Madri, fiori e finestre

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di Irene Auletta

La scena è semplice. Una madre seduta su una panchina legge un libro e al suo fianco c’è una carrozzina. Mentre passo, durante una delle mie camminate al parco, osservo la scena da dietro e quasi mi pare di sentire il respiro di quella donna che ogni tanto alza lo sguardo verso l’orizzonte, poi lo rivolge al suo bambino o bambina e infine torna alle pagine del suo libro.

Ecco, questo è uno di quei frammenti di cui non smetterò mai di sentire la mancanza. Di quei ricordi mancati e impossibili da ricostruire dei miei primi mesi e anni di vita di madre. Troppo dolore, troppa paura, troppa rabbia. Tutto il resto rimane una scena offuscata all’odore dei tanti ospedali che ci hanno visti ospiti per molti anni.

Mentre ti aspettavo è passata una coppia con il loro bambino nel passeggino e ho proprio pensato che a noi questa esperienza è stata negata. Stesso giorno, stesso parco, dove io e tuo padre ci siamo dati appuntamento per un pranzo insieme, di quelli rubati alla nostra vita che a volte rende talmente difficile tutto da farci apparire fantastica l’idea di un pranzo insieme all’aperto. Sì, questo è proprio il ritmo condiviso della nostra storia!

Poi ieri sera succede ancora. Una scena vissuta tante volte negli anni. Inciampi, io non riesco a trattenerti e cadi. Piangi, più per lo spavento che per il male e tuo padre arriva in soccorso con un abbraccio ad accogliere il tuo tremore.

Ma perchè quando ti spaventi ti arrabbi? Così mi raggiunge una domanda che conosco da anni. Il dolore mi fa sempre e ancora quest’effetto, anche se un po’ meno e con meno intensità. Ma come cavolo ho fatto a non riuscire a tenerla? Perchè non sono riuscita ad evitare che cadesse? 

Il tonfo del tuo corpo a terra ogni volta mi da un pizzico forte al cuore insieme al timore che tu possa esserti fatta molto male e così solo dopo riesco a dirtelo che la mamma è proprio fatta così. Lu’ ma hai visto la mamma che tigre? Ora che è passato vieni un po’ qua che ci rassicuriamo. E ancora una volta, per fortuna che c’è babbo! 

Festa della mamma e per me cosa vuol dire? Ogni anno scrivo qualcosa, racconto e mi racconto e così metto insieme pezzetti di storia che certamente condivido con molte altre madri. 

Come madre, so che continuerò a proteggerti finché avrò respiro e lo farò continuando a cercare di darti felicità, bellezza e allegria.  A nutrirmi sempre resiste la fortuna avuta come figlia e forse per questo mi commuovo quando arrivo da mia madre con un mazzo di fiori colorati e le dico che sono per una mamma importante.

Nella confusione della sua mente in questa fase di vita, ci mette un po’ a realizzare e mettere insieme gesti e parole. Sono una mamma fortunata, mi dice dopo un po’, ed è fortunata anche la tua Luna ad averti, non dimenticarlo mai, anche quando non ci sarò più io a ricordartelo. E non dimenticare mai che anche se non te lo sa dire ti vuole un gran bene, proprio come tu ne vuoi a me.

E così, mentre raccolgo tutte le emozioni di questo momento, stringendo al cuore il dono più bello che potessi ricevere, chissà perchè mi viene in mente un noto proverbio campano.

La vita? E’n’affacciata ‘e fenesta!

Sorprese

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di Irene Auletta

Con gli anni forse si diventa tutti più distanti da quei rituali festivi che accompagnano altre fasi della vita. Almeno, per me è così.

Ma le sorprese non smettono di piacermi e mi piace raccontarmele per prolungarne il gusto il più possibile. 

E così parto dalla prima, scartata nel nostro viaggio in auto, al sapore di una riflessione sulla fortuna. Io e tuo padre ne parliamo spesso ma oggi aggiungiamo piccoli tasselli. Quanto siamo stati fortunati nella nostra vita? Ma parliamo di una fortuna gratis o di quella che ci siamo costruiti con impegno e fatica?

Chissà, può essere che abbia ragione l’autrice del bel libro Il precipizio dell’amore quando sostiene che certe domande se le pone solo chi attraversa alcune peculiari situazioni di vita.

La seconda sorpresa sei tu mamma e il tempo che oggi abbiamo potuto regalarci, come tue figlie, io e Caterina. Io ne sentivo la mancanza nella pelle e il tuo sorriso, che ogni tanto e’ comparso tiepido come una sera d’estate, mi ha riempito il cuore di bellezza.

Infine, l’ultima tappa della giornata, di nuovo soli noi tre a scoprire quei luoghi che tuo padre riesce sempre a scovare stupendomi. Ma come hai fatto a trovare questo posto? La mia domanda standard da sempre.

Un tratto a piedi lungo il fiume che ti vede curiosa, contenta e protestona, più o meno tutto in egual misura. Beh no dai, oggi protestona meno! 

E così mentre ci avviciniamo alla nostra ultima tappa, ci affianca un’auto e l’autista ci saluta cordialmente facendoci gli auguri. Ma chi sarà, lo conosciamo?

Il dubbio si dissipa ma non la mia curiosità verso questo tizio, gentile e sorridente, che con grande serenità appare noncurante delle auto in coda dietro la sua e decisamente intenzionato a scambiare due chiacchiere.

Forse, percependo il nostro imbarazzo, dice che si è fermato apposta, vedendoci e vedendo il tuo modo di camminare. Mentre ti invita a salutare il suo piccolo cagnolino che affacciato al finestrino sembra un peluche, ci tiene a rinnovarci gli auguri. Io penso che voi siete fortunati, dice salutandoci, ma davvero, con una ragazza così.

Parte salutandoci e ci rendiamo conto che le auto in coda sono di un’unica comitiva, con diversi bambini e ragazzi che, passando ci salutano augurandoci una buona Pasqua, in modo per nulla invadente ma assai gioioso.

Io rimango un po’ basita in uno stato un po’ ebete di strana euforia interrogante. Ci guardiamo chiedendoci cosa avrà voluto dirci e i nostri punti di domanda rimangono nel vento che ci accompagna verso casa.

La giornata e’ quasi conclusa e ci accorgiamo che quella parola ci ha fatto compagnia tutto il giorno,

Fortuna.

Potrebbe essere l’ultima sorpresa. Teniamocela stretta.

Da qui alla prossima Pasqua potremmo averne ancora un gran bisogno.

Incontri di cuori

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Buongiorno signora, stamane appena Luna è arrivata al Centro è successo che … (il tempo si sospende nell’ascolto) … Non ci sembra nulla di grave ma abbiamo chiamato un’ambulanza. Lei o il padre potete raggiungerci? 

Certo, arriviamo subito. Mentre chiamo tuo padre penso che sono a oltre 200 km lontana da casa e non posso fare altro che guardare a distanza. Più tardi, tuo padre mi racconterà di essersi preoccupato del mio tono “non preoccupato” che è il mio risultato del sangue secco nelle vene.

Tum tutum tum tutum. Il cuore segue la sua via permettendo alla testa di non perdere l’attenzione nell’attesa. Posso solo aspettare. E respirare.

Non passa molto tempo dalla video chiamata in cui tuo padre, che adoro più che mai in queste occasioni, mi racconta provando a coinvolgerti. Vederti, al suono delle sue parole mi rassicura ma tu, al solito, fai di tutto per non incrociare il mio sguardo. Riesco solo a dire che per fortuna c’è babbo lì con te e che ci vedremo in serata, già immaginando un rientro un po’ anticipato.

Eccomi a casa e ritrovarsi è sempre così. Tu mi osservi a distanza e, appena possibile, dirigi lo sguardo in altre direzioni. Io aspetto ma stavolta il cuore mi batte forte più di altre. Tum tutum tum

Ti aspetto in cucina amore, vado a preparare qualcosa per cena. Vieni a salutarmi quando vuoi. A volte ci vogliono giorni ma stasera intuisco un clima differente.

Non passa molto e ti sento arrivare ma tieni la distanza. Mi guardi e ridi, come quando vuoi raccontare qualcosa. Se però provo ad avvicinarmi ti allontani e allora aspetto, dicendoti molto poco rispetto a quanto accaduto la mattina.

In questi casi, non mi ha mai convinto la facile spiegazione del comportamento che in qualche modo vuol “far pagare” l’assenza ma, oggi più che mai, sono convinta della necessità di un tempo di passaggio finalizzato a creare fili di collegamento con un vuoto di presenza per te poco pensabile. 

Aspettare non è sempre facile ma stavolta non devo essere troppo paziente perchè arrivi piano alle mie spalle e, con quella forza inspiegabile, mi stringi cingendomi con le braccia. Prima di girarmi verso di te lascio passare qualche secondo perchè non voglio farti scappare di nuovo e, solo quando mi sembri pronta, mi giro per avvolgerti nel mio abbraccio.

Dura parecchio e, nel nostro silenzio, ci raccontiamo. Io di sicuro, anche stavolta, ho imparato qualcosa di nuovo.

Solo alla fine guardandoti negli occhi e incontrando i tuoi che non mi mollano te lo dico.

Che paura Luna!

Mi riabbracci forte ma stavolta la danza è di coppia. Tum tutum tum tutum.

Riflessi del cuore

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di Irene Auletta

I gesti di cura raccontano storie e le mie, negli ultimi tempi, si intrecciano di continuo tra quelle che mi riguardano come madre e quelle di figlia. 

Ciao amore, così mi accoglie mia madre che è sempre stata dolce e accogliente nei gesti e nelle relazioni ma asciutta nelle parole, così come la sua educazione le ha insegnato e così come oggi sono un po’ anch’io, grazie alla sua eredità.

Oggi la dolcezza, nelle onde di una memoria sempre più sfumata, emerge con una nuova forza anche nelle parole e la tenerezza mi raggiunge risvegliando nuovi sorrisi e nuovi dolori quotidiani.

La perdita dei genitori anziani a volte avviene così, lentamente, e ogni volta mi pare un nuovo invito a rinventare incontri possibili.

Ti scelgo gli indumenti da indossare e ti coinvolgo sugli abbinamenti e sulla scelta dei monili. Ma quella collana a tre giri ce l’ho ancora, che dici è troppo? Eh mi sono fatta proprio vecchia, sono confusa amore.

Crack … il cuore e le sue crepe tengono forte e ti seguo cercando di essere gentile e rispettosa così come ho imparato e continuo a imparare ogni giorno come madre. Il gesto di cura non dovrebbe mai perdersi nell’automatismo dell’aiuto e da anni metto a tema questi contenuti con genitori ed educatori, trovando ogni volta nuovi spunti anche per me, perchè so bene che quello di cui parlo è assai difficile nelle cure ricorsive, quelle di cui da anni parla Andrea Canevaro.

Quante volte, nella mia veste professionale, ho esibito l’intreccio esistente nella cura di bambini piccoli, disabili e anziani? Oggi mi ritrovo a incarnarlo e il ruolo che rivesto nelle differenti relazioni, di madre o di figlia, mi chiede di riconoscere posizioni differenti che si incontrano in un unico cuore.

Ma un rossetto ti sei ricordata di portarmelo? Si mamma ho scelto questo per te, rosa perlato, il tuo preferito. Ma secondo te alla mia età posso ancora mettermelo?

Sempre mamma, sempre. Ridi, rido e ridiamo insieme passandoci il rossetto che ci mettiamo davanti allo stesso specchio riflesse in un momento unico, che esiste  solo ora.

Non servono parole. Eccolo lo spazio dove continueremo a incontrarci ogni volta che sarà possibile … fino alla fine dei giorni.

Giornate mute

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di Irene Auletta

Ieri giornata difficile, di quelle di cui non amo parlare perchè in questo sono molto in sintonia con mia figlia. Per me il dolore è una storia muta e forse, proprio per questo motivo, tante volte la lettura e la scrittura, come accadeva al Barone di Münchhausen, mi hanno salvata portandomi altrove, di fronte a inediti orizzonti.

Mentre ci prepariamo per andare dai nonni la vocina interiore mi suggerisce che forse non è il momento giusto per farlo, ma io insisto, sperando di sbagliarmi, perchè spesso uscire cambia la dinamica e un po’ di ombre si dissolvono. Ma ieri, non è stato così.

A casa dei nonni non volevi neppure entrarci e tutto il tempo che siamo rimaste è stato una continua richiesta di andare, con la tenacia e l’insistenza che solo chi non ha parole a volte sa esibire in modo così sorprendente ed estenuante.

Mio padre voleva parlarmi di qualcosa in merito a cui aveva bisogno di aiuto e di un consiglio, mia madre, persa nella confusione che abbiamo portato con la nostra visita, tu che non demordevi un attimo e io con quello stato d’animo che tanti genitori come me conoscono bene, tra smarrimento e senso di non farcela.

Alla fine decido di lasciare tutto e portarti via. Andiamo Luna, vado solo un attimo a salutare la nonna. Vicina a mia madre provo a raccontarle perchè oggi è una giornata No. Le dico quanto mi dispiace per il caos e per il fatto di non poter restare ancora un po’ a farle compagnia.

Mia madre ormai parla pochissimo ed è sempre più stanca nei suoi passaggi tra diversi mondi. Mentre le sto accarezzando le mani i nostri occhi si incontrano in silenzio e poco dopo arriva, proprio lei e sempre lei, appena riesce.

Vai tranquilla, ora Luna ha bisogno di te e non dimenticarlo mai, Luna è importante.

Il tono della parola importante mi arriva forte e delicato, come richiamo a quella cura che mia madre, e insieme a lei mia nonna, sua madre, hanno saputo trasmettermi in tanti anni, con grande leggerezza e amore.

Vado mamma, anche se non riesco a dirti che mi sento spezzata, tra figlia e madre, che il cuore mi fa male e che vorrei rimanere qui a farmi consolare dal tuo silenzio.

Poco dopo, in auto, mi aspetta un altro silenzio e pian piano ti racconto cosa è successo, che ora passa e che insieme possiamo superare anche questa brutta giornata. Ora arriviamo a casa e forse troviamo già babbo che dici? Ci facciamo aiutare anche da lui?

Ti lascio nelle braccia di tuo padre ed esco a camminare un po’. L’aria frizzante della sera mi calma e guardando le prime luci della città ho una piccola ma radicata certezza.

Anche per oggi ce l’abbiamo fatta.

Battiti

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di Irene Auletta

Devi scegliere tra il dolore e la rabbia. Ogni tanto tuo padre arriva con le sue frasi lapidarie che mi costringono a una frenata brusca, soprattutto quando vengo travolta da quella valanga emotiva che, quando ti riguarda, diventa rovinosa slavina. Ma come si fa?

Ci lavoro da anni e non posso negare i piccoli-grandi traguardi raggiunti, ma in alcuni momenti mi sento come nel gioco del Monopoli e mi ritrovo di nuovo nella casella di partenza. Avete presente quell’indicazione del gioco, a dir il vero un po’ sadica, che indica di ritornare  al via e ripartire dall’inizio? 

Tante volte la vita sembra essere lì a dirti lo stesso, che non hai sbattuto abbastanza forte la testa contro quella difficoltà o quel problema, che non hai incontrato a sufficienza i tuoi limiti o forse, come nel mio caso, che ancora devi aggiungere un pezzo a quella danza bizzarra e crudele in cui ti eserciti da anni, tra dolore e rabbia.

Per me sono sempre state fortemente intrecciate e anni fa una maestra me le indicò come le due facce di una medesima medaglia. 

Lo so bene che in alcuni momenti la tua disabilità rompe un fragile equilibrio e arriva forte come uno schiaffo in faccia, a farsi notare in tutta la sua complessità. In quel momento torna tutto, insieme a me, alla casella di partenza. Le stereotipie, le chiusure, le comunicazioni impossibili, le tensioni, l’urlo muto che chiede aiuto. 

E io sempre lì, che pian piano cado in ginocchio a struggermi impotente. La disabilità vince per un attimo perchè è più forte di me, si svela senza maschere e con la sua forza prova a smantellare tutte le postazioni di tregua e quiete costruire in anni di lavoro tenace, fatto di amore , ricerca, comprensione e … tanto dolore.

Fra poco verrò a prenderti per accompagnarti al tuo corso in piscina. Mai come in questi ultimi mesi i nostri viaggi in aiuto, diretti verso le tue esperienze attivate proprio nel tentativo di offrirti nuove possibilità, sono momenti preziosi di incontro e intensità. Sto pensando alla storia che voglio raccontarti nella speranza che il mio cuore da medicare mi orienti verso strade possibili per incontrarti in quello spazio di quiete che permette di accogliere, comprendere e nutrire nuove occasioni.

Io non mi arrendo figlia e le ginocchia, sbucciate tante volte, guariranno anche stavolta e, mentre accompagno gentilmente la rabbia in quella stanza a lei riservata da molti anni, mi accingo a dare un nuovo tempo anche al cuore.

Sorrido all’immagine di me che, impugnando una mazza da baseball, si scatena nelle peggiori fantasie possibili. Forse fra poco ti racconterò anche questo per ridere insieme e riprenderci un po’ di quella leggerezza che sa fare miracoli, proprio lì, al ritmo di quel battito, tuo e mio.

Donne coraggiose

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di Irene Auletta

Ci sono due donne fondamentali nella mia vita e a loro devo la possibilità di non perdere mai di vista l’orizzonte, anche nei momenti di smarrimento.

Mia madre, oggi ottantaseienne, dall’età di trentasette anni ha iniziato il suo personale calvario che l’ha vista tante volte cadere e altrettante rialzarsi con la forza del sorriso. Come dice lei, la vita è già pesante, tanto vale essere sempre di buon umore! In ginocchio mia madre ha affrontato, insieme a diverse gravi malattie, la morte di un figlio e oggi, per fortuna, l’oblio del tramonto sembra renderle tutto più ovattato. 

Che ci sto a fare ancora qui se non posso più darti una mano? mi ha detto pochi giorni fa. Eccola quell’essenza di cura che appena può riemerge, anche se tinta di malinconia. E chi ti dice che non dai più una mano? Forse lo fai e neppure te ne accorgi? E così dalle ombre si apre un piccolo squarcio pronto ad accogliere la tua risata cristallina. Ecco mamma, anche per oggi, missione compiuta! 

E poi c’è la mia piccola donna, ancora e faro, con il suo zainetto di vita ben pesante sin dalla nascita. Lei mi insegna ogni giorno il valore dell’allegria che io stessa non smetto mai di nutrire. In questi giorni abbiamo ripreso i nostri rituali di scherzi e di risate per affrontare insieme alcune nuvole un po’ dense. Quando ridiamo la vita rimane un attimo sospesa e subito dopo tutto sembra più sostenibile. Mi inchino a te maestra Luna, che ogni giorno ti misuri con le tue piccole/grandi fatiche per affrontare la vita e nel farlo mi restituisci significati preziosi da trattenere.

Ma tu non sei mai stanca? Sembra che le fatiche che travolgono tutti noi neppure ti sfiorino. Non di rado mi sento rivolgere domande di questo tipo, soprattutto di questi tempi in cui ciascuno sembra fare a gara per rivendicare la sua personale fatica. 

Ogni tanto, mi piacerebbe anche lamentarmi ma poi vi penso, esempio di vita e di forza e, con la vostra immagine nel cuore, mi ritrovo ancorata ogni volta ai significati per me più forti e importanti. 

Mi volto, guardo chi mi ha rivolto la domanda e senza commentare, sorrido.

I bambini mostrano le cicatrici come medaglie. Gli amanti le usano come segreti da svelare. Una cicatrice è ciò che avviene quando la parola si fa carne. (Leonard Cohen)

Viscere e cuore

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di Irene Auletta

Ci sono espressioni che negli anni hanno finito con il crearmi spesso disagio e che mi spingono a fermarmi ogni volta che le incontro. Solo ad esempio ne cito due ricorrenti. Te lo dico di pancia e Io non ho peli sulla lingua. Spesso queste due espressioni sono inserite in un contesto di significato che pare dare valore assoluto alle comunicazioni senza filtro e non troppe mediate da una riflessione intermedia. Che questo sia un valore, mi lascia con qualche dubbio.

Ultimamente, anche grazie all’aiuto della mia maestra Feldenkrais sto ragionando, e lavorando, sulla modalità di “prendere le cose di petto” e sulle conseguenze che questo atteggiamento ha sul nostro corpo. Nonostante le conoscenze, molti di noi sottovalutano quello che accade al corpo in relazione al nostro modo di affrontare la vita e, purtroppo, il tema torna tristemente alla ribalta quando il corpo urla attraverso blocchi fisici o malattie.

Le scoperte che faccio lavorando sul mio corpo non possono non intrecciarsi con lo stesso lavoro fatto da mia figlia e tante volte tra di noi avverto quel filo silenzioso fatto di esperienze condivise. So che, durante le tue lezioni, rimani lì ferma ad ascoltare cosa ti accade e che negli anni hai sviluppato un ascolto sempre più profondo. Chissà che nome darebbero a questa capacità gli esperti di diagnosi funzionali? 

Noi due non abbiamo le parole per condividere e allora i nostri corpi devono ingegnarsi per raccontarsi e, di nuovo, tu mi diventi maestra.

Sveglie molto presto ci ritroviamo nel buio nella notte, come ahimè ci succede non di rado. Sdraiata a terra recupero movimenti delle lezioni Feldenkrais e ti invito a stenderti al mio fianco. Dopo avermi osservata un po’, apparentemente distratta e disinteressata,  arrivi vicina. Pochissime parole intrecciano gesti e respiro e così ci prendiamo cura della nostra insonnia.

Quando ti allontani il mio corpo riposa e penso che dovremmo davvero ascoltare le nostre viscere ma per poter tacere e poter dar tempo al pensiero di maturare prima di investire l’altro, magari in modo inopportuno. Mi hanno insegnato che affrontare le cose in un certo modo vuol dire essere forti e invece, nel silenzio di questi anni, ne sto scoprendo le molteplici fragilità che parlano di costi eccessivi.

Sapersi ascoltare, nella mente e anche nel corpo, può dare spazio a quella comunicazione che per molti di noi sa di orizzonti lontani. Togliendomi le parole mi hai costretta tante volte al silenzio e proprio lì mi aiuti, ogni volta, a risentire quel battito che, guardandoci negli occhi, trova nuove vie per raccontarci.

Di madre in figlia

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di Irene Auletta

In questi ultimi anni stare insieme a mia madre mi ricorda quel lento oscillare dell’altalena che ti avvicina e allontana da ciò che provi a mettere a fuoco insieme alla consapevolezza che solo lasciandoti andare puoi apprezzarne la vista circostante, l’aria sulla pelle e il piacere di quel momento. Quando ci sei, e sei proprio tu, quel gusto familiare riemerge intenso dal passato e sa di forza e nostalgia. Le pause differenti, che si alternano a tali momenti, hanno sovente il colore della malinconia.

Anche mia figlia ti cerca disorientata e proprio ieri, ritrovandoti, ti ha accolto con un forte abbraccio di quelli impossibili da prevedere o anticipare anche di questi tempi. Il tuo stupore mamma mi ha inondato di dolcezza in quel ripetere che abbraccio, che abbraccio, questo si che è un bel regalo di Natale!

E così entrambe vi siete riprese lo spazio del vostro incontro mentre guardo mia madre che, “nel rispetto delle regole”, ti bacia sulle mani per mantenere la distanza.

Voi due insieme mi emozionate sempre tantissimo a memoria di quella figlia matura che ancora tiene in mano un filo d’unione antica e quella madre che, invadendomi la vita, cerca ogni giorno nuovi respiri.

In queste feste natalizie, che non amo più da molti anni, mi sembra che l’aria si sia fatta più pesante, mettendo insieme alle ansie collettive quelle più private che la vita non smette mai di riservarci. Per questo fatico a scrivere, le dita sui tasti dipingono ombre e le luci in lontananza non sempre riescono a brillare.

Poi, ripenso ad uno dei nostri recenti viaggi in auto da sole. Seduta al mio fianco, appoggi la testa sulla mia spalla facendo fermare il tempo e, in quello spazio tiepido, lascio le nuvole lontane e mi godo quegli attimi di bellezza pura. Tra le tante cose che mi hai insegnato c’è anche questa, quel fidarsi e affidarsi che mi auguro lasci tracce profonde nella tua memoria.

La danza tra tenere e lasciar andare può essere dolcemente struggente ma proprio mentre il dolore sembra prendere il sopravvento tu mi tiri per mano verso l’allegria, restituendomi con forza quello che provo a insegnarti ogni giorno.

E così mi ritrovo a cantare e insieme balliamo, balliamo, balliamo. Anche per oggi la luce è nostra amica. Mio padre guardandoci non perderebbe l’occasione per definirmi pazzerella. D’altronde, direbbe, sei nata proprio mentre c’era l’eclissi!

Grazie Luna … del cielo e della terra.

Mondoluna

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di Irene Auletta

Con il babbo e’ bravissima, dice l’autista del pulmino con il suo dolce accento toscano. Sarà che è una persona che mi piace molto per la sua gentilezza che osservo da qualche anno, ma quel suo “bravissima” stamane scivola via leggero.

In effetti oggi è la prima volta che ti accompagno e, ancora una volta, queste tue differenze nel saluto trattengono memorie antiche da cui a volte è forse difficile prendere distanza. Invece di salire ti riavvicini a me e quando ti invito a farlo mi indichi che vuoi andare altrove. Poi, facilmente cedi ma mi saluti con il viso serissimo.

Commentiamo la decisione che mostri sempre nelle tue scelte e scopriamo che il ragazzo che svolge il ruolo di accompagnatore ha la tua stessa età. Strana la vita dice quasi sottovoce e così comincia la giornata.

Il pensiero mi porta in un attimo altrove, ai tanti sentimenti che hanno affollato la mia mente in questi mesi, anche di fronte a qualche inciampo della tua salute. Ogni volta un respiro profondo per respingere le tracce timorose di quello che abbiamo attraversato in passato e la preoccupazione che di nuovo l’odioso visitatore della malattia autoimmune bussi alla nostra porta. Altro che pizzichi al cuore!

Tuo padre mi prende sempre in giro imitando le mie possibili frasi, con le quali ogni volta vorrei assumere su di me e nella mia carne quello che purtroppo non posso evitarti e oggi, fortunatamente, riusciamo a riderne insieme. 

Eccomi che ritorno al presente. Solo poche ore di distanza in queste prime sperimentazioni che dopo mesi ti tengono lontana da casa e da noi. Abbiamo tutti bisogno che circoli aria nuova nelle nostre relazioni che si sono saturate di tanta presenza.

Eppure come te, mentre ti allontani, mi osservo seria riflessa in una vetrina.

Quell’equilibrio complesso tra mente e cuore che affianca da sempre la nostra storia ricordandoci chi siamo, oggi mi rammenta che ho una figlia adulta.

Touche’

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