Racconti fiorati

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di Irene Auletta

Ci sono momenti in cui accadono cose tutte da gustare perchè chissà quando accadranno di nuovo. 

Quando arriva qualcuno a trovarci a casa, e a volte questo accade anche al rientro mio o a quello di tuo padre, la tua reazione può variare sensibilmente tra un’accoglienza gioiosa e affettuosa e una totale distanza, con un comportamento di apparente disinteresse. La spiegazione più ricorrente che negli anni abbiamo confezionato è la tua difficoltà a stare in quel cambiamento di situazione ma forse, a volte, semplicemente sei un po’ di più nel tuo mondo e non vuoi, o non riesci, uscirne facilmente.

Aspettiamo i nonni a pranzo e poi non li vedremo per parecchio tempo. Ti anticipo che la nonna è davvero molto stanca e forse avrà bisogno del nostro aiuto per stare un po’ meglio. Sai cosa sarebbe davvero bello? ti dico mentre mi ritrovo a ripercorrere tentativi comunicativi molto familiari ma sovente senza effetti entusiasmanti, sarebbe bello se accompagnassi nonna a vedere i bellissimi fiori che ci sono sul tuo balcone.

E così poco dopo ci provo, proprio mentre mia madre sta apprezzando i fiori sul davanzale della cucina, chiedendomi come si chiamano. Le sto raccontando che il balcone più bello è il tuo e in quel momento, vedendoti arrivare, ci provo e mi gioco il jolly.

Ti faccio una domanda semplice e diretta e, qualche istante dopo, osservo le tue mani prendere quelle della nonna e accompagnarla fino alla tua camera. Quando lei si ferma al centro della stanza le fai strada sorridendo ed esci sul balcone, osservando lei e poi i fiori. Io rimango commossa ad osservarvi ma cerco di rimanere in silenzio e mi gusto quel momento magico che voglio tenere impresso negli occhi e nel cuore.

La nonna ti segue e dopo qualche tempo, riemersa dal suo torpore al colore del tramonto, commenta il tuo cambiamento, la tua chiarezza nel farti capire e la tua serenità. Chi l’avrebbe mai detto, dice quasi sottovoce, e so che si riferisce ai tuoi anni più difficili, quelli a cui oggi non voglio pensare.

E di nuovo ascolto le stesse frasi del nostro ultimo incontro. Che è stanca, tanto, e che forse presto chiuderà gli occhi per sempre. E tu e Luna ce la farete vero? Io ormai quasi non respiro e prendo fiato per rassicurarla.

Ci mancherai sempre mamma e già ci manchi in quella parte di te che non sei più, ma oggi è successo qualcosa di magico e spero che ti rimanga nel cuore anche se già smarrito nella memoria.

Quando restiamo sole ti dico che hai fatto un regalo bellissimo alla nonna e anche a me. Ti racconto dei fiori. Ma sai che anche mia nonna amava tanto i fiori?

Una volta è successo  che …..

Quella forza lì

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di Irene Auletta

Mia madre e’ così. Dieci giorni fa ho temuto che fosse arrivata al suo capolinea e ieri sera faceva battute al telefono. Al suo invito a pranzo per domenica, conoscendola, cerco di rifiutare con delicatezza dicendole che mi sembra ancora troppo debole e che eviterei di arrecarle impiccio.

Ma che ci vuole per fare un po’ di spaghetti con le cime di rape? Che poi lo so che come li faccio io vi piacciono assai!

Eccola, riemersa ancora una volta, come tante volte l’ho vista nella mia storia di figlia e nella sua di donna molto malata.

Si… si… va bene, mi risponde mentre le faccio promettere che stavolta però accetterà il mio aiuto in cucina e già mi vedo a contrattare con lei ogni gesto.

Scola ora, aggiungi il peperoncino, girala bene eh?

Pensare che domenica dovrò anche provare a convincerla ad accettare un possibile ricovero e mi dovrò ingegnare perché le sue motivazioni ad una forte resistenza sono tutte stravalide. Dopo anni di esami e di ricoveri ora sei davvero stanca e io ti rispetto profondamente mamma, lottando con il mio egoismo che vorrebbe rimandare il più possibile il saluto.

Vabbè allora domenica vi aspetto, come sono contenta! Diglielo alla mia nipotina che nonna la pensa sempre.

Lo farò eccome e lo faccio sempre. Come madre mi ritrovo spesso a ripetere le tue frasi, a fare le tue battute. E Luna ride. Così sei sempre con noi.

Sempre, sempre.

Caleidoscopi del cuore

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nonna-paperadi Irene Auletta

Mia nonna materna, nel rivolgersi a me, utilizzava a volte un’espressione dialettale che tradotta potrebbe assomigliare a qualcosa del tipo tu che mi fai brillare gli occhi. Il suo sorriso era bellissimo, dolce e contagioso e detta da lei, questa frase, veicolava un affetto ricco di tante sfumature. Quelli non erano certo i tempi dove le parole si sciupavano e quindi le emozioni arrivavano forti e autentiche.

L’ho capito crescendo cosa intendeva dire davvero e lo sento nel cuore e nella pancia quando ti guardo e, a volte, anche solo se ti penso. Non potrò mai dire di un sentimento simile nelle vesti di nonna, ma di certo lo posso testimoniare negli sguardi di tante madri che ho incrociato sul mio percorso personale e professionale.

Mi torna alla memoria la mia prima esperienza di lavoro in una comunità per madri nubili minorenni dove, con tutte le difficoltà che forse è possibile immaginare, quella luce ogni tanto faceva capolino anche nelle situazioni apparentemente meno pensabili, giustificando tutto il peso dei vari punti interrogativi.

Qualche giorno fa ho incontrato un’amica con la sua bambina di pochi mesi ed è stato bello rivedere quel brillio. Ho pensato che forse dovremmo imparare tutte, madri e nonne, a metterlo in un prezioso contenitore da cui attingere nei momenti più scuri, difficili e faticosi.

Tu di certo mi aiuti, con questi eterni atteggiamenti infantili che, quando non mi soffocano nel dolore, riescono a regalarmi una leggerezza soffice e dolce che sa di zucchero filato. Non saprò mai che madre sarei stata con una figlia adolescente diversa da te, ma so che madre riesco ad essere perché mia figlia sei tu, proprio tu.

Negli anni mi hai insegnato a raccogliere le emozioni, a riconoscerle e a distinguerle alleggerendo pian piano quel giudizio che le etichettava buone o cattive. Il tempo non ci è mancato e non ci manca perché la lentezza della tua crescita non mi ha travolta in un affastellarsi di situazioni differenti.

A volte anche il dolore svela sfumature inattese e rimanendo nell’unica situazione possibile, l’immersione nel buio ha fatto emergere, per me, luci inimmaginabili. Con quelle ti guardo e, anche quando le ombre sgomitano per stare in prima fila, la luce di mia nonna arriva a scaldarmi il cuore e so, che in quello stesso istante, brilla anche nei miei occhi.

Tenerezze inattese

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tenerezze inattesedi Irene Auletta

Chiacchiere dal parrucchiere. La signora seduta al mio fianco conversa con la vicina e sta raccontando delle sue difficoltà di salute da quando assume il cortisone.

Lo prendo da tredici anni e non posso più farne a meno, perchè appena smetto mi sento molto male. E’ come una droga e all’inizio è stato un vero inferno…. Anche l’appetito non è sano e infatti, anche questo strano gonfiore in tutto il corpo, la dice lunga.

Mi perdo nei miei pensieri pensando a te che sei in questa trappola da tanti anni e hai solo quindici anni. Stai male se non lo prendi e stai male mentre lo prendi. Le cure per le malattie complesse sono così e alla fine si perde il confine tra i problemi legati alla malattia e quelli conseguenti la cura.

Mi riprendo perchè mi accorgo che la signora si sta rivolgendo proprio a me. Avrà sentito il rumore dei miei pensieri mentre mi chiede se per caso è capitato anche a me?

Tento un mezzo sorriso e dico che conosco indirettamente l’esperienza perchè la faccenda riguarda mia figlia, cercando di rimanere molto sul vago. Ma la signora, che potrebbe essere tranquillamente mia madre, non molla e mi chiede della tua età.

Quando le dico dei tuoi quindici anni le compare un sorriso da nonna e con molta tenerezza mi rassicura sul fatto che passerà, che oggi la scienza ha fatto passi da gigante e che una ragazza della tua età sicuramente guarirà, completamente.

Se sapesse.

Le sorrido anch’io e penso ai bizzarri tentativi della mente di fronte alle cose che non si riescono ad accettare. D’altronde accade anche a me ogni volta che mi parlano della tua situazione sanitaria “complessa e multiproblematica”. Mentre le mie orecchie sentono distintamente queste parole, la mia pancia ne trattiene ben altre permettendomi di andare ad ingrossare quelle fila che, anni fa, un pediatra di mia conoscenza definì “delle mamme che sembrano cretine”. In queste occasioni, mentre nel cervello mi risuona solo la parola “grave”, mi accorgo che annaspo, cerco di lottare contro l’ondata di magone, distolgo lo sguardo per riprendere fiato. Forse sono queste le reazioni che spingono alcuni medici a scambiare le madri come me per cretine.

Per fortuna arriva il mio turno e il mio parrucchiere mi accoglie con il suo incredibile sorriso pieno di tanta storia. Sempre il solito biondo per la mia ragazza preferita?

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