarre interpretazioni. Ogni tanto sono davvero stanca e mi accorgo che, in silenzio, al tuo fianco mi ossigeno di bontà.

Ma dai non essere sempre la solita esagerata, sono solo battute! Me lo sono sentita dire tante volte e può essere che su alcune questioni io abbia anche i nervi un po’ scoperti. Eppure la mia anima pedagogica frigge avvertendo anomalie che vanno ben oltre quello che può ferirmi o infastidirmi come madre.

Raccolgo ogni giorno, da insegnanti, educatori o da operatori sociali, segnali di limiti relazionali che vengono continuamente oltrepassati in una sorta di escalation di cui ancora si fatica a vederne la fine. L’ultima cosa che mi interessa fare è puntare il dito verso qualcuno o in direzione di qualche strano fenomeno sociale.

Mi piacerebbe però, e tanto, che gli adulti si fermassero ad ascoltare più spesso ciò che dicono quando parlano con i bambini e i ragazzi, perché sono proprio loro che ci stanno restituendo sfiducia e un grande senso di smarrimento.

Ogni figlio e ogni generazione, come di fronte ad uno specchio magico, prima o poi restituisce immagini. Io, con la mia, ci faccio i conti ogni giorno.

E voi?

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