Crescendo insieme

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E’ proprio il sapore di Ottobre che mi ricorda il momento della tua nascita. Quasi profetica quella luce dalle tinte sempre un po’ malinconiche insieme al calore di un sole capace di sorprendere per il gradito tepore. 

Faccia pure sedere la bambina … Papà, ho conosciuto una bambina di nome Luna … Che bella bambina!

Mi sono abituata a non replicare che sei una ragazza che sta per diventare una giovane donna e, nel tempo, ho imparato anche a soffrirci un po’ meno. Solo un pochino.

Tuttavia, le esperienze legate al mondo dell’infanzia, sono per noi sempre più lontane e oggi, remando contro tutte le onde che portano a banalizzarti proprio per le tue competenze, di certo originali, ma assolutamente fuori dai canoni comuni, ti guardo ricordando la tua storia e la nostra con te.

In questi ultimi tempi stanno accadendo passaggi importanti e ti scopro ragazza, capace di stare nei cambiamenti e di affrontarli con lo stupore e la curiosità che, ogni giorno, per me sono lezioni preziose. Per la prima volta, di recente, hai accettato di essere accolta al pulmino da una persona nuova, che stai imparando a conoscere, e con lei, sei salita serenamente a casa. Gentile, ma ancora in uno spazio di relazione che parla di bisogno di conoscenza. Insomma, da adulta. 

Meno capace io che, nei paraggi per qualsiasi emergenza, mentre ricevevo il positivo messaggio dell’incontro, mi sono ritrovata con gli occhi pieni di lacrime per l’emozione. A volte mi riscopro ancora una madre piccola.

Me lo devo ripetere soprattutto in alcuni momenti che non sei più una bambina, che hai le tue risorse e il tuo bagaglio di capacità e di storia, che puoi anche fare a meno di me. Quando però ti vedo fragile, o così ti percepisco, perdo l’orientamento e anche il mio sfocato sguardo materno ci mette un po’ a riprendersi.

Colpa dei temporali improvvisi, di quelli che ricordano la fine dell’estate e che vedono affacciarsi momenti di difficoltà, di tensione, di protesta. In quei momenti non ti capiamo e non ci capiamo. Tu urli e ti butti a terra sfidandomi e io, affannosamente in cerca di nuove strategie, soffro recitando uno dei miei mantra preferiti. Passerà. Passerà. Passerà.

I pizzichi al cuore possono essere di gioia o di dolore, ma a volte, il loro bello sta proprio nel risultare variegati e intrecciati, come solo le emozioni  forti e importanti della vita sanno essere. Noi proviamo a farne ogni giorno tesoro.

Buon compleanno figlia, colore e buio, meraviglia da scoprire e da gustare, incontro rivoluzione della mia vita.

Buon compleanno tesoro tra i tesori, fiore delicato al profumo di Te.

Anche per quest’anno ti prometto che ti lascerò andare. 

Anche per quest’anno ti prometto che continuerò a rompermi la testa per provare a capirti.

Ancora un po’.

Panorami e pertugi

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di Irene Auletta

Attraversare i luoghi con abiti differenti svela sempre occasioni interessanti e a volte inattese. Accompagniamo tuo padre per un impegno di lavoro, cogliendo l’invito ad essere ospitate dagli organizzatori del convegno nello stesso contesto che vede svolgersi svariate proposte e attività educative.

Noi siamo una coppia un po’ a parte, madre e figlia, che si ritrova coinvolta nei discorsi tecnici di pedagogisti, formatori, educatori ma senza farne direttamente parte. Il ruolo di madre è quello che appare senza alcuna possibile confusione e, dato che nessuno mi chiede di cosa mi occupo professionalmente, mi regalo la possibilità di guardare un mondo che conosco molto bene da una peculiare prospettiva di ruolo.

Così mi gusto i caratteri di un’accoglienza speciale, di una cura che sa andare oltre i confini dell’orario di lavoro a favore di una forte appartenenza culturale, di scelte personali di chi, in età da pensione, dedica il suo tempo a quel particolare contesto. Insomma, una realtà che parla di tante ricchezze educative e grande attenzione a ciò che accade, ogni giorno, negli incontri e nelle relazioni con i bambini, i ragazzi e gli adulti.

Forse per questo, proprio lì, stonano ancora di più i toni in falsetto utilizzati sovente con i bambini piccoli per chiederti fondamentalmente come ti chiami e subito dopo a me quanti anni hai. A parte qualche rarissima eccezione, fine dello scambio.

Nel momento del pranzo mi colpisce il dialogo tra operatori presenti al nostro stesso tavolo, a proposito di servizi educativi e disabili, quasi non accorgendosi della nostra presenza. Dopo un po’, una giovane educatrice, che dice di aver frequentato l’università tantissimi anni fa (cinque!), sembra accorgersi di noi e così finisce, un po’ maldestramente, per chiedermi se sei una non verbale. 

Respiro e attendo qualche secondo prima di rispondere mentre nella mia mente si affastellano pensieri della strada che ancora dobbiamo percorrere, di quanto ancora c’è da imparare nell’incontro con i genitori e di quanto anche oggi, mi porto via , per il mio lavoro e per la mia vita. 

Guardo negli occhi chi mi ha fatto la domanda e con un sorriso rispondo.

E’ Luna.

Cronache d’estate

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di Irene Auletta

Siamo in attesa della banda. Un piccoletto di cinque/sei anni ci si avvicina chiacchierino. Ciao come ti chiami? dice rivolto a te. Di fronte alla mia risposta ti osserva curioso e puntuale arriva la solita domanda. Ma lei perché non parla? Sembra soddisfatto della mia risposta e commenta che (comunque!) ti trova bella e simpatica. Saltella verso il padre urlando Papa’ ho conosciuto una bambina Luna! Pure agli occhi dei bambini risulti piccola e ormai, io e tuo padre, siamo abituati anche a questo.

Mentre la musica si avvicina, il capannello di persone si popola e ci scambiamo saluti e battute “da spiaggia”. Da quanti anni ci conosciamo!, commenta una signora mentre mi chiede quanti anni hai. Quando ci stiamo per salutare commenta che “parla spesso di questa ragazza del mare che forse per tanti versi non è stata molto fortunata ma di certo ha la fortuna di avere due genitori che la amano così tanto da renderla felice”. Sorrido commossa e penso che gli sguardi sono sempre pieni di parole che a volte e’ curioso ascoltare.

Poco dopo, passata la banda accolta con la rinnovata allegria, siamo in acqua per il nostro primo bagno della giornata. Ti guardo nuotare con quella nuova maschera che da qualche anno stai imparando ad utilizzare sempre meglio, a vantaggio di quelle nuove possibilità che ti hanno definitivamente liberata da braccioli o altri orpelli da galleggio. Nuoti libera e sarà che in acqua anch’io assaporo quel gusto, questa esperienza mi pare, anche per te, unica e bellissima. Il tuo corpo sperimenta movimenti che la gravità rende più lenti e complessi e ti osservo flessuosa, morbida, allegra.

Eppure anche questa libertà non è per te gratis. Tu, che non tolleri neppure una mollettina invisibile tra i capelli, hai imparato ad accettare questo aggeggio che ti contiene l’intera faccia e che a parecchi crea un senso di fastidiosa claustrofobia.

Ti vedo libera, di scegliere, di provare, di avvicinarti e allontanarti. Libera di giocare e divertirti.

Ogni genitore ha il suo orizzonte educativo e oggi il mio mi appare sempre più chiaro. Felicità e libertà.

La disabilità e’ sempre lì, sullo sfondo, e profuma di mare.

Oltre la vita

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di Irene Auletta

In questi giorni ho accompagnato mio padre nelle varie tappe di saluto al suo fratello minore. Ieri camera ardente, oggi funerale. Il dolore rende ancora più vulnerabili e mi ritrovo a guardare i miei genitori che, improvvisamente, mi sembrano diventati ancora più anziani. 

Con questo zio, molti anni fa, avevo avuto uno scambio non facile sempre in occasione di un funerale. Ma quella volta, si trattava di quello di mio fratello quindicenne. Avrei capito solo molto anni dopo che nella nostra famiglia il dolore, allora, assumeva le forme più svariate di eccesso di spiegazioni, inutili razionalizzazioni e negazione delle emozioni.

In questi giorni ho dialogato un po’ con la memoria di mio zio e gli ho raccontato della strada fatta. Oggi al suo funerale, nel silenzio della funzione religiosa, gli ho detto quanto ho imparato in questi anni, proprio a partire da quel nostro scambio di anni fa, dove il mio dolore sapeva esprimersi solo con rabbia.

Vedere mio padre piangere e’ stato quasi un sollievo e mi è parso che il tempo passato, abbia insegnato qualcosa anche a lui. Mia madre invece, le sue lacrime le ha esaurite e nel mondo in cui a volte si perde sembra esserci spazio solo per un po’ di leggerezza. La vita satura e le persone anziane, ognuna a suo modo, sembrano ricordarcelo.

Oggi mi sono portata a casa, insieme a molte emozioni evocate da tanti incontri, un monito alla misura e all’equilibrio. In fondo la morte, come ha detto saggiamente mia madre, ci ricorda di non pensarci eterni e di “fare, appena possibile, pace con la vita”. 

Con il dolore ci faccio pace ogni giorno e, ogni giorno, grazie a questo, intravedo pertugi di gioia.

La vita e la morte oggi mi hanno mostrato una nuova danza.

Promesse e desideri

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di Irene Auletta

Oggi si rientra dalla prima tappa di vacanza. Ci abbiamo pensato non poco, con tuo padre, alla possibilità di sperimentare una settimana, magari non proprio a tua misura.

A partire dal viaggio: auto, navetta, aereo, traghetto, per giungere in spiagge da paradiso ma spesso, per te, molto difficili da raggiungere. 

Ma ci abbiamo provato lo stesso e alla fine penso che abbiamo fatto la scelta giusta. Ti sei divertita, hai provato a spingerti un pochino oltre le tue possibilità, hai protestato e poi mediato, hai nuotato in un mare trasparente appassionandoti di tutto il fondale, hai fatto le ore piccole felice per poi urlare di stanchezza, hai guardato un tramonto con gli occhi pieni di meraviglia, hai riso tantissimo sempre circondata dal vento.

Sei stata una ragazza grande e ci hai reso, ancora una volta, molto orgogliosi di te.

Ogni estate raccolgo da parte di tanti genitori con figli disabili commenti ed emozioni che narrano di preoccupazione e tanta fatica. Le scuole e i centri diurni sono chiusi e le vacanze, a volte, possono trasformarsi in piccoli incubi. Ogni cosa sembra più difficile in estate e naturalmente la complessità aumenta con il passare degli anni.  Persone che sovente hanno necessità di routine si trovano travolte da frizzanti scie di sole, colori, profumi, voglia di leggerezza e libertà. 

E’ difficile per noi, figli e genitori, vivere la libertà e trovargli ogni giorno significati inediti che possano stare nelle nostre vite, rispettandole.

Certo, non cambiare nulla, stare nel comodo, non osare, non esagerare, fa stancare decisamente meno. Rispetto e comprendo chi sceglie vie più quiete, ma io non voglio questo per te, figlia mia. E non lo voglio neppure per me.

Voglio nuove esperienze, voglio vedere i tuoi occhi pieni di sorpresa, voglio guardarti con uno sguardo colmo della bellezza che ci circonda, voglio risate e proteste, ombre e allegria, fatiche e meraviglie. Voglio la vita.

Sempre, sempre. 

Forme di gentilezza

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di Irene Auletta

Da quando sei piccola, hai un modo molto particolare di reagire al dolore fisico. Quasi come fanno in modo istintivo gli animali, ti metti in protezione, proprio tu che con il dolore hai uno strano rapporto. Sembri averne una tolleranza altissima, figlia del grave disturbo neurologico, e al tempo stesso ti blocca. 

Per fortuna non hai mai avuto incidenti molto gravi ma tante storte alle caviglie che per giorni hanno bloccato o rallentato il cammino, piccole contusioni o botte che ti hanno fatto assumere atteggiamenti di chiusura, e ombrose stereotipie,  a volte molto difficili da accettare e comprendere.

Così, di ritorno dalla tua vacanza lontana da noi, mi accorgo di una mano gonfia e di quel tuo comportamento che la lascia lontana da qualsiasi azione possa coinvolgerla direttamente. Non la utilizzi più per mangiare, ed è proprio la destra, o comunque lo fai con estrema fatica e lentezza, non la usi per prendere, stringere, appoggiarti.

Da subito Angela, la tua maestra Feldenkrais, ci rassicura, rispetto al timore di una piccola frattura e dopo due settimane oggi ti ricontrolla. Il problema sta rientrando e pian piano anche tu permetti alla mano di assumere piccole fatiche o pressioni. Anche se poi tuo padre mi racconta che pochi giorni fa in piscina ti sei scatenata anche mettendo la stessa mano sotto fortissimi getti di acqua. 

Di fronte al tuo comportamento Angela riconosce quel tuo fare di sempre e sottolinea che è molto bello il tuo modo di essere gentile con un tuo dolore e di prendertene cura.

Ecco, queste sue parole continuano a girarmi nella testa e ti corrispondono tantissimo in quel tuo essere goffa, maldestra e al tempo stesso piena di grazia, anche verso alcune tue fragilità.

Quanto ho ancora da imparare cara ragazza del mio cuore!

Il bello che c’è

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“Kintsugi, letteralmente riparare con l’oro, è una tecnica giapponese per aggiustare oggetti in ceramica. Le linee di rottura sono lasciate visibili, anzi evidenziate con polvere d’oro, così da creare un nuovo oggetto, un’opera d’arte.” (nella foto)

 

di Irene Auletta

Ieri alla stazione centrale di Milano, dieci minuti prima della partenza, mi hanno rubato il cellulare. Dopo un attimo di allerta e incertezza, verificata la presenza del computer e la complessità di rinviare l’ultima supervisione prima della pausa estiva, ho deciso di partire. E’ pazzesco come in questi casi ci si renda conto delle nostre nuove forme di dipendenza e, al contempo, delle vulnerabilità emergenti di fronte ad un imprevisto.

Senza cellulare è stato impossibile connettersi sul Freccia Rossa e, di conseguenza, fare la denuncia o raccogliere gli elementi importanti per capire gli step urgenti da attivare in situazioni analoghe. Allo stesso tempo, è stato impossibile avvisare la persona che mi aspettava, anche di eventuali ritardi o cambi di orario. Per un attimo ci si guarda, sentendosi smarriti.

Poi, il signore di fronte a me, sentita la richiesta fatta al capotreno, mette a mia disposizione la connessione dal suo cellulare e mi permette, quasi insistendo, di avvisare la collega che mi attende. Giunta a Vicenza, persa la coincidenza per ritardo della Freccia, mi ritrovo nel bar della stazione e di fronte alla richiesta di fare una telefonata, anche pagando, la cassiera mi offre senza indugio il suo cellulare personale. Allo stesso modo la polizia ferroviaria, pur non potendo accogliere la denuncia per assenza dell’ufficiale preposto, mi mette a disposizione il telefono per le necessarie chiamate. Insomma, mi accoglie un mondo di persone disponibili e solidali.

Questa è l’Italia che mi capita di incontrare spesso e che rischia di rimanere all’ombra delle volgarità e aggressività che, prepotentemente appunto, occupano sovente la scena odierna. Ma, di fronte ad un disagio, io ho incontrato queste persone. Tra gentilezze inattese, aiuti spontanei e sorrisi cordiali.

Nel viaggio di ritorno sto ripensando alle peripezie del giorno prima e ai relativi disagi, quando si siede di fronte a me una giovanissima ragazza evidentemente provata da cure di chemioterapia o cose analoghe. Senza capelli, con mascherina, sguardo sofferente laddove avrebbe dovuto spadroneggiare il beffardo e vivace sguardo adolescenziale. 

No, non mi è successo proprio nulla. Queste sono davvero cavolate e la ragazza di fronte, me lo ricorda ad ogni respiro.

Lontananze di vita

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di Irene Auletta

E così anche quest’anno  sei riuscita a fare la tua piccola vacanza lontana da noi e, ancora una volta,  il tuo rientro detta quei tempi che, negli anni, mi hai insegnato a rispettare. Subito riesci ad avvicinare tuo padre, in un saluto di bentrovato, ma con me i tempi si allungano sempre un po’.

Io ti comprendo e rispetto, forse perchè in questo ci assomigliamo e perchè credo con forza che gli incontri importanti meritano cura, cautela e rispetto dei tempi. Così, mentre sei sdraiata sul divano e io sembro una trottola a  sistemare qua e là le tracce delle nostre vacanze, la tua e quella mia e di tuo padre, ogni tanto ti passo acconto e ci scambiamo uno sguardo, un sorriso, un bacio leggero.

In questo momento provo un senso di grande gratitudine per gli educatori che ti hanno permesso questa distanza e stavolta, voglio proprio trattenerlo in queste parole rivolte a loro. Voi lo sapete bene che Luna non potrà mai neppure lontanamente aspirare a quelle che in gergo nominiamo spesso come autonomie. Eppure Luna, come tanti suoi compagni di ventura, potrà viversi tante piccole esperienze lontano dai suoi genitori e dalle solite routine della sua vita, proprio grazie a nuove dipendenze che, in quanto nuove, le permetteranno di vivere esperienze diverse. Questa, è la sua autonomia possibile  e per questo voglio ringraziarvi di cuore.

Lo so che fate il vostro lavoro ma, come mi ha ricordato di recente un’altra educatrice, le responsabilità che vi assumete in questi giorni lontani da casa e dal Centro, non sono da dare per scontate. In questi giorni un pò bui,  in cui sembriamo molto più capaci di fare gli elenchi di tutto ciò che non funziona, che manca, che è imperfetto, io voglio raccontarvi come persone che rendono possibili esperienze belle e virtuose. Noi siamo fortunati perchè, ancora oggi, in molte regioni del nostro stesso paese, queste storie sembrano quasi fantascienza ma, laddove accadono e vengono trattenute, possono diventare occasione per sottolinearne il valore e un contagio sempre possibile. Io ci credo. 

Non farò i vostri nomi per rispetto di quella privacy che ritengo giusto mantenere, ma voi sapete chi siete e quindi, grazie ancora, ad ognuno di voi.

Nel frattempo mi permetti di avvicinarmi ogni volta un po’ di più. La nostra distanza assomiglia tanto alla nostra vita. Fa male e fa bene, preoccupa e risplende, ci pizzica un po’ il cuore aiutandoci a diventare grandi, madre e figlia. 

Nei prossimi giorni, avremo modo di raccontarci nei riflessi dei nostri occhi. Per ora, bentornata figlia del mio cuore.

Corpi parlanti

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di Irene Auletta

Stamane ti saluto dicendoti che starò via qualche giorno ma, come accade spesso, sei troppo presa dall’idea di uscire di casa e neppure mi guardi. Ci ho fatto un po’ l’abitudine alle tue reazioni e ho accettato questo mio problema del saluto, poco in armonia con il tuo essere sempre centrata sul presente che sta per accadere.

Mentre mi dirigo verso l’autostrada mi raggiunge la telefonata di un educatore del tuo Centro che mi chiede come mai non abbiamo inviato lo zaino per la piscina. In un attimo entrambi realizziamo il disguido. Vorrei dire che per stavolta pazienza, ma il caldo pazzesco e il tuo piacere immenso in piscina, mi spingono velocemente ad un’inversione di marcia.

Di corsa recupero lo zaino con l’occorrente e quando arrivo al Centro ti intravedo seduta tra diverse persone in un momento evidentemente di pausa o di passaggio verso altro. Non mi vedi subito e ho giusto il tempo di sentire un piccolo pizzico al cuore quando i tuoi occhi mi raggiungono e, invece di alzarti e venirmi incontro, inizi a saltare sul divano con un ritmo quasi musicale che coinvolge anche braccia e gambe.

Il tuo corpo senza parole, nell’esplosione di emozioni, mi commuove sempre e ogni volta devo contenere l’assalto di quel dolore che rischia di non farmi godere la bellezza dell’incontro. Poco dopo precipiti tra le mie braccia e mi stringi forte mentre tutto il tuo corpo mi racconta tantissimo, in quel silenzio pieno di noi.

Allora ti bisbiglio all’orecchio che torno sabato e che ora ti aspetta la piscina. Divertiti amore, prima non ho fatto in tempo a dirtelo! Fai un po’ fatica a lasciarmi e io mi gusto quel saluto lungo che mi è mancato stamane. La tua risata mi riempie il cuore di bellezza e poco dopo siamo pronte a salutarci. 

Guidando verso la mia meta ti trattengo negli occhi mentre felice ti allontani con il tuo zaino in spalla e, ancora una volta, mi accorgo che la compagnia di quel dolore che non mi lascia mai, diventa sempre più dolce, come possono diventare tutte le emozioni che hanno a disposizione un tempo lungo, lungo per potersi trasformare.

Così è il nostro amore, condannato nel presente, lentissimo in tutte le sue possibilità di imparare e pieno di esplosioni di immenso.

Basta tesorini

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di Irene Auletta

Gira in rete, proprio in questi giorni, un video che odora di fresca profondità. A parlare una bambina disabile che, senza perdere il sorriso, mette al muro gli adulti e le loro ipocrisie. Con grande chiarezza non chiede infatti facili sorrisi, dolce empatia o gesti di tenerezza, bensì rispetto.

Il messaggio, anche per le caratteristiche della giovane protagonista, arriva forte e appuntito, come quelle lame taglienti che un po’ permettono di vedersi riflessi.

Mi è piaciuta l’assenza di ipocrisia e il richiamo ad altri significati. Ne parlo spesso con gli educatori dell’importanza di aggiornare e rinforzare il vocabolario rivolto alle persone con disabilità, sottolineando parole come diritti, rispetto, cura, dignità.

Questa ragazzina ce lo ricorda con quel sorriso che bisogna imparare a non perdere, perché la disabilità diventi una dimensione dell’esistenza e non una pena da scontare.

Quel sorriso che parla di ciò che è dovuto a tutte le persone che non meritano il nostro compatimento o la nostra pacca sulla spalla, ma la nostra forza intrecciata alla loro, per rivendicare diritti, dignità e libertà.

 

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