Fiocchi di Luna

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di Irene Auletta

Ce lo diciamo sempre io e tuo padre. La magia delle foto, ma anche di molti video, e’ che trattengono sorrisi, serenità e quiete. E’ bello ricordare ciò che restituiscono ma, noi che abbiamo vissuto oltre l’obiettivo, sappiamo bene quanto altro si cela spesso dietro quelle immagini. 

Questi giorni sono stati proprio così. Tanto, tanto difficili. Questo non ha tolto nulla alla bellezza ma, insieme agli occhi pieni di meraviglia, la tua e la mia, mi porto a casa un corpo abbastanza provato e quella fatica che negli anni si accumula e che ogni tanto, anche solo per poco, fa emergere quel sentimento antico, racchiuso in quell’unica frase. Non ce la faccio. 

Ma poi perché? Cosa sta succedendo in questi giorni? È via a snocciolare con tuo padre ipotesi e narrazioni che ci sembrano poter controbilanciare la fatica con la leggerezza di nuove comprensioni. 

Poi, per fortuna, arrivano la luce, il sole, quella neve che ha spolverato dolcezza un po’ ovunque e allora la storia riprende, cercando dietro ad ogni piega, angolo e appena possibile, morbidezze e respiri ampi.

La luna del cielo, accompagnandoci nel viaggio di rientro a casa quasi ci riflette fotogrammi dei giorni appena trascorsi tra ombre, lati bui e quel riemergere tra le nuvole che all’improvviso riappare e ti abbaglia di quella bellezza tutta sua.

Mi volto e ti guardo Luna della terra. Eccoti li, proprio così. 

Anche per stavolta, e per oggi, ce l’abbiamo fatta.  

Promesse e desideri

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di Irene Auletta

Oggi si rientra dalla prima tappa di vacanza. Ci abbiamo pensato non poco, con tuo padre, alla possibilità di sperimentare una settimana, magari non proprio a tua misura.

A partire dal viaggio: auto, navetta, aereo, traghetto, per giungere in spiagge da paradiso ma spesso, per te, molto difficili da raggiungere. 

Ma ci abbiamo provato lo stesso e alla fine penso che abbiamo fatto la scelta giusta. Ti sei divertita, hai provato a spingerti un pochino oltre le tue possibilità, hai protestato e poi mediato, hai nuotato in un mare trasparente appassionandoti di tutto il fondale, hai fatto le ore piccole felice per poi urlare di stanchezza, hai guardato un tramonto con gli occhi pieni di meraviglia, hai riso tantissimo sempre circondata dal vento.

Sei stata una ragazza grande e ci hai reso, ancora una volta, molto orgogliosi di te.

Ogni estate raccolgo da parte di tanti genitori con figli disabili commenti ed emozioni che narrano di preoccupazione e tanta fatica. Le scuole e i centri diurni sono chiusi e le vacanze, a volte, possono trasformarsi in piccoli incubi. Ogni cosa sembra più difficile in estate e naturalmente la complessità aumenta con il passare degli anni.  Persone che sovente hanno necessità di routine si trovano travolte da frizzanti scie di sole, colori, profumi, voglia di leggerezza e libertà. 

E’ difficile per noi, figli e genitori, vivere la libertà e trovargli ogni giorno significati inediti che possano stare nelle nostre vite, rispettandole.

Certo, non cambiare nulla, stare nel comodo, non osare, non esagerare, fa stancare decisamente meno. Rispetto e comprendo chi sceglie vie più quiete, ma io non voglio questo per te, figlia mia. E non lo voglio neppure per me.

Voglio nuove esperienze, voglio vedere i tuoi occhi pieni di sorpresa, voglio guardarti con uno sguardo colmo della bellezza che ci circonda, voglio risate e proteste, ombre e allegria, fatiche e meraviglie. Voglio la vita.

Sempre, sempre. 

Forme di gentilezza

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di Irene Auletta

Da quando sei piccola, hai un modo molto particolare di reagire al dolore fisico. Quasi come fanno in modo istintivo gli animali, ti metti in protezione, proprio tu che con il dolore hai uno strano rapporto. Sembri averne una tolleranza altissima, figlia del grave disturbo neurologico, e al tempo stesso ti blocca. 

Per fortuna non hai mai avuto incidenti molto gravi ma tante storte alle caviglie che per giorni hanno bloccato o rallentato il cammino, piccole contusioni o botte che ti hanno fatto assumere atteggiamenti di chiusura, e ombrose stereotipie,  a volte molto difficili da accettare e comprendere.

Così, di ritorno dalla tua vacanza lontana da noi, mi accorgo di una mano gonfia e di quel tuo comportamento che la lascia lontana da qualsiasi azione possa coinvolgerla direttamente. Non la utilizzi più per mangiare, ed è proprio la destra, o comunque lo fai con estrema fatica e lentezza, non la usi per prendere, stringere, appoggiarti.

Da subito Angela, la tua maestra Feldenkrais, ci rassicura, rispetto al timore di una piccola frattura e dopo due settimane oggi ti ricontrolla. Il problema sta rientrando e pian piano anche tu permetti alla mano di assumere piccole fatiche o pressioni. Anche se poi tuo padre mi racconta che pochi giorni fa in piscina ti sei scatenata anche mettendo la stessa mano sotto fortissimi getti di acqua. 

Di fronte al tuo comportamento Angela riconosce quel tuo fare di sempre e sottolinea che è molto bello il tuo modo di essere gentile con un tuo dolore e di prendertene cura.

Ecco, queste sue parole continuano a girarmi nella testa e ti corrispondono tantissimo in quel tuo essere goffa, maldestra e al tempo stesso piena di grazia, anche verso alcune tue fragilità.

Quanto ho ancora da imparare cara ragazza del mio cuore!

Danze

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scacchi

di Irene Auletta

Il movimento è iniziato con il tuo inserimento alla scuola per l’infanzia che, come ho scritto altre volte, è stata per te una tra le esperienze più insignificanti e per me tra le più pesanti da sostenere. Ad un certo punto, quel contatto con il mio limite di madre mi ha chiesto di farmi da parte, di mettermi di lato, lasciando passare tuo padre a gestire quel rapporto con le insegnanti per me insostenibile.

Ed eccomi ancora qui, a distanza di oltre dieci anni a pormi la stessa domanda. Che ne dici vengo anch’io all’incontro di restituzione? E subito, di fronte al mio stesso sguardo critico, parto a dirmi perché si è perché no.

Mi sembra che ti sei già risposta da sola, mi dice tuo padre serio. I secondi perché hanno conquistato una vittoria schiacciante e io non posso fare altro che ritirarmi con un sorriso amaro.

Lo so che va bene così e che anche stavolta devo ascoltare quelle risposte chiarissime prima ancora di formularne gli interrogativi. Non sono in grado, sono partita con il piede sbagliato e devo fermarmi per lasciar decantare quel groviglio di emozioni che da settimane sono tornate a bussare alle mie possibilità.

È arrivato di nuovo il momento di farmi da parte e in qualità di madre mi accorgo di come, ogni volta, questo movimento mi ha permesso di imparare qualcosa. Secondo me se non vai gli dai una soddisfazione! Quante volte abbiamo sentito una frase così superficiale a risposta di questioni aperte di ben altro spessore?

Per me non è facile rinunciare ad esserci oggi come altre volte in passato, ma ogni volta, spostando lo sguardo da me a te, ho trovato la soluzione migliore. In questa nostra danza provo, inciampo, riesco e inciampo ancora.

Stavolta, è il turno del passo indietro.

Nuovi battiti

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nuovi battitidi Irene Auletta

Ogni passaggio dei nostri figli segna tappe importanti e ce lo ripetiamo ogni volta, soprattutto quando i cambiamenti portano con se’ nuove difficoltà o prove diverse da affrontare. È l’esperienza che conoscono bene tutti i genitori fin dall’ inserimento nel nido o alla scuola per l’infanzia. Io, ho in mente burrasche.

Quando anni fa, sconfitta dall’esperienza totalmente inutile della scuola materna, andai a visitare per la prima volta la scuola speciale, dove poi hai trascorso anni importantissimi, rimasi così turbata che all’uscita dovetti aspettare oltre mezz’ora per calmare il pianto e capire dove avevo posteggiato l’auto. La ferita era ancora sanguinante e faticavo a immaginare l’esperienza leggera e densa di possibilità che poi invece si è rivelata, anche grazie all’incontro con due straordinarie insegnanti. Forse per questo l’inevitabile passaggio al compimento dei tuoi quindici anni è stato difficile da elaborare più per me che per te. Forse.

Nei due anni successivi ho acceso e spento speranze vedendo appassire quella possibilità che tu non finissi proprio in uno dei servizi dove arrivano quelli definiti più gravi. E così riprendiamo la strada in salita, il colloquio di presentazione, la visita ad un nuovo Centro, l’incontro con nuovi operatori e con tuoi nuovi possibili compagni di viaggio.

E il cuore mi impazzisce insieme allo stomaco e se ne frega di quello che, con calma e pazienza, prova a suggerire il cervello. Ma cosa centra mia figlia in questo posto? Com’è possibile che non possa essere diversamente? Sorrido e dentro rantolo. Si sentirà il rumore?

Alcune cose che accadono durante il colloquio, non riferite alle due operatrici che al contrario mi sembrano molto attente e accoglienti, fanno alzare l’asticella della mia rabbia. Sale fino a quando non arrivo in auto e nel silenzio provo a guardarla in faccia fino a farmi travolgere dal dolore. Eccolo, innominabile. Non vorrei mai che proprio questo accadesse a te ma, ancora una volta mi devo arrendere e forse, come accaduto in passato, nascerà qualcosa di buono.

Quando ti ritrovo, all’uscita del Centro che attualmente frequenti, cerco di nascondere la mia tempesta interiore e spero proprio di riuscirci. Quando mi abbracci, penso che è questo il mio pensiero felice del giorno. Sulla via di casa, i colori di questo strano autunno fanno intravedere un paesaggio dipinto dalla luce del sole tra un filo di nebbiolina e le prime ombre della sera. Il cuore è pensante mentre ti osservo assorta chissà dove.

Almeno, stavolta l’auto l’ho ritrovata subito.

Senza sconto

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senza scontidi Irene Auletta

Prima  o poi doveva accadere. Durante la vacanza ci siamo misurati con la tua nuova esperienza di mail di denti che, nonostante le terapie, di notte si risvegliava chiedendoci di inventare quanto possibile per aiutarti a tollerare quel dolore che pareva arrivare come una scheggia impazzita nel cuore del sonno.

Ma come si fa ad aiutarti a capire che ti abbiamo dato quella pastiglietta che fra poco ti farà passare il male? Come rassicurarti? Come dirti abbiamo capito amore ma dobbiamo dargli il tempo di passare un pochino? Quando le parole si svuotano di significato si rimbalza con violenza contro nuove forme di impotenza.

Il dolore senza parole e’ un urlo, a volte disperato. Il dolore senza parole diventa rabbia, protesta e proclama a gran voce un senso di ingiustizia.

In vacanza, e nel nostro agriturismo, le notti movimentate non sono passate inosservate a chi, come noi, ha scelto questo luogo di quiete. E così con tuo padre ci siamo ritrovati a fare quello che non abbiamo mai fatto nei tuoi diciassette anni di vita, vedendoti più volte imprigionata nelle tue stesse reazioni. Sono le due del mattino. Che ne dici se usciamo e andiamo a farci un giro in auto?

A volte ha funzionato e a volte no. A volte mi sono ritrovata tra le braccia una ragazza diventata piccola, piccola che mi chiedeva di essere cullata per potersi calmare. Di fronte all’urlo non si può discutere e solo più tardi possono tornare le parole. Ti sei spaventata tanto amore? Che brutta crisi che hai avuto e che male hai sentito? Il babbo ha fatto la sua magia con questa scatolina da cui esce una dolce musica che ci fa compagnia. Il peggio è passato.

Anche stavolta, di fronte al tuo dolore, osservo colpita l’assenza delle lacrime. Saranno anche queste una forma evoluta di espressione e comunicazione che non ti è dato sperimentare? Ogni esperienza insegna qualcosa di nuovo e nel nostro bagaglio quest’anno sicuramente c’è qualcosa in più, fra le bellezze e le fatiche che fanno della nostra vita, proprio la nostra.

Ehi, bentornata, tutto bene le vacanze? Si, si … Tutto bene, tutto bene!

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